venerdì 4 novembre 2016

L'ALIMENTAZIONE MIGLIORA LE CAPACITA' INTELLETTIVE? (2)


L’alimentazione 
può aiutare

a migliorare 
le capacità intellettive?


Problemi etici (e giuridici) sollevati

dall’uso di potenziatori riguardano fondamentalmente la sicurezza, la libertà personale e l’equità. Il futuro è in mano nostra e cerchiamo di utilizzare ciò che la scienza ci potrà offrire con oculatezza.
Come ho sottolineato nel pezzo precedente, le persone dalle elevate capacità intellettive
sono sempre state molto apprezzate nelle società del passato e del presente e in fin dei
conti dobbiamo proprio a queste ed al loro intelletto le grandi scoperte scientifiche, le
grandi opere letterarie ed artistiche ed il progresso tecnologico e culturale in generale.
Sappiamo però che dall’altra parte esistono delle persone che hanno delle capacità
intellettive scarse, come pure che diverse patologie di tipo degenerativo portano ad una
progressiva perdita delle facoltà intellettive quali memoria ed intelligenza.
Se in un passato non lontano poteva sembrare fantascienza, oggi, oltre alle classiche
sostanze stimolanti contenute in diverse piante e note per la loro capacità di renderci
più svegli e più capaci di mantenere la concentrazione per tempi più lunghi, come le
diffusissime caffeina e teobromina, perfettamente legali ed onnipresenti, o l’illegale
cocaina, abbiamo veramente a disposizione delle sostanze farmaceutiche capaci di
potenziare le attività cerebrali.
Restare svegli e concentrati per ore e ore, giorno e notte, migliorare le proprie capacità
di memoria e non sentire la fatica non è più soltanto un desiderio, ma è ormai una realtà. 
È il neuroenhancement, o potenziamento cognitivo. Si definisce come un aumento delle prestazioni intellettive principalmente grazie all’assunzione di alcuni farmaci oppure a stimolazioni transcraniche (elettriche o magnetiche).
Droghe intelligenti
Alcuni chiamano questi farmaci smart drugs (droghe intelligenti), ma in effetti si tratta 
 di farmaci perfettamente legali studiati ed usati per attenuare gli effetti sulle capacità
intellettive di disturbi o malattie come la sindrome da deficit attenzionale ed iperattività
oppure il morbo di Alzheimer o di Parkinson o problemi del sonno, che se somministrati alle persone sane possono ottenere come effetto un potenziamento delle capacità intellettive più o meno lungo. Tali farmaci sono chiamati anche nootropi.
“Nel mondo anglosassone l’utilizzo di questo genere di farmaci da parte di studenti è
risaputo e i giornali ne parlano spesso. Nell’Europa continentale, invece, l’impressione
nell’opinione pubblica è che si tratti di uno scenario futuribile. Non è così”, dice Agnes
Allansdottir, psicologa sociale che lavora al progetto europeo NERRI (Neuro-
Enhancement Responsible Research and Innovation), il cui obiettivo è facilitare il
dialogo sociale sul potenziamento cognitivo e elaborare una serie di linee guida per i
legislatori europei. Sono stati proprio numerosi scienziati, interpellati dalla prestigiosa
rivista “Nature”, ad ammettere, in un sondaggio anonimo online, che non solo  
ritengono lecite queste sostanze (l’80% dei quasi 1500 che hanno risposto), ma di farne
personalmente uso (il 20%). Questi farmaci agiscono sui processi di neurotrasmissione,
ovvero nel passaggio degi impulsi nervosi da un neurone all’altro.
Il farmaco più usato a questo scopo è il metilfenidato, indicato solo per la sindrome da
deficit di attenzione e iperattività dei bambini, ma in realtà diffuso nei college americani per facilitare gli studi. Ci sono, poi, il modafinil (approvato per alcuni disturbi del sonno, assunto invece per restare svegli notti intere), o i classici beta bloccanti, prescritticomunemente per patologie cardiovascolari, ma ai quali si ricorre per tenere a bada il batticuore scatenato da una prestazione importante o da un esame. 
Oltre a migliorare la memoria, si cerca anche come poterla modificare, a esempio cancellando ricordi spiacevoli, il che potrebbe servire a prevenire sindromi post traumatiche. 
 Ma oggi i farmaci sembrano non essere l’unica possibilità. Esiste, ad esempio, una mole sempre più considerevole di studi (circa 200 fino ad oggi) che suggerisce l’efficacia della stimolazione cerebrale transcranica (attraverso elettrodi posti sul cuoio capelluto che  danno un impulso magnetico o elettrico) per migliorare le capacità cognitive. Anche il  mercato sembra non aver tardato ad approfittarne producendo stimolatori “casalinghi” di dubbia efficacia.
Questa metodologia, utilizzata a fini terapeutici in casi di depressione, Adhd, e
riabilitazione di deficit motori o cognitivi dopo un ictus, nei soggetti sani sembra
determinare un miglioramento della memoria verbale e visivo-spaziale, dell’attenzione,
delle abilità numeriche. Ma le previsioni si spingono ancora più in là. C’è chi valuta (per ora a livello teorico) l’impiego cerebrale delle cellule staminali per accrescere capacità e velocità delle funzioni mnemoniche e di apprendimento e chi, in futuro, vede la possibilità di far ricorso anche alla chirurgia ed agli impianti.

Ma c’è un limite?

Dov’è il limite, dunque? Qual è la differenza con il comunissimo caffè che beviamo
quotidianamente? Problemi etici (e giuridici) sollevati dall’uso di potenziatori riguardano fondamentalmente la sicurezza, la libertà personale e l’equità. Nel primo caso è una  questione di rapporto tra rischi e benefici. Gli effetti collaterali o la possibilità di gravi reazioni avverse a questi farmaci possono essere giustificati per curare una malattia,  ma non per migliorare le proprie prestazioni. Ben vengano questi farmaci se riescono a sopperire a deficit cognitivi per aiutare le persone che hanno dei problemi, cautela invece se si vuole potenziare le proprie capacità.
Per la questione della libertà personale intendo che nessuno dovrebbe mai essere
obbligato ad assumere delle sostanze che non vuole, il che è una regola universale, ma
dall’altra parte ritengo che in casi particolari, posso fare l’esempio di un chirurgo
ingaggiato in un complicato intervento che dura diverse ore, oppure di una squadra di
scienziati ingaggiati per la soluzione rapida di qualche grave problema, sia lecito
assumere dei potenziatori cognitivi.
L’equità invece si riferisce all’accessibilità di questi farmaci, in modo che possano averli
a disposizione tutti, e non solo delle elites di privilegiati. Se così non fosse si verrebbe a
creare una disparità di fondo finendo per non premiare coloro che invece sono meritevoli per il loro lavoro e le loro capacità innate.
Che dire? Il futuro è in mano nostra: 
cerchiamo di utilizzare ciò che la scienza ci potrà offrire  con  oculatezza.                                                                                                         
(2 fine)
Denis Stefan

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