Onu: l’ultimo
quinquennio
sarà il più caldo...
di sempre
Temperature record, innalzamento dei mari, emissioni inquinanti in salita: nel rapporto della World Meteorological Organization i «segnali» che dal 2015 il cambiamento climatico ha avuto
un’accelerazione
I cinque anni dal 2015 al 2019 sono il periodo più caldo mai registrato con +0,2 gradi rispetto al
2011-2015: lo ha rivelato un rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) al
Climate Action Summit 2019 dell’Onu, che si è tenuto a New York lo scorso 23 settembre. Vi
hanno preso parte capi di Stato e di governo, imprenditori, ong, amministratori locali ed attivisti,
per fare il punto sugli sforzi di ciascun stato per combattere la crisi climatica. Secondo il rapporto la
temperatura media è salita di 1,1 °C rispetto al periodo tra il 1850-1900. Preoccupa anche
l’innalzamento dei livelli del mare che ha segnato una significativo incremento: se il tasso medio di
aumento dal 1993 ad oggi è di 3,2 mm all’anno, da maggio 2014 a 2019 si è passati a 5 mm
all’anno. Nell’arco di dieci anni è stata registrato un livello medio annuo di circa 4 mm.
Preoccupano anche le emissioni CO2 che hanno toccato nuovi massimi, con un incremento del 20%
nel 2015-19 rispetto ai 5 anni precedenti. “L’innalzamento del livello del mare è accelerato e
temiamo un brusco calo delle calotte glaciali dell’Antartico e della Groenlandia, che aggraverà il
futuro innalzamento”, avverte il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas. “Come abbiamo
visto quest’anno con tragici effetti alle Bahamas e al Mozambico, l’innalzamento del livello del
mare e le intense tempeste tropicali hanno provocato catastrofi umanitarie ed economiche”,
sottolinea. Anche se tutti gli impegni dell’accordo di Parigi fossero mantenuti, e non acquisiti, la
Terra sarà più calda di circa 3°C alla fine del secolo, avvertono gli scienziati, che chiedono cinque
volte gli sforzi sul clima.
Tante parole ma poche promesse
Le aspettative sugli esiti del summit erano già piuttosto basse, ma questo non ha risparmiato agli
attivisti scesi in piazza negli ultimi giorni (e al mondo intero che guardava a quella sala) una sonora
delusione. Nessuno dei principali Paesi emettitori si è impegnato a fare di più per limitare
l’introduzione di nuovi inquinanti in atmosfera, così come aveva previsto Greta Thunberg nel suo
furente e disilluso discorso introduttivo. Ci sono state alcune parziali buone notizie, e iniziamo da
queste: come annunciato dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres nel suo discorso di
chiusura, 77 piccoli Paesi che poco hanno contribuito a portarci alla situazione attuale hanno
annunciato il loro impegno a raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, e altri 70 si porranno,
entro il 2020, obiettivi di riduzione ancora più ambiziosi di quelli presi con gli Accordi di Parigi.
Un importante contributo è arrivato, inoltre, dal mondo della finanza e delle aziende. Diversi gestori
di fondi proveranno a presentare piani finanziari improntati a emissioni nette zero entro il 2050, e
decine di compagnie private si allineeranno agli obiettivi della COP21. Infine, più denaro è entrato
nelle casse del Green Fund, il fondo destinato ad aiutare le nazioni in via di sviluppo nelle questioni
climatiche: grazie all’impegno di Svezia, Danimarca, Norvegia e Svizzera, che hanno raddoppiato il
proprio contributo, ora vi sono stanziati 7 miliardi di dollari. Tuttavia, le nazioni più ricche e potenti
hanno perso l’opportunità di lanciarsi in progetti seri di riduzione delle emissioni. Tre dei Paesi con
le maggiori ambizioni di espansione delle centrali a carbone - India, Cina e Turchia - sono stati
invitati a parlare, ma ognuno ha evitato accuratamente di affrontare il problema.
Il Primo Ministro
indiano, Narendra Modi, ha detto che la sua nazione si impegnerà ad aumentare la quota di energia proveniente da rinnovabili entro il 2022, ma non ha fatto alcun riferimento alla riduzione della dipendenza da carbone. In Turchia il ricorso a questo combustibile fossile sta avanzando più
velocemente che in ogni altro Paese, ma il Presidente Erdoğan non ha annunciato nessun piano per cambiare le cose, né ha espresso l’intenzione di ratificare gli Accordi di Parigi. La Cina si è limitata a dire che sta rispettando le promesse prese durante la COP21 “al contrario di certi Paesi”, ma non
ha fissato obiettivi più alti. Gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare di fatto gli Accordi di Parigi il 4 novembre 2020, ma che lo facciano o meno non stanno comunque onorando gli impegni presi a Parigi. La Russia ha annunciato che ratificherà gli Accordi di Parigi, senza aggiungere nulla di più
su come intenda tagliare le emissioni della propria industria del petrolio. L’Unione Europea non ha
espresso l’intenzione di tagliare le emissioni più velocemente di quanto annunciato in precedenza.
La neoeletta Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen vorrebbe dimezzarle entro il
2030, ma prima deve vincere le resistenze di quattro Paesi (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed
Estonia) riluttanti a prendere questo impegno.
Il fenomeno Greta
A rendere l’idea di quanto il vento di cambiamento abbia soffiato negli ultimi mesi è un’immagine
composta che rimbalza sui social: “Un anno e un mese fa” è la didascalia dei due scatti messi a
confronto e che mostrano da una parte Greta da sola mentre protestava di fronte al Parlamento di
Stoccolma invece di andare a scuola, con il suo cartello: “Sciopero per il clima”, e dall’altra parte la
folla che ha seguito il suo esempio al #WeekForFuture invadendo le strade di tutto il mondo. “Greta
non è più sola”, recitano alcuni post a commento del fotoconfronto. Il nuovo sciopero globale, con
manifestazioni fino al 27 settembre, ha fatto appello alla ‘’giustizia climatica’’. Una protesta
pacifica che ha attraversato i cinque continenti.
All’attivista il «Nobel alternativo»
Greta Thunberg è tra le quattro personalità che ha ricevuto il “Right Livelihood Award”, il Nobel
alternativo. La fondazione che dal 1980 consegna questo riconoscimento, fondata dal filantropo
Jakob con Uexkull, ritiene che l’attivista ambientale abbia “ispirato e amplificato le richieste
politiche di urgenti azioni climatiche basate su fatti scientifici”. Greta, candidata anche al Nobel per
la pace, “incarna la nozione che tutti hanno il potere di creare il cambiamento. Il suo esempio ha
ispirato e potenziato le persone di ogni estrazione sociale nel chiedere un’azione politica”. Il premio
è stato assegnato pure a Davi Kopenawa e l’associazione Hutukara Yanomami, che rappresenta
l’omonima tribù, che proteggono la foresta amazzonica e i suoi abitanti; l’attivista marocchina
Aminatou Haidar per il suo impegno non-violento nel Sahara Occidentale; l’avvocata cinese Guo
Jianmei per il suo impegno nei diritti delle donne in patria. La cerimonia di consegna è in
programma a Stoccolma il 4 dicembre, sei giorni prima della premiazione dei Nobel.
a cura di Nerea Bulva
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