Davide Oldani,
cucina di tradizione
della Milano...
...da bere
Da un lato il Camparino in Galleria, dall’altro il Pan’cot di Oldani, rivisitazione del pane arrostito. Prima del lockdown i due “brand” si erano uniti in una collaborazione dalla forte matrice milanese.
Davide Oldani è uno degli chef con il più alto tasso di creatività e imprenditorialità, lo ha da sempre dimostrato, e tutti i traguardi raggiunti, da ultimo l’entrata nella Guida de Le Soste, lo hanno comprovato. Nel suo presente post Covid c’è, come sempre, Milano. È sua la proposta food che il nuovo Camparino in Galleria, punto di riferimento storico per la città in fatto di aperitivi, ha scelto per accompagnare i cocktail. Oldani per l’occasione ha declinato la sua cucina POP nel “Pan’cot”, una rivisitazione del pane arrostito meneghino, che fa da contenitore alla cucina italiana e che nasce dai ricordi d’infanzia di una tipica casa milanese. La sua.
Come nasce il sodalizio con il Camparino in Galleria?
Alla base della collaborazione c’è un progetto intelligente. L’idea di unire una proposta beverage nuova ad una proposta di food inedita. Da un lato c’è il Camparino, dall’altro il Pan’cot. È l’unione di due brand che hanno una fortissima matrice milanese. Il primo è un punto di riferimento per la città fin dal 1915, legato a doppio filo all’omonimo liquore e alla storia dell’aperitivo, il secondo invece è la mia interpretazione del pane arrostito milanese, una ricetta della tradizione che abbiamo rivisto in chiave moderna.
Da dove arriva il Pan’cot?
È una ricetta che affonda le sue radici in profondità. Nella classica casa milanese, come era la mia, da piccolo, la mia mamma cucinava il pane con un po' di latte e un po' di brodo. Il procedimento era semplicissimo, lo metteva in frigorifero a raffreddare e una volta tolto dal frigorifero, la consistenza risultava molto compatta. Così veniva ripassato in padella e arrostito. Il Pan’cot nasce da quel ricordo. Oggi utilizziamo una lievitazione naturale, per renderlo più leggero e dalla forma e consistenza più elegante. L’idea è che faccia da contenitore della cucina italiana, perché ha una forma a ciambella che si presta perfettamente per una farcitura, che può essere di patate e zucchine, riso allo zafferano, caponata siciliana, vitello tonnato o pesto.
Ogni quanto cambia il menu del Camparino?
Il menu segue la stagionalità della materia prima, che nella mia cucina ha sempre avuto un rispetto assoluto, quindi subisce delle variazioni quattro volte l’anno, indicativamente.
Quanto è importante, in un contesto come il Camparino, la scelta delle farine?
È molto importate. Si scelgono seguendo la qualità, la tracciabilità, il gusto personale e il profumo, che è un aspetto ancora più delicato dovendo abbinare i piatti a dei cocktail. Per il Pan’Cot utilizziamo il Molino Pasini.
Come avete scelto la squadra che attualmente lavora nelle cucine del Camparino?
In un progetto del genere, ogni scelta è condivisa. In cucina oggi troverete ragazzi che sono passati dal mio ristorante, il D’O. Li abbiamo selezionati con Campari e appositamente preparati per questa proposta. L’unico punto fermo su cui non ho mai potuto transigere, è sempre stata la continuità della qualità della cucina che porta il mio nome. Essendo mia la firma, non potevo permettermi scivoloni.
Troveremo mai il Pan’cot al D’O?
Il Pan’cot rientra perfettamente nella mia concezione di cucina POP, che ho iniziato 17 anni fa. Il progetto è di mia esclusiva proprietà. Abbiamo creato noi l’impasto, i brodi con cui è imbevuto il pane ed è un vero marchio. L’idea è attualmente a servizio esclusivo del Camparino in Galleria, non ci sono altri progetti in pentola, e non ci sono altri posti in cui trovarlo. Anche perché la nuova formula del Camparino si basa molto sulla proposta food e sul fatto che sia una novità studiata appositamente per e con loro.
La proposta del Camparino però non si ferma al Pan’cot.
Possiamo dire che il Pan’Cot sia il protagonista di questa nostra proposta. Ma proprio per la sua conformazione fisica, si presta ad essere farcito con tutta la fantasia dello chef. Nel menu abbiamo inserito il riso, naturalmente. Un atto dovuto dal momento che è uno dei simboli gastronomici di Milano. Poi ci sono anche proposte più internazionali tipo il club sandwich e il croque monsieur, realizzati sempre con il Pan’cot. In carta anche una piccola proposta di carne e pesce, ma rappresentano una minima percentuale. Abbiamo poi deciso di togliere tutto il junk food, studiando valide e sane alternative alle tipiche proposte che accompagnano l’aperitivo. La patatina fritta ad esempio è stata sostituita da una cialda di riso espressa.
Quanto è POP il Camparino in Galleria?
La mia cucina POP è nata dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile, l’innovazione con la tradizione. Tutto questo lo si ritrova nella proposta del Camparino in Galleria. Uno dei capisaldi della mia filosofia poi è che ogni attività debba creare profitto, ma con i prezzi adeguati. Quindi nonostante la posizione esclusiva, all’ombra della Madonnina, parliamo sempre di qualcosa che non è esclusivo e relegato ad una élite.
Cosa si augura per il domani?
Visti i tempi che corrono, oggi più che mai mi auguro di stare bene fisicamente. Ora dobbiamo pensare a come far girare al meglio i nostri nuovi uffici, freschi di restyling, così come il nostro nuovo laboratorio, che stiamo progettando e realizzando come un luogo di pensiero e di produzione dei lievitati. Mi auguro di continuare ad avere progetti interessanti per le mani, anche dal punto di vista editoriale, come il libro Mangia come parli, appena uscito, in collaborazione con Radio 24.
Un progetto particolare quello di Mangia come parli, che non parte dalla carta, ma dalla radio.
Diciamo che parte dalla cucina, come ogni buon libro sulla materia. Poi sì, il mezzo che lo ha visto nascere e crescere non è stato un foglio di carta, o il monitor di un pc. Ma la radio. Il libro infatti è la raccolta di 80 ricette estrapolate dal programma di Radio 24 “Mangia come parli”, condotto in coppia con il giornalista Pierluigi Pardo, che racconta un viaggio nelle regioni italiane, tra le ricette tradizionali e soprattutto parla di materie prime, a cui ho sempre riservato un rispetto infinito nella mia cucina, con un tocco dissacrante di Pierluigi. E proprio nel periodo più difficile per la nostra nazione, durante il Covid, quando mantenere alto il senso di nazionalismo era più importante che mai, abbiamo capito che forse questo programma meritava di essere portato ad uno stadio successivo, sulla carta.
Come ha vissuto la riapertura e il periodo post lockdown?
Inutile dire che sia stato e che sia ancora un momento storico unico e decisivo dal punto di vista imprenditoriale. Per quanto mi riguarda, la versione di me più altruista ha preso il sopravvento su tutto. Ho cercato di fare il possibile per salvaguardare tutti i collaboratori, e sono davvero felice e orgoglioso oggi, di poter dire che siamo riusciti a reintegrare tutti i ragazzi. Abbiamo anticipato i sussidi della cassa integrazione e abbiamo anche assunto personale nuovo. Inoltre abbiamo anche raggiunto un bel riconoscimento, siamo entrati a far parte de Le Soste, la guida che da quasi 40 anni raccoglie i migliori ristoranti italiani nel nostro Paese e nel resto d’Europa. Anche questo è stato un bel traguardo, e tagliarlo in un momento come questo, ci ha dato ossigeno e spinta per andare avanti con maggiore entusiasmo.
Ha senso parlare di stelle Michelin quest’anno?
Ho capito che ognuno ha la sua idea. Dal canto mio, posso parlare per quel che è la mia situazione attuale. Se ho deciso di riaprire, è perché sono sicuro al 100% di quello che sto facendo. Sono convinto di me, dei miei ragazzi, della mia materia prima e di quello che cucino. So che non ci sono sbavature, incertezze o punti deboli su cui posso cadere. E deve essere così. Perché la gente si aspetta questo. Quando entri in un ristorante come il mio, non accetti compromessi. Paghi per avere il massimo del servizio. È importante che il cliente ritrovi la stessa alta qualità a cui era abituato. Il rischio altrimenti è di perdere credibilità, con tutte le, prevedibili, conseguenze. Oltretutto il fatto di avere ridotto i coperti comporta fatturati inferiori rispetto alla fase pre Covid, quindi non c’è spazio per gli errori. Detto tutto questo, va da sé che non abbiamo paura dei giudizi di nessuno. È tutto criticabile, è tutto soggettivo, come è sempre stato. Ma la nostra sicurezza sul fatto che la qualità della cucina e del servizio siano di alto livello, resta ed è forte come prima.
Cosa pensa della formazione online?
Non sono contrario alla formazione online, anzi, tengo anche dei webinar. Ma io resto un artigiano. Devo produrre. Devo fare. E devo usare le mani. La teoria va benissimo, il confronto anche, ma le parole devono sempre essere seguite dalla pratica.
Nella sua vita persiste una forte identità milanese. Sarà così anche in futuro?
La mia identità è fortemente milanese fin dalla nascita. Ho sempre portato avanti questo aspetto, e la città ha sempre ricambiato il mio affetto. Nel 2008 ho ricevuto l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza del comune di Milano, sono poi ambasciatore della Cucina italiana nel mondo e sono stato Ambassador Expo nel 2015. La mia cucina non può prescindere dalle mie origini, sarebbe impossibile per me snaturarmi o essere altro. Quindi il mio futuro sarà un’estensione evoluta del mio presente e del mio passato, sempre vicino alla tradizione milanese e alla grande cucina italiana, fatta di ricette ma anche e soprattutto di inestimabili materie prime.
Per informazioni: www.camparino.com - www.cucinapop.do
Tommaso Cecca (bar manager Camparino) e Davide Oldani
Come nasce il sodalizio con il Camparino in Galleria?
Alla base della collaborazione c’è un progetto intelligente. L’idea di unire una proposta beverage nuova ad una proposta di food inedita. Da un lato c’è il Camparino, dall’altro il Pan’cot. È l’unione di due brand che hanno una fortissima matrice milanese. Il primo è un punto di riferimento per la città fin dal 1915, legato a doppio filo all’omonimo liquore e alla storia dell’aperitivo, il secondo invece è la mia interpretazione del pane arrostito milanese, una ricetta della tradizione che abbiamo rivisto in chiave moderna.
Da dove arriva il Pan’cot?
È una ricetta che affonda le sue radici in profondità. Nella classica casa milanese, come era la mia, da piccolo, la mia mamma cucinava il pane con un po' di latte e un po' di brodo. Il procedimento era semplicissimo, lo metteva in frigorifero a raffreddare e una volta tolto dal frigorifero, la consistenza risultava molto compatta. Così veniva ripassato in padella e arrostito. Il Pan’cot nasce da quel ricordo. Oggi utilizziamo una lievitazione naturale, per renderlo più leggero e dalla forma e consistenza più elegante. L’idea è che faccia da contenitore della cucina italiana, perché ha una forma a ciambella che si presta perfettamente per una farcitura, che può essere di patate e zucchine, riso allo zafferano, caponata siciliana, vitello tonnato o pesto.
Ogni quanto cambia il menu del Camparino?
Il menu segue la stagionalità della materia prima, che nella mia cucina ha sempre avuto un rispetto assoluto, quindi subisce delle variazioni quattro volte l’anno, indicativamente.
Quanto è importante, in un contesto come il Camparino, la scelta delle farine?
È molto importate. Si scelgono seguendo la qualità, la tracciabilità, il gusto personale e il profumo, che è un aspetto ancora più delicato dovendo abbinare i piatti a dei cocktail. Per il Pan’Cot utilizziamo il Molino Pasini.
Come avete scelto la squadra che attualmente lavora nelle cucine del Camparino?
In un progetto del genere, ogni scelta è condivisa. In cucina oggi troverete ragazzi che sono passati dal mio ristorante, il D’O. Li abbiamo selezionati con Campari e appositamente preparati per questa proposta. L’unico punto fermo su cui non ho mai potuto transigere, è sempre stata la continuità della qualità della cucina che porta il mio nome. Essendo mia la firma, non potevo permettermi scivoloni.
Troveremo mai il Pan’cot al D’O?
Il Pan’cot rientra perfettamente nella mia concezione di cucina POP, che ho iniziato 17 anni fa. Il progetto è di mia esclusiva proprietà. Abbiamo creato noi l’impasto, i brodi con cui è imbevuto il pane ed è un vero marchio. L’idea è attualmente a servizio esclusivo del Camparino in Galleria, non ci sono altri progetti in pentola, e non ci sono altri posti in cui trovarlo. Anche perché la nuova formula del Camparino si basa molto sulla proposta food e sul fatto che sia una novità studiata appositamente per e con loro.
La proposta del Camparino però non si ferma al Pan’cot.
Possiamo dire che il Pan’Cot sia il protagonista di questa nostra proposta. Ma proprio per la sua conformazione fisica, si presta ad essere farcito con tutta la fantasia dello chef. Nel menu abbiamo inserito il riso, naturalmente. Un atto dovuto dal momento che è uno dei simboli gastronomici di Milano. Poi ci sono anche proposte più internazionali tipo il club sandwich e il croque monsieur, realizzati sempre con il Pan’cot. In carta anche una piccola proposta di carne e pesce, ma rappresentano una minima percentuale. Abbiamo poi deciso di togliere tutto il junk food, studiando valide e sane alternative alle tipiche proposte che accompagnano l’aperitivo. La patatina fritta ad esempio è stata sostituita da una cialda di riso espressa.
Quanto è POP il Camparino in Galleria?
La mia cucina POP è nata dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile, l’innovazione con la tradizione. Tutto questo lo si ritrova nella proposta del Camparino in Galleria. Uno dei capisaldi della mia filosofia poi è che ogni attività debba creare profitto, ma con i prezzi adeguati. Quindi nonostante la posizione esclusiva, all’ombra della Madonnina, parliamo sempre di qualcosa che non è esclusivo e relegato ad una élite.
Bar di passo
Cosa si augura per il domani?
Visti i tempi che corrono, oggi più che mai mi auguro di stare bene fisicamente. Ora dobbiamo pensare a come far girare al meglio i nostri nuovi uffici, freschi di restyling, così come il nostro nuovo laboratorio, che stiamo progettando e realizzando come un luogo di pensiero e di produzione dei lievitati. Mi auguro di continuare ad avere progetti interessanti per le mani, anche dal punto di vista editoriale, come il libro Mangia come parli, appena uscito, in collaborazione con Radio 24.
Un progetto particolare quello di Mangia come parli, che non parte dalla carta, ma dalla radio.
Diciamo che parte dalla cucina, come ogni buon libro sulla materia. Poi sì, il mezzo che lo ha visto nascere e crescere non è stato un foglio di carta, o il monitor di un pc. Ma la radio. Il libro infatti è la raccolta di 80 ricette estrapolate dal programma di Radio 24 “Mangia come parli”, condotto in coppia con il giornalista Pierluigi Pardo, che racconta un viaggio nelle regioni italiane, tra le ricette tradizionali e soprattutto parla di materie prime, a cui ho sempre riservato un rispetto infinito nella mia cucina, con un tocco dissacrante di Pierluigi. E proprio nel periodo più difficile per la nostra nazione, durante il Covid, quando mantenere alto il senso di nazionalismo era più importante che mai, abbiamo capito che forse questo programma meritava di essere portato ad uno stadio successivo, sulla carta.
Come ha vissuto la riapertura e il periodo post lockdown?
Inutile dire che sia stato e che sia ancora un momento storico unico e decisivo dal punto di vista imprenditoriale. Per quanto mi riguarda, la versione di me più altruista ha preso il sopravvento su tutto. Ho cercato di fare il possibile per salvaguardare tutti i collaboratori, e sono davvero felice e orgoglioso oggi, di poter dire che siamo riusciti a reintegrare tutti i ragazzi. Abbiamo anticipato i sussidi della cassa integrazione e abbiamo anche assunto personale nuovo. Inoltre abbiamo anche raggiunto un bel riconoscimento, siamo entrati a far parte de Le Soste, la guida che da quasi 40 anni raccoglie i migliori ristoranti italiani nel nostro Paese e nel resto d’Europa. Anche questo è stato un bel traguardo, e tagliarlo in un momento come questo, ci ha dato ossigeno e spinta per andare avanti con maggiore entusiasmo.
Ha senso parlare di stelle Michelin quest’anno?
Ho capito che ognuno ha la sua idea. Dal canto mio, posso parlare per quel che è la mia situazione attuale. Se ho deciso di riaprire, è perché sono sicuro al 100% di quello che sto facendo. Sono convinto di me, dei miei ragazzi, della mia materia prima e di quello che cucino. So che non ci sono sbavature, incertezze o punti deboli su cui posso cadere. E deve essere così. Perché la gente si aspetta questo. Quando entri in un ristorante come il mio, non accetti compromessi. Paghi per avere il massimo del servizio. È importante che il cliente ritrovi la stessa alta qualità a cui era abituato. Il rischio altrimenti è di perdere credibilità, con tutte le, prevedibili, conseguenze. Oltretutto il fatto di avere ridotto i coperti comporta fatturati inferiori rispetto alla fase pre Covid, quindi non c’è spazio per gli errori. Detto tutto questo, va da sé che non abbiamo paura dei giudizi di nessuno. È tutto criticabile, è tutto soggettivo, come è sempre stato. Ma la nostra sicurezza sul fatto che la qualità della cucina e del servizio siano di alto livello, resta ed è forte come prima.
Sala Spiritello
Cosa pensa della formazione online?
Non sono contrario alla formazione online, anzi, tengo anche dei webinar. Ma io resto un artigiano. Devo produrre. Devo fare. E devo usare le mani. La teoria va benissimo, il confronto anche, ma le parole devono sempre essere seguite dalla pratica.
Nella sua vita persiste una forte identità milanese. Sarà così anche in futuro?
La mia identità è fortemente milanese fin dalla nascita. Ho sempre portato avanti questo aspetto, e la città ha sempre ricambiato il mio affetto. Nel 2008 ho ricevuto l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza del comune di Milano, sono poi ambasciatore della Cucina italiana nel mondo e sono stato Ambassador Expo nel 2015. La mia cucina non può prescindere dalle mie origini, sarebbe impossibile per me snaturarmi o essere altro. Quindi il mio futuro sarà un’estensione evoluta del mio presente e del mio passato, sempre vicino alla tradizione milanese e alla grande cucina italiana, fatta di ricette ma anche e soprattutto di inestimabili materie prime.
Per informazioni: www.camparino.com - www.cucinapop.do
di Nadia Afragola
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