GLI STILI
DELL’ESPRESSO
ITALIANO
SUL BANCO
L’Istituto
Espresso Italiano, insieme all’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffé,
attraverso una poderosa ricerca, ha classificato gli stili dell’Espresso Italiano
in funzione delle loro caratteristiche sensoriali. Ma le differenze sono
percepibili dal consumatore?
Vi
siete mai chiesti perché, trattando di caffè, sia così bello parlare di
monorigini e perché le denominazioni di origini dei vini in Italia stiano
passando dal nome del campanile al nome delle regioni? Forse non tutti tra le
due cose ravvisano un collegamento immediato, ma c’è, è molto forte e va nel
segno del futuro.
Narrare un prodotto attraverso l’origine significa proiettare il consumatore in un mondo diverso da quello in cui vive e farlo sognare nell’esplorazione di luoghi nuovi. Ma nel caso del caffè significa portarlo all’estero, perché da noi non si coltiva: questo è bellissimo, ma giova poco alla nostra cultura e all’arte dell’Espresso Italiano, o meglio, giova solo nella misura in cui serve a spiegarla.
Diamo dunque un’occhiata al mondo del vino, decisamente più avanti nella narrazione di quanto sia quello del caffè.
Le denominazioni di origine risalgono al XIX secolo, al XVIII per alcuni, addirittura agli antichi Romani per altri. Accorciamo la storia e partiamo dal secolo scorso in cui hanno avuto diffusione in Italia, una diffusione tanto potente da diventare quasi un migliaio, perché ogni campanile voleva la sua. Anch’esse riportano a un luogo, ma a meno che non sia di reputazione storica ha senso solo per l’orgoglio dei suoi abitanti, al mondo dice poco o nulla. Ecco che in tempi moderni si è cominciato a utilizzare i nomi delle regioni, nell’ottica di una comunicazione più efficace. L’Istituto Espresso Italiano ha fatto propria la visione di ciò che significa in termini di narrazione avere a disposizione un luogo geografico con la sua cultura e le sue bellezze naturali e architettoniche. E, parallelamente, alle diversità che distinguono la nostra tazzina tradizionale, stili che con la globalizzazione potrebbero sbiadire fino a essere cancellati con conseguente perdita di una grande ricchezza se non fossero tutelati in modo scientifico. Ha quindi proceduto con una ricerca accurata, durata anni, per codificare l’Italia dell’espresso secondo un sistema che tenga conto del percepito del consumatore: la sensorialità . Dalla ricerca, utilizzando l’analisi sensoriale scientifica – e quindi molta statistica – sono emersi cinque stili: Alpino, Padano, Tirreno, Centrale e meridionale. Questi sono collegabili e spiegabili attraverso la cultura gastronomica e mediante le origini che compongono le miscele. Dunque il blend resta alla base dell’Espresso Italiano, ma non è di un solo campanile, bensì di un territorio abbastanza ampio da essere facilmente identificato anche da consumatori di nazioni molto distanti da noi. Se l’Espresso Italiano resta unico e irripetibile nel suo concetto generale, mediante gli stili acquisisce una denominazione territoriale che comunica la sua pluralità di espressione. distribuzione di miscele per espresso ottenuta attraverso analisi sensoriale eseguita con il metodo Trialtest Plus impiegando giudici dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè. Sul piano cartesiano le miscele sono collocate mediante i dati sensoriali gustativo-tattili (asse orizzontale) e olfattivi (asse verticale) elaborati con un algoritmo particolare. Il diametro della sfera rappresenta, invece, la valutazione del corpo. Attualmente in banca dati sono iscritte quasi mille miscele di tutto il mondo. Dalla loro collocazione si può desumere lo stile e, con buona approsimazione, la conformità ai canoni dell’Espresso Italiano.
Narrare un prodotto attraverso l’origine significa proiettare il consumatore in un mondo diverso da quello in cui vive e farlo sognare nell’esplorazione di luoghi nuovi. Ma nel caso del caffè significa portarlo all’estero, perché da noi non si coltiva: questo è bellissimo, ma giova poco alla nostra cultura e all’arte dell’Espresso Italiano, o meglio, giova solo nella misura in cui serve a spiegarla.
Diamo dunque un’occhiata al mondo del vino, decisamente più avanti nella narrazione di quanto sia quello del caffè.
Le denominazioni di origine risalgono al XIX secolo, al XVIII per alcuni, addirittura agli antichi Romani per altri. Accorciamo la storia e partiamo dal secolo scorso in cui hanno avuto diffusione in Italia, una diffusione tanto potente da diventare quasi un migliaio, perché ogni campanile voleva la sua. Anch’esse riportano a un luogo, ma a meno che non sia di reputazione storica ha senso solo per l’orgoglio dei suoi abitanti, al mondo dice poco o nulla. Ecco che in tempi moderni si è cominciato a utilizzare i nomi delle regioni, nell’ottica di una comunicazione più efficace. L’Istituto Espresso Italiano ha fatto propria la visione di ciò che significa in termini di narrazione avere a disposizione un luogo geografico con la sua cultura e le sue bellezze naturali e architettoniche. E, parallelamente, alle diversità che distinguono la nostra tazzina tradizionale, stili che con la globalizzazione potrebbero sbiadire fino a essere cancellati con conseguente perdita di una grande ricchezza se non fossero tutelati in modo scientifico. Ha quindi proceduto con una ricerca accurata, durata anni, per codificare l’Italia dell’espresso secondo un sistema che tenga conto del percepito del consumatore: la sensorialità . Dalla ricerca, utilizzando l’analisi sensoriale scientifica – e quindi molta statistica – sono emersi cinque stili: Alpino, Padano, Tirreno, Centrale e meridionale. Questi sono collegabili e spiegabili attraverso la cultura gastronomica e mediante le origini che compongono le miscele. Dunque il blend resta alla base dell’Espresso Italiano, ma non è di un solo campanile, bensì di un territorio abbastanza ampio da essere facilmente identificato anche da consumatori di nazioni molto distanti da noi. Se l’Espresso Italiano resta unico e irripetibile nel suo concetto generale, mediante gli stili acquisisce una denominazione territoriale che comunica la sua pluralità di espressione. distribuzione di miscele per espresso ottenuta attraverso analisi sensoriale eseguita con il metodo Trialtest Plus impiegando giudici dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè. Sul piano cartesiano le miscele sono collocate mediante i dati sensoriali gustativo-tattili (asse orizzontale) e olfattivi (asse verticale) elaborati con un algoritmo particolare. Il diametro della sfera rappresenta, invece, la valutazione del corpo. Attualmente in banca dati sono iscritte quasi mille miscele di tutto il mondo. Dalla loro collocazione si può desumere lo stile e, con buona approsimazione, la conformità ai canoni dell’Espresso Italiano.
Il banco di prova degli stili Tredici miscele qualificate dall’istituto Espresso
Italiano – quindi di alta qualità edonica – di altrettanti torrefattori ubicati
in aree molto diverse della penisola, durante Host 2019 sono state trasformate
in espresso da baristi qualificati Espresso Italiano Specialist con
attrezzature parimenti qualificate per Espresso Italiano Certificato seguendo
il rigido disciplinare che lo distingue. Le tazzine così preparate sono state
servite nel più assoluto anonimato a un pubblico casuale molto variegato, fatto
di operatori, comunicatori e consumatori provenienti dai cinque continenti, con
una scheda molto particolare (vedi immagine di apertura) mediante la quale si è
chiesta la provenienza del partecipante, la collocazione secondo lo stile e la
piacevolezza dell’espresso proposto. In totale sono state ottenute 238 prove
che, sottoposte ad analisi statistica univariata e bivariata, hanno consentito
di approdare a risultati molto interessanti.
Gli stili dell’Espresso Italiano
sono percepiti anche dai consumatori
sono percepiti anche dai consumatori
Per quanto i caffè fossero diversi anche nell’ambito del
territorio di provenienza – la marca è sicuramente un imprinting e questo giova
alla ricchezza del panorama sensoriale offerto dai torrefattori – il
consumatore ha rilevato la differenza confortando quanto decretato dagli assaggiatori
togati dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè durante i test di
laboratorio. La differenza percepita si
Gli stili dell’espresso italiano
Alpino. Un trionfo di fiori e frutta fresca ben supportati dalla freschezza e innestati su una base di pasticceria fine: brioche, cacao, caramello.
Padano Il corpo come valore principale, anche a costo di un abbozzo di astringente, sul quale incardinare toni potenti di cacao che supera la vaniglia, non senza un refolo di frutta secca da una parte e di liquirizia dall’altra.
Tirreno Simmetria e armonia: l’espresso tirreno pare disegnato dagli architetti del Rinascimento: plastico nel corpo, apre con note discrete di fiori e frutta fresca che trovano eco in quelle di pasticceria per consentire il centrale trionfo della frutta secca ed essiccata.
Centrale Buon corpo, ma senza rinunciare alla rotondità; verso le spezie, ma ancora tanta frutta secca ed essiccata, dolci da forno e pan tostato.
Meridionale Concentrazione massima, di colore e di corpo, senza cedere mai all’acidità, con una netta predisposizione allo speziato vero, quello del pepe, ma soprattutto dei chiodi di garofano, eventualmente adornato da frutta essiccata e da cacao. evince sia a livello delle singole miscele, sia a livello di gradimento del gruppo territoriale anche se in questo il fattore media aritmetica porta inevitabilmente al livellamento. Diverso è anche l’indice di identificazione dello stile: i due estremi, l’Alpino e il Meridionale sono quelli risultati con la maggiore collocazione corretta, mentre Padani e Centrali sono più vicini tra loro, e il Tirreno, forse perché proprio di un areale più ristretto, è il meno riconosciuto.
Alpino. Un trionfo di fiori e frutta fresca ben supportati dalla freschezza e innestati su una base di pasticceria fine: brioche, cacao, caramello.
Padano Il corpo come valore principale, anche a costo di un abbozzo di astringente, sul quale incardinare toni potenti di cacao che supera la vaniglia, non senza un refolo di frutta secca da una parte e di liquirizia dall’altra.
Tirreno Simmetria e armonia: l’espresso tirreno pare disegnato dagli architetti del Rinascimento: plastico nel corpo, apre con note discrete di fiori e frutta fresca che trovano eco in quelle di pasticceria per consentire il centrale trionfo della frutta secca ed essiccata.
Centrale Buon corpo, ma senza rinunciare alla rotondità; verso le spezie, ma ancora tanta frutta secca ed essiccata, dolci da forno e pan tostato.
Meridionale Concentrazione massima, di colore e di corpo, senza cedere mai all’acidità, con una netta predisposizione allo speziato vero, quello del pepe, ma soprattutto dei chiodi di garofano, eventualmente adornato da frutta essiccata e da cacao. evince sia a livello delle singole miscele, sia a livello di gradimento del gruppo territoriale anche se in questo il fattore media aritmetica porta inevitabilmente al livellamento. Diverso è anche l’indice di identificazione dello stile: i due estremi, l’Alpino e il Meridionale sono quelli risultati con la maggiore collocazione corretta, mentre Padani e Centrali sono più vicini tra loro, e il Tirreno, forse perché proprio di un areale più ristretto, è il meno riconosciuto.
Quale stile piace di più?
Possiamo dire che non c’è una significativa prevalenza di uno stile a livello di piacevolezza, a conferma che la qualità ha mille volti.
Senza quindi un conforto statistico vero e proprio, ma volendo comunque entrare nelle pieghe dei numeri, possiamo notare che i due stili opposti si posizionano ai vertici, quasi a indicare ancora una volta come il consumatore, nel caso del caffè, stia ancora procedendo verso prodotti di alta identità, capaci di stupirlo in attraverso caratteristiche marcate.
Insomma, per l’utente la potenza fa ancora premio sull’eleganza, ma seguendo i trend che si stanno affermando nelle società più evolute da un punto di vista sensoriale, il futuro sarà l’impero dell’armonia e quindi troveranno giustizia i Tirreni che si distinguono per un bilanciamento che ricorda i canoni rinascimentali. A questo contribuirà molto l’evoluzione culturale dell’utente: in campo enologico il neofita si lascia ancora convincere dalla potenza dei vini ad alta gradazione alcolica, mentre lo scolarizzato si orienta maggiormente verso l’eleganza. Chi nel settore caffè vorrà vedersi riconosciuta la capacità di fare qualità dovrà quindi promuovere con larghezza di mezzi la formazione del barista prima, facendone così un alleato per la formazione del consumatore.
Possiamo dire che non c’è una significativa prevalenza di uno stile a livello di piacevolezza, a conferma che la qualità ha mille volti.
Senza quindi un conforto statistico vero e proprio, ma volendo comunque entrare nelle pieghe dei numeri, possiamo notare che i due stili opposti si posizionano ai vertici, quasi a indicare ancora una volta come il consumatore, nel caso del caffè, stia ancora procedendo verso prodotti di alta identità, capaci di stupirlo in attraverso caratteristiche marcate.
Insomma, per l’utente la potenza fa ancora premio sull’eleganza, ma seguendo i trend che si stanno affermando nelle società più evolute da un punto di vista sensoriale, il futuro sarà l’impero dell’armonia e quindi troveranno giustizia i Tirreni che si distinguono per un bilanciamento che ricorda i canoni rinascimentali. A questo contribuirà molto l’evoluzione culturale dell’utente: in campo enologico il neofita si lascia ancora convincere dalla potenza dei vini ad alta gradazione alcolica, mentre lo scolarizzato si orienta maggiormente verso l’eleganza. Chi nel settore caffè vorrà vedersi riconosciuta la capacità di fare qualità dovrà quindi promuovere con larghezza di mezzi la formazione del barista prima, facendone così un alleato per la formazione del consumatore.
Gian Paolo Braceschi
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