La protesta dei 10mila ristoratori:
Non siamo untori,
vogliamo lavorare
La protesta indetta dalla Fipe e supportata dalla Fic in 24 piazze italiane ha raccolto l'adesione di 10mila professionisti che hanno voluto far valere le proprie ragioni dopo il decreto. Il presidente Lino Stoppani ha ribadito il momento di grave crisi, promettendo però che il settore non si arrenderà.
In 24 piazze italiane si è celebrato questa mattina il funerale della ristorazione alla presenza di circa 10mila ristoratori. La protesta indetta dalla Fipe (supportata anche dalla Fic - Federazione italiana cuochi) nei capoluoghi di regione ha raccolto l’adesione di migliaia di professionisti, scesi in piazza per protestare pacificamente, ma con fermezza, sulle disposizioni contenute nell’ultimo decreto: su tutte, la chiusura dei locali alle 18. Tra le piazze protagoniste anche Bergamo (dove Italia a Tavola è stata presente con una diretta social, visibile tuttora anche in testa a questo articolo oltre che su tutti i nostri canali ufficiali), chiamata a raccolta dalla Fipe come città simbolo della tragedia covid, sia da un punto di vista sanitario che sociale ed economico.
COPERTI ROVESCIATI PER TERRA IN SEGNO DI PROTESTA
Imprenditrici e imprenditori hanno simbolicamente apparecchiato per terra, disponendo oltre 1000 coperti rovesciati a ricordare alla politica lo stato di emergenza nel quale versa il settore della ristorazione con 300mila posti di lavoro a rischio, 50mila aziende che potrebbero chiudere entro fine 2020 e 2,7 miliardi di euro bruciati solo per effetto dell’ultimo decreto.
STOPPANI: A TERRA, MA NON CI ARRENDIAMO
«Noi oggi siamo a terra ma non ci arrendiamo – sottolinea il presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani - prima della pandemia davamo da mangiare a oltre 11 milioni di persone ogni giorno e vogliamo continuare a farlo. Oggi ci viene chiesto di sospendere la nostra attività per senso di responsabilità e per contribuire a ridurre l’impennata dei contagi. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, pur sapendo che i nostri locali sono sicuri. Lo sappiamo perché lo dicono i dati e lo sappiamo perché nei mesi scorsi abbiamo investito tempo, risorse ed energie per renderli sicuri. Non siamo untori e rivendichiamo il diritto di lavorare».
«DECRETO RISTORI? ORMAI POCA FIDUCIA»
«Il Decreto Ristori approvato dal Governo - prosegue Stoppani - è un primo importante segnale che va apprezzato, ma dopo decine di provvedimenti che hanno avuto problemi a diventare realmente operativi, penso ad esempio ai ritardi della cassa integrazione, il fattore tempo è essenziale per recuperare un po' di fiducia nelle istituzioni. Se le risorse promesse non arriveranno sui conti correnti degli imprenditori entro i primi giorni di novembre, il Paese perderà una componente essenziale dell’agroalimentare e dell’offerta turistica che da sempre ci rendono unici al mondo».
TANTE LE CATEGORIE COINVOLTE
Proprio per ribadire l’importanza del settore della ristorazione e dei pubblici esercizi in generale, i partecipanti alla manifestazione hanno imbracciato una serie di cartelli con impresse le loro parole d’ordine: dalle categorie professionali (cuochi, lavapiatti, bartender, sommelier, bagnini…) ai valori rappresentati (professionalità, accoglienza, ospitalità, passione…) ai numeri della crisi. Un modo per raccontare un mondo di saperi che rischia di perdersi.
CENTINAIA DI PROFESSIONISTI A BERGAMO
A Bergamo sul Sentierone, il salotto del centro città, si sono radunati centinaio di imprenditori e dipendenti guidati dal consigliere nazionale della Fipe, Giorgio Beltrami e dal direttore di Ascom, Oscar Fusini. Insieme alla Fipe anche decine di cuochi della Federazione italiana cuochi. Cuochi ma non solo, perché alla protesta hanno partecipato anche sommelier, barman, lavapiatti, addetti al catering. Una dimostranza pacifica, silenziosa, fatta di pochi slogan e molta amarezza.
BELTRAMI: NON SIAMO UNTORI
«Abbiamo già dovuto subire più di due mesi di chiusura - ha detto Beltrami - e adesso le restrizioni che ci obbligano a chiudere alle 18. I ristoranti che aprono solo a cena o i pub che aprono i loro locali alle 18 sono già in lockdown. Io credo che tutto ciò sia ingiusto, non possiamo essere additati come untori perché abbiamo applicato e rispettato i protocolli con spese sostanziose; adesso basta, basta indicare noi come responsabili del diffondersi del virus».
NEL MIRINO ANCORA LA RESPONSABILITA' SUI CONTROLLI
Beltrami torna con decisione anche sul tema tanto discusso dei controlli dentro e fuori dai locali per far rispettare i protocolli: «Sono indignato - ha detto - perché tutte le volte che avviene un problema fuori dai locali veniamo incolpati; noi rispondiamo per ciò che avviene all’interno, non all’esterno. La nostra ristorazione e la nostra accoglienza è invidiata nel mondo, ma ad ogni minimo problema noi siamo penalizzati. Oggi vogliamo dire che noi non accettiamo tutto questo. Non crediamo ai ristori che ci verranno dati - dicono a breve noi - per aiutarci, abbiamo visto quello che è successo con la prima ondata e la prima fase di chiusure. E poi veramente pensano che qualche migliaia di euro possa cambiare la realtà finanziaria di questi tempi? Ci aspettiamo di riaprire le nostre attività».
FUSINI: RISTORAZIONE SETTORE ESSENZIALE
Gli ha fatto eco il direttore di Ascom Bergamo, Oscar Fusini: «Bergamo è stata la capitale della pandemia - ha detto - e i bergamaschi sanno quanto abbia fatto male la situazione. Siamo qui oggi per chiedere di rivedere il dpcm e per ribadire che la ristorazione è essenziale, fa socialità, crea reddito, non è giusto fermarla anche perché non c’è nessuno studio che sostiene che i locali favoriscono il diffondersi del contagio».
ADDIO ALLA CULTURA DELLA TRATTORIA
L’umore nero dei ristoratori è emerso anche dalle loro parole, mai sopra le righe, ma incredule. Tra le maggiori sostenitrici della protesta Giuliana d’Ambrosio, un’icona della ristorazione bergamasca con la sua trattoria D’Ambrosio: «Non solo sono in piazza - ha detto - voglio essere in prima fila. Mi chiedo il senso di consentire le aperture fino alle 18, vuol dire che devo dare la trippa per cena ai miei clienti alle 16? Noi abbiamo riaperto solo da pochi giorni dopo il lockdown, ma viene poca gente, tutti hanno paura e al limite passano solo a salutarmi, ma non si fermano a mangiare. Questo significa perdere il senso della trattoria all’italiana. Ci stanno distruggendo».
IL CATERING RINVIA TUTTO A PASQUA 2021
Disastroso per il passato e presente e preoccupante anche guardando al futuro il quadro disegnato da Fabrizio Camer, presidente dell’Associazione cuochi Bergamo e componente del Consiglio nazionale della Fic, che si è concentrato soprattutto sul comparto del catering: «Il nostro lavoro è azzerato - ha detto - non abbiamo più un coperto e la prima previsione di lavoro che abbiamo è Pasqua 2021. La speranza è che ci facciano lavorare, ci siamo strutturati per fare tutto ciò che la legge ci ha chiesto e ora che ci siamo messi in regola, dobbiamo chiudere ancora. Questo è il momento di fare sinergia, non esiste concorrenza, siamo tutti colleghi: vogliamo poter sostenere le nostre aziende per mandare avanti le nostre famiglie».
Roma, Verona, Firenze e Milano
COPERTI ROVESCIATI PER TERRA IN SEGNO DI PROTESTA
Imprenditrici e imprenditori hanno simbolicamente apparecchiato per terra, disponendo oltre 1000 coperti rovesciati a ricordare alla politica lo stato di emergenza nel quale versa il settore della ristorazione con 300mila posti di lavoro a rischio, 50mila aziende che potrebbero chiudere entro fine 2020 e 2,7 miliardi di euro bruciati solo per effetto dell’ultimo decreto.
STOPPANI: A TERRA, MA NON CI ARRENDIAMO
«Noi oggi siamo a terra ma non ci arrendiamo – sottolinea il presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani - prima della pandemia davamo da mangiare a oltre 11 milioni di persone ogni giorno e vogliamo continuare a farlo. Oggi ci viene chiesto di sospendere la nostra attività per senso di responsabilità e per contribuire a ridurre l’impennata dei contagi. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, pur sapendo che i nostri locali sono sicuri. Lo sappiamo perché lo dicono i dati e lo sappiamo perché nei mesi scorsi abbiamo investito tempo, risorse ed energie per renderli sicuri. Non siamo untori e rivendichiamo il diritto di lavorare».
Trieste, Ancona, Bari e Perugia
«DECRETO RISTORI? ORMAI POCA FIDUCIA»
«Il Decreto Ristori approvato dal Governo - prosegue Stoppani - è un primo importante segnale che va apprezzato, ma dopo decine di provvedimenti che hanno avuto problemi a diventare realmente operativi, penso ad esempio ai ritardi della cassa integrazione, il fattore tempo è essenziale per recuperare un po' di fiducia nelle istituzioni. Se le risorse promesse non arriveranno sui conti correnti degli imprenditori entro i primi giorni di novembre, il Paese perderà una componente essenziale dell’agroalimentare e dell’offerta turistica che da sempre ci rendono unici al mondo».
TANTE LE CATEGORIE COINVOLTE
Proprio per ribadire l’importanza del settore della ristorazione e dei pubblici esercizi in generale, i partecipanti alla manifestazione hanno imbracciato una serie di cartelli con impresse le loro parole d’ordine: dalle categorie professionali (cuochi, lavapiatti, bartender, sommelier, bagnini…) ai valori rappresentati (professionalità, accoglienza, ospitalità, passione…) ai numeri della crisi. Un modo per raccontare un mondo di saperi che rischia di perdersi.
CENTINAIA DI PROFESSIONISTI A BERGAMO
A Bergamo sul Sentierone, il salotto del centro città, si sono radunati centinaio di imprenditori e dipendenti guidati dal consigliere nazionale della Fipe, Giorgio Beltrami e dal direttore di Ascom, Oscar Fusini. Insieme alla Fipe anche decine di cuochi della Federazione italiana cuochi. Cuochi ma non solo, perché alla protesta hanno partecipato anche sommelier, barman, lavapiatti, addetti al catering. Una dimostranza pacifica, silenziosa, fatta di pochi slogan e molta amarezza.
Bergamo
BELTRAMI: NON SIAMO UNTORI
«Abbiamo già dovuto subire più di due mesi di chiusura - ha detto Beltrami - e adesso le restrizioni che ci obbligano a chiudere alle 18. I ristoranti che aprono solo a cena o i pub che aprono i loro locali alle 18 sono già in lockdown. Io credo che tutto ciò sia ingiusto, non possiamo essere additati come untori perché abbiamo applicato e rispettato i protocolli con spese sostanziose; adesso basta, basta indicare noi come responsabili del diffondersi del virus».
NEL MIRINO ANCORA LA RESPONSABILITA' SUI CONTROLLI
Beltrami torna con decisione anche sul tema tanto discusso dei controlli dentro e fuori dai locali per far rispettare i protocolli: «Sono indignato - ha detto - perché tutte le volte che avviene un problema fuori dai locali veniamo incolpati; noi rispondiamo per ciò che avviene all’interno, non all’esterno. La nostra ristorazione e la nostra accoglienza è invidiata nel mondo, ma ad ogni minimo problema noi siamo penalizzati. Oggi vogliamo dire che noi non accettiamo tutto questo. Non crediamo ai ristori che ci verranno dati - dicono a breve noi - per aiutarci, abbiamo visto quello che è successo con la prima ondata e la prima fase di chiusure. E poi veramente pensano che qualche migliaia di euro possa cambiare la realtà finanziaria di questi tempi? Ci aspettiamo di riaprire le nostre attività».
FUSINI: RISTORAZIONE SETTORE ESSENZIALE
Gli ha fatto eco il direttore di Ascom Bergamo, Oscar Fusini: «Bergamo è stata la capitale della pandemia - ha detto - e i bergamaschi sanno quanto abbia fatto male la situazione. Siamo qui oggi per chiedere di rivedere il dpcm e per ribadire che la ristorazione è essenziale, fa socialità, crea reddito, non è giusto fermarla anche perché non c’è nessuno studio che sostiene che i locali favoriscono il diffondersi del contagio».
ADDIO ALLA CULTURA DELLA TRATTORIA
L’umore nero dei ristoratori è emerso anche dalle loro parole, mai sopra le righe, ma incredule. Tra le maggiori sostenitrici della protesta Giuliana d’Ambrosio, un’icona della ristorazione bergamasca con la sua trattoria D’Ambrosio: «Non solo sono in piazza - ha detto - voglio essere in prima fila. Mi chiedo il senso di consentire le aperture fino alle 18, vuol dire che devo dare la trippa per cena ai miei clienti alle 16? Noi abbiamo riaperto solo da pochi giorni dopo il lockdown, ma viene poca gente, tutti hanno paura e al limite passano solo a salutarmi, ma non si fermano a mangiare. Questo significa perdere il senso della trattoria all’italiana. Ci stanno distruggendo».
IL CATERING RINVIA TUTTO A PASQUA 2021
Disastroso per il passato e presente e preoccupante anche guardando al futuro il quadro disegnato da Fabrizio Camer, presidente dell’Associazione cuochi Bergamo e componente del Consiglio nazionale della Fic, che si è concentrato soprattutto sul comparto del catering: «Il nostro lavoro è azzerato - ha detto - non abbiamo più un coperto e la prima previsione di lavoro che abbiamo è Pasqua 2021. La speranza è che ci facciano lavorare, ci siamo strutturati per fare tutto ciò che la legge ci ha chiesto e ora che ci siamo messi in regola, dobbiamo chiudere ancora. Questo è il momento di fare sinergia, non esiste concorrenza, siamo tutti colleghi: vogliamo poter sostenere le nostre aziende per mandare avanti le nostre famiglie».
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