Aprire solo all'aperto?
Un far west. Tavolini
anche sugli alberi
pur di lavorare
Franco Pepe, Teresa Iorio, Gianfranco Iervolino |
«Metteranno tavoli anche sugli alberi pur di lavorare e allora sarà un far west». I ristoratori di tutta Italia sono sul piede di guerra (ancora) dopo che la bozza del prossimo Dpcm che stilerà la road map delle riaperture da qui al 31 luglio ha confermato la riapertura dei ristoranti a pranzo e cena, solo all’aperto e solo in zona gialla dal 26 aprile. L’immagine più significativa l’ha offerta Daniele Fabiani, del ristorante Vittoria di Ascoli e presidente provinciale della Fipe. «Chi ha locali che sono un buco, ma avrà spazi all’aperto metterà tavoli ovunque mentre chi ha grandi locali, ma solo al chiuso non potrà lavorare eppure dovrà continuare a pagare pesanti affitti. A me sembra che siano stati fatti solo passi indietro».
A proposito di montagna, la situazione viene vista così talmente paradossale che c’è addirittura chi, esasperato, riesce a fare ironia. È il caso del ristorante hotel K2 di Foppolo (in altissima val Brembana, provincia di Bergamo) che nei giorni scorsi non appena era ventilata la possibilità di riaperture ma solo all’aperto ha postato un video sul proprio profilo Facebook dove veniva simulata una cena al tavolo, ma all’esterno, sulla neve, con copertone di lana per coprirsi, candele per scaldarsi e piatti congelati in tavola. Caption: “Quando hai un ristorante in montagna e il Governo ti dice che puoi aprire, ma devi avere i tavoli all’aperto».
La titolare, Gabriella Berera ha commentato: «Facevano prima a dire che in montagna non si poteva riaprire, da noi anche a luglio potrebbe essere complicato mangiare all’aperto».
Il meteo dunque non fa altro che aggiungersi come variabile impazzita in uno scenario che ormai da oltre un anno è più incerto che mai. Un elemento che impedisce ai ristoratori di programmare il lavoro e che rischia di essere un ulteriore motivo di spese buttate. «Non possiamo programmare gli acquisti guardando le previsioni del tempo - ha detto Luca Morgan, chef-patron del ristorante “Chimera di Bacco” di Trieste - cosa faccio, se c’è il sole sto tranquillo e compro il branzino mentre se c’è una nuvola all’orizzonte ci ripenso? Quanto pane faccio? E se il tempo fosse incerto la gente verrà o no? Io faccio acquisti per 5mila euro al giorno, così non è sostenibile».
Tra le scelte poco comprensibili del Governo c’è anche tanta confusione, nella bozza mancano tanti elementi di specificazione che si teme saranno oggetto di contenziosi molto accesi. La testimonianza di come anche i ristoratori ci abbiano capito poco delle decisioni che si stanno prendendo arriva da Silverio Nanu, del ristorante Rifugio di Nuoro che, intervistato dalla Nuova Sardegna ha spiegato che con la distanza di due metri al tavolo, all’interno, non potrà più riaprire. La buona notizia per lui è che però la distanza di due metri, ipotizzata alla vigilia, è scomparsa dalla bozza di documento.
Torna a chiedere aiuti diretti invece Roberto Colombo, della birreria “La Botte” di Melgrate (Lc): «Occorre un vero risarcimento, non briciole - ha detto - per chi ha un locale che prima della pandemia lavorava quasi esclusivamente in fascia serale-notturna non c’è convenienza a tenere aperto per l’asporto fino alle 18. Riaprire soltanto ai tavoli si può, si eviterebbe il rischio di assembramenti e che il titolare debba fare il carabiniere con i propri clienti».
Sugli spazi all’aperto si è espressa anche l’amministrazione comunale di Verona che, attraverso il sindaco Federico Sboarina ha promesso una delibera a favore della ristorazione per la concessione del suolo pubblico tempestiva ricordando che dal 18 maggio ad oggi sono già stati concessi 400 plateatici in città. Il sindaco ha sollevato anche la questione del “cameriere da dehor” ovvero un addetto del locale che dovrà monitorare la situazione e il rispetto delle norme fuori dal locale visto che ci sarà difficoltà nel lavorare dentro e fuori, tra cucina e sala».
Le richieste dell'Apci (Associazione professionale chef italiani)
A sottolineare gli aspetti irrisolti della road map “riaperture” sono anche Agrocepi e Apci (Associazione professionale chef italiani) che invitano ancora una volta le istituzioni ad affrontare con determinazione e serietà l’ormai gravissima situazione in cui versa l’intero comparto agroalimentare e della ristorazione, segnato dalle difficoltà generate dalla pandemia, ma anche dall’indecisione dei governi che si sono alternati.
«Chiediamo a gran forza - commenta Sonia Re, direttore generale di Apci-Associazione Professionale Cuochi Italian i- un’apertura stabile e regolare per tutti, con date definite e con una programmazione seria e precisa. Chiediamo accordi con i Comuni per la gestione degli spazi all’aperto. E ancora, e questo è il punto che più ci sta a cuore, chiediamo Protocollo di Sicurezza, che fornisca indicazioni chiare per chi ha spazi interni. Da parte nostra l’impegno è quello della categoria al rispetto delle regole e delle indicazioni».
«Se muoiono il settore Horeca e Ristorazione - sottolinea il presidente Nazionale Agrocepi, Corrado Martinangelo, facendo proprio l'allarme di Apci - si affossa buona parte della filiera agroalimentare».
«Questo decreto legge - ha detto Gianfranco Iervolino della Pizzeria 450 gradi - è di un'ignoranza che offende l'intelligenza del ristoratore. I luoghi più attrezzati ormai sono i ristoranti, ci siamo attrezzati con tutto e il fatto delle aperture dei dehors è sinonimo di non voler aprire. Io ne ho uno con 10 tavoli, ma a un metro di distanza la situazione è molto difficile, dovrò fare accomodare solo sei-sette persone. E con questo non ci pago le bollette».
Chiude il discorso Franco Pepe, di Pepe in Grani, uno dei profili internazionali più di spicco. «Faccio molta fatica a comprendere come vogliono far ripartire le attività - ha detto - non hanno mai considerato la differenza fra grandi città e periferia. Io che sono in un piccolo centro di 5mila anime, faccio fatica con l’asporto e il delivery che hanno fatto venir meno la forza del progetto Pepe in Grani. Auspico quindi una maggiore rappresentanza in futuro del comparto del food nelle istituzioni. Che senso ha aprire solo fuori a maggio con meteo ballerino e temperature basse? Mi conviene interrompere la cassa integrazione dei dipendenti di fronte a questa incertezza? Siamo i primi a doversi tutelare, sia noi che i dipendenti, ma secondo me si doveva dare la responsabilità ai territori di decidere chi e dove aprire e in che modalità in base a verifiche e riscontro dei protocolli. Noi dobbiamo aspettare venerdì per capire il cambio di colore, poi forse ripartiamo lunedì. Ma come facciamo a ripartire in tre giorni su approvvigionamento, prenotazioni e simili? Per riprogrammare ho bisogno di tempi e modalità certe». Italiaatavola
I disagi maggiori, in montagna. Ma c'è chi ci scherza su
La preoccupazione, il disagio e la rabbia sono diffusi, da nord a sud tra tutti i ristoratori. Due le problematiche principali: da una parte chi è completamente tagliato fuori perché non ha spazi all’aperto, dall’altra chi gli spazi ce li ha ma dovrà lavorare almeno fino all’1 giugno sempre con lo sguardo rivolto verso il cielo sperando che faccia bel tempo, soprattutto in montagna.A proposito di montagna, la situazione viene vista così talmente paradossale che c’è addirittura chi, esasperato, riesce a fare ironia. È il caso del ristorante hotel K2 di Foppolo (in altissima val Brembana, provincia di Bergamo) che nei giorni scorsi non appena era ventilata la possibilità di riaperture ma solo all’aperto ha postato un video sul proprio profilo Facebook dove veniva simulata una cena al tavolo, ma all’esterno, sulla neve, con copertone di lana per coprirsi, candele per scaldarsi e piatti congelati in tavola. Caption: “Quando hai un ristorante in montagna e il Governo ti dice che puoi aprire, ma devi avere i tavoli all’aperto».
La titolare, Gabriella Berera ha commentato: «Facevano prima a dire che in montagna non si poteva riaprire, da noi anche a luglio potrebbe essere complicato mangiare all’aperto».
Il meteo dunque non fa altro che aggiungersi come variabile impazzita in uno scenario che ormai da oltre un anno è più incerto che mai. Un elemento che impedisce ai ristoratori di programmare il lavoro e che rischia di essere un ulteriore motivo di spese buttate. «Non possiamo programmare gli acquisti guardando le previsioni del tempo - ha detto Luca Morgan, chef-patron del ristorante “Chimera di Bacco” di Trieste - cosa faccio, se c’è il sole sto tranquillo e compro il branzino mentre se c’è una nuvola all’orizzonte ci ripenso? Quanto pane faccio? E se il tempo fosse incerto la gente verrà o no? Io faccio acquisti per 5mila euro al giorno, così non è sostenibile».
Preoccupazione e confusione anche in Sicilia e Sardegna
Il problema tuttavia non è solo della montagna perché anche in Sicilia e Sardegna c’è grande rammarico. Giovanni Trimboli, presidente dei ristoratori di Catania ha detto: «Il 35% di noi non potrà più riaprire, per questo è nostro diritto e dovere denunciare quello che lo Stato ancora oggi cerca di cammuffare come idee geniali, ma che non sono altro che fallimenti. Non ci fidiamo più. Siamo l’unica categoria che sta pagando per tutti, è un controsenso».Tra le scelte poco comprensibili del Governo c’è anche tanta confusione, nella bozza mancano tanti elementi di specificazione che si teme saranno oggetto di contenziosi molto accesi. La testimonianza di come anche i ristoratori ci abbiano capito poco delle decisioni che si stanno prendendo arriva da Silverio Nanu, del ristorante Rifugio di Nuoro che, intervistato dalla Nuova Sardegna ha spiegato che con la distanza di due metri al tavolo, all’interno, non potrà più riaprire. La buona notizia per lui è che però la distanza di due metri, ipotizzata alla vigilia, è scomparsa dalla bozza di documento.
Senza lavoro, necessari aiuti economici statali
La tensione dei ristoratori è dettata soprattutto dal fatto che con queste disposizioni le perdite continueranno ad aumentare. Andrea Nizzi, presidente Parma quality restaurants: «Se i dati sono in calo è assurdo non pensare di riaprire i ristoranti anche all’interno, il Governo permetta a tutti di riaprire e vedrete che le nostre difficoltà si risolveranno da sole».Torna a chiedere aiuti diretti invece Roberto Colombo, della birreria “La Botte” di Melgrate (Lc): «Occorre un vero risarcimento, non briciole - ha detto - per chi ha un locale che prima della pandemia lavorava quasi esclusivamente in fascia serale-notturna non c’è convenienza a tenere aperto per l’asporto fino alle 18. Riaprire soltanto ai tavoli si può, si eviterebbe il rischio di assembramenti e che il titolare debba fare il carabiniere con i propri clienti».
Perdite economiche anche per i Comuni
Ma le perdite sono anche per i Comuni: «Per le amministrazioni comunali - spiega il vicesindaco di Rieti, Daniele Sinibaldi - è difficile fare i conti perché dal Governo non sono ancora arrivate disposizioni sulle possibilità di concedere suolo pubblico. Per noi sarà probabile una perdita da 400mila euro con il 30% delle attività del centro storico che ad ora non hanno spazi all’aperto».Sugli spazi all’aperto si è espressa anche l’amministrazione comunale di Verona che, attraverso il sindaco Federico Sboarina ha promesso una delibera a favore della ristorazione per la concessione del suolo pubblico tempestiva ricordando che dal 18 maggio ad oggi sono già stati concessi 400 plateatici in città. Il sindaco ha sollevato anche la questione del “cameriere da dehor” ovvero un addetto del locale che dovrà monitorare la situazione e il rispetto delle norme fuori dal locale visto che ci sarà difficoltà nel lavorare dentro e fuori, tra cucina e sala».
Le richieste dell'Apci (Associazione professionale chef italiani)
A sottolineare gli aspetti irrisolti della road map “riaperture” sono anche Agrocepi e Apci (Associazione professionale chef italiani) che invitano ancora una volta le istituzioni ad affrontare con determinazione e serietà l’ormai gravissima situazione in cui versa l’intero comparto agroalimentare e della ristorazione, segnato dalle difficoltà generate dalla pandemia, ma anche dall’indecisione dei governi che si sono alternati.«Chiediamo a gran forza - commenta Sonia Re, direttore generale di Apci-Associazione Professionale Cuochi Italian i- un’apertura stabile e regolare per tutti, con date definite e con una programmazione seria e precisa. Chiediamo accordi con i Comuni per la gestione degli spazi all’aperto. E ancora, e questo è il punto che più ci sta a cuore, chiediamo Protocollo di Sicurezza, che fornisca indicazioni chiare per chi ha spazi interni. Da parte nostra l’impegno è quello della categoria al rispetto delle regole e delle indicazioni».
«Se muoiono il settore Horeca e Ristorazione - sottolinea il presidente Nazionale Agrocepi, Corrado Martinangelo, facendo proprio l'allarme di Apci - si affossa buona parte della filiera agroalimentare».
Le posizioni dei pizzaioli
La posizione contraria arriva dai ristoratori, ma anche dal mondo dei pizzaioli. «Ho solo la sala interna e di spazio ce n’è poco - ha detto Teresa Iorio - posso mettere solo un paio di tavoli fuori. A questo punto tanto vale aspettare piuttosto che aprire. E in questo aspettiamo ancora i ristori, io ho ricevuto solo duemila euro. Il rischio purtroppo è che chi è vessato dai costi fissi e non ha disponibilità, vada a cercare soldi altrove». Non è un caso che Confcommercio solo ieri abbia parlato di un'altissimo numero di imprese che sono a rischio usura in tutta Italia.«Questo decreto legge - ha detto Gianfranco Iervolino della Pizzeria 450 gradi - è di un'ignoranza che offende l'intelligenza del ristoratore. I luoghi più attrezzati ormai sono i ristoranti, ci siamo attrezzati con tutto e il fatto delle aperture dei dehors è sinonimo di non voler aprire. Io ne ho uno con 10 tavoli, ma a un metro di distanza la situazione è molto difficile, dovrò fare accomodare solo sei-sette persone. E con questo non ci pago le bollette».
Chiude il discorso Franco Pepe, di Pepe in Grani, uno dei profili internazionali più di spicco. «Faccio molta fatica a comprendere come vogliono far ripartire le attività - ha detto - non hanno mai considerato la differenza fra grandi città e periferia. Io che sono in un piccolo centro di 5mila anime, faccio fatica con l’asporto e il delivery che hanno fatto venir meno la forza del progetto Pepe in Grani. Auspico quindi una maggiore rappresentanza in futuro del comparto del food nelle istituzioni. Che senso ha aprire solo fuori a maggio con meteo ballerino e temperature basse? Mi conviene interrompere la cassa integrazione dei dipendenti di fronte a questa incertezza? Siamo i primi a doversi tutelare, sia noi che i dipendenti, ma secondo me si doveva dare la responsabilità ai territori di decidere chi e dove aprire e in che modalità in base a verifiche e riscontro dei protocolli. Noi dobbiamo aspettare venerdì per capire il cambio di colore, poi forse ripartiamo lunedì. Ma come facciamo a ripartire in tre giorni su approvvigionamento, prenotazioni e simili? Per riprogrammare ho bisogno di tempi e modalità certe». Italiaatavola
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