lunedì 4 ottobre 2021

Carenza di personale? Bisogna cambiare la formazione: ecco Welcoming Design

 

Carenza di personale? Bisogna cambiare 

la formazione: ecco Welcoming Design

Uno - Milano: “UNiversità dell’Ospitalità” e Poli.design del Politecnico di Milano hanno lanciato un nuovo corso di formazione per professionisti dell'accoglienza e non solo. Partirà nella primavera 2022 con 20 posti Obiettivo? Costruire un nuovo modello di professionista. Paolo Verizzi, fra i promotori dell'iniziativa: «Competenze trasversali, empatia e lavoro sul campo per il maitre di domani»

di Nicola Grolla


Dalle riaperture di aprile ad oggi, passando per il picco della stagione estiva, un leit motiv accomuna tutta la ristorazione: manca il personale per far marciare ristoranti, hotel, bar, pizzerie e pubblici esercizi in generale. Cuochi, camerieri, maitre, sommelier e tutte quelle figure legate al mondo dell’accoglienza stanno vivendo una crisi di vocazione. Un po’ per questioni legate alla formazione (con le scuole alberghiere chiamate a un’evoluzione didattica che metta maggiormente al centro la pratica e la “vita vera” di chi lavora in questo settore), un po’ per l’appeal di ruoli e mansioni gravose (si lavora quando gli altri si divertono) e un po’ per la difficoltà di far incontrare domanda e offerta – soprattutto da un punto di vista salariale. Come uscirne? Creando un nuovo lavoro.

 

Welcoming design, il corso per i maitre di domani

Questa la risposta messa sul tavolo da Uno - Milano: “UNiversità dell’Ospitalità” e Poli.design del Politecnico di Milano che insieme hanno lanciato il corso in Welcoming Deisgn. Obiettivo: «Rispondere a un’esigenza specifica di cura e attenzione nei confronti delle necessità dell’ospite, dando grande importanza alla relazione con lui e combinando soft e hard skill con l’intenzione di formare junior manager che siano attenti non solo agli aspetti tecnici ma anche a quelli più ampiamente culturali», ha affermato Stefano Scaroni, imprenditore e fondatore di Uno. Il corso è stato presentato lo scorso 23 settembre nel corso di un evento alla Villa Reale di Monza a cui hanno partecipato anche partecipato l'assessore all'Istruzione della Regione Lombardia Frabrizio Sala e il direttore generale Gianni Bocchieri oltre al presidente e all'amministratore delegato di Poli.design Francesco Zurlo e Matteo Ingaramo. 

 

L'intervista a Paolo Vizzari

A sostenere Scaroni in questo progetto ci sono anche Matias Perdomo, chef stellato di Contraste e Paolo Vizzari, narratore gastronomico. Proprio a quest’ultimo abbiamo chiesto di spiegarci i contorni di questa iniziativa che punta a prendere avvio nella primavera 2022 mettendo a disposizione 20 posti.

Da dove nasce l’idea del primo corso al mondo di alta formazione in Welcoming Desing?

Con Scaroni e Perdomo abbiamo iniziato a ragionare su questo progetto partendo proprio dalla moria di personale di sala o cucina che caratterizza il settore dell’Horeca post-pandemia. Ci siamo chiesti: c’è un modo diverso per insegnare ai ragazzi professioni tradizionali? Mentre cercavamo una risposta, un metodo alternativo ci siamo resi conto che il modello di cui eravamo alla ricerca interessava tanto alla ristorazione quanto ad altri settori come moda, lusso e design. Tutti accomunati dalla necessità di avere un certo savoir faire nei confronti del cliente. Pian piano, quindi, abbiamo spostato l’obiettivo del corso: da percorso per professionisti a percorso per l’ospitalità in senso lato. E qui nasce anche l’avvicinamento con Poli.design: volevamo qualcuno più bravo di noi a livello di didattica e di credibilità per portare avanti un progetto innovativo e quasi rivoluzionario. 

Che valore aggiunto garantisce questa collaborazione?

L’intento è quello di prendere il meglio di chi progetta il prima dell’esperienza, ossia il designer, e di chi manovra il tempo in diretta, ossia il personale di sala, per formare il personale dell’accoglienza di domani. Figure professionali che ancora non ci sono sul mercato e per cui ascolto e attenzione, ma anche comprensione del fondo culturale dell’altro, sono aspetti essenziali per imparare ad accogliere l’ospite nel migliore dei modi. Detto diversamente: noi non vogliamo insegnare a far felice il prossimo, ma a capire e comprendere cosa lo fa felice per anticiparlo. 

Soft skill che potrebbe rinverdire la tradizionale figura del cameriere e del maitre in un momento in cui, da un lato, c’è penuria di personale qualificato e, dall’altro, le scuole di formazione non sembrano allineate alle esigenze del mercato. Come mai secondo lei?

Su questo hanno inciso molti fattori. Con la pandemia, ci siamo resi conto del valore della vita, del tempo della vita, e delle sue pause. Una sensibilità che cozza con mestieri usuranti come possono essere quelli legati al mondo della ristorazione. Soprattutto fra i giovani. Per animare i ragazzi e avvicinarli alla sala non basta più mostrare loro cos’è e come si fa un lavoro; bisogna cambiare il messaggio. Il nostro è molto semplice: attraverso il corso che abbiamo in mente si impara a stare al mondo, a leggere la realtà e applicare questa dote in diversi campi. Non mi stupirei, per esempio, se dopo aver partecipato al nostro corso e aver fatto un’esperienza in sala di un certo livello un nostro allievo finisse per lavorare in Ferrari o Loropiana. Si tratta di mettere a punto le stesse skills. Detto diversamente, la persona che è capace di far felice un magnate russo al ristorante sarà brava a trattarlo anche come diplomatico. Troppo spesso, infatti, diamo per scontato che l’empatia sia un talento empirico, ma anche questo si può controllare, migliorare e utilizzare a seconda del contesto e della persona che abbiamo di fronte nel migliore dei modi.

Quali saranno quindi le materie del corso di studi?

Da un lato, ci sarà il rapporto diretto, a livello di docenza, con grandi chef e uomini di sala che hanno lavorato tanto nell’hotellerie quanto nella ristorazione, nel lusso e nel food&beverage. Dall’altro, c’è la volontà, in collaborazione con Poli.design, di insegnare il lato teorico-pratico della user experience, della gestione del punto vendita, della lettura delle metriche digitali, ecc. L’obiettivo è quello di dare ai partecipanti tutti quegli strumenti che gli permettano di leggere la situazione e comportarsi di conseguenza. L’approccio è quello del design thinking: sfruttare in modo più adatto qualcosa che già c’è. E su questo, a nostro avviso, c’è ampio margine per uno sviluppo.

Che vantaggi per le imprese?

Trovare sul mercato del lavoro un profilo trasversale. Non puntiamo a formare un profilo univoco, masterizzato. Ipoteticamente, ci poniamo la sfida di cambiare anche il modo con cui il bigliettaio si interfaccia con il cliente. Il modo giusto di porsi è un vantaggio per chi lo esercita, mentre la gentilezza non è solo un regalo agli altri ma anche un privilegio verso se stessi.

In che senso?

Faccio un esempio personale. Io collaboro con la Fiera del Tartufo di Alba. Negli scorsi anni si sono registrati anche picchi del 75% di presenza straniera sul totale dei partecipanti. Ecco, in questo momento, molti di questi flussi sono alla finestra, attendono di tornare in Europa e in Italia in particolare. Soprattutto il pubblico alto spendente che qui da noi si aspetta di trovare un servizio all’italiana. Ecco questo è lo strumento che vogliamo potenziare: un modello di ospitalità che si basa sulla capacità di leggere la situazione. La stessa cosa che avviene nei ristoranti di provincia dove, dietro alla calda accoglienza del maitre e del cameriere c’è la volontà di instaurare un rapporto capace di massimizzare la resa per il business. Bisogna sviluppare tutto il potenziale latente dell’empatia italiana.

Ambizione non da poco.

Certo, la parte più difficile è proprio questa. Per riuscirci prevediamo di mettere gli allievi a stretto contatto con queste situazioni quotidianamente, quattro ore per volta. La speranza è che, al pari degli chef che attraverso la televisione sono diventati degli idoli, anche gli uomini di sala possano trovare il proprio posto al sole.

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