Formaggi,
origine garantita...
anche al ristorante
Così come negli ultimi anni è accaduto per il vino, diventato specchio di una ristorazione di qualità, anche per i formaggi andrebbe utilizzata maggiore attenzione per indicare sempre al consumatore la provenienza
Per la qualità dei formaggi acquistati (che sono da sempre uno degli alimenti base della dieta italiana), le famiglie battono gli esercizi pubblici per 5 a 1. A mettere nero su biancocome il re della cucina sia nudo in tema di latticini è stato Stefano Berni, direttore generale della più importante realtà del mondo caseario italiano, il Consorzio Grana Padano. Di fatto, nel carrello della spesa vince la marca certificata Dop, mentre nel fuori casa è quasi impossibile sapere quale formaggio (ma il ragionamento vale anche per olio o carne) viene usato nella ricetta. E a maggior ragione, salvo casi lodevoli (che non sono certo quelli segnalati su TripAdvisor come eccellenti...), non c’è quasi mai un’indicazione sulla tracciabilità, per cui non si sa nemmeno se il prodotto è made in Italy o meno. Eppure la maggior parte dei menu sono oggi pieni di piatti in cui sono elencati, davvero in modo stucchevole, un sacco di ingredienti...
La denuncia fatta da Berni sulla scarsa attenzione ai prodotti tipici da parte dei ristoranti è netta quanto circostanziata. «Su 100 kg di formaggio vaccino grattugiato e utilizzato nelle cucine professionali - dice - non più di 56 kg sono di formaggi a denominazione, il resto proviene da produzioni casearie similari. Mentre nei consumi domestici i formaggi similari già grattugiati vengono acquistati in proporzioni nettamente inferiori, il 12% delle bustine. Questo vuol dire che le famiglie sono più propense a scegliere la qualità Dop rispetto al prezzo, negli esercizi invece il prezzo guida le forniture».
Eppure, per restare al campo caseario, in Italia il 50% dei formaggi e derivati dal latte sono a denominazione, mentre un competitor come la Francia ne ha soltanto il 14% di certificati. Come dire che di spazio per valorizzarli anche al ristorante ce ne sarebbe. Così come si fa con il vino che è diventato negli anni uno dei simboli del nuovo modo di intendere la ristorazione di qualità (dalla cura delle carte agli abbinamenti, anche nelle trattorie e nelle pizzerie), sarebbe tempo di alzare l’asticella con tanti altri prodotti.
La questione è di garantire il consumatore riguardo alla provenienza. E non a caso questo è uno degli obiettivi indicati con chiarezza da Cesare Baldrighi, presidente di Aicig, l’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche, che non a caso ha richiesto al ministero delle Politiche agricole un intervento affinché nei 330mila locali italiani dove si somministra cibo (e dove si consuma il 35% della spesa alimentare nazionale) siano indicate con chiarezza le provenienze dei prodotti utilizzati. Se ne avvantaggerebbe tutto il sistema a livello di salute pubblica e molti consumatori forse comprenderebbero come a volte si spendano davvero male i soldi, anche per menu che sembrano più che convenienti...
La denuncia fatta da Berni sulla scarsa attenzione ai prodotti tipici da parte dei ristoranti è netta quanto circostanziata. «Su 100 kg di formaggio vaccino grattugiato e utilizzato nelle cucine professionali - dice - non più di 56 kg sono di formaggi a denominazione, il resto proviene da produzioni casearie similari. Mentre nei consumi domestici i formaggi similari già grattugiati vengono acquistati in proporzioni nettamente inferiori, il 12% delle bustine. Questo vuol dire che le famiglie sono più propense a scegliere la qualità Dop rispetto al prezzo, negli esercizi invece il prezzo guida le forniture».
Eppure, per restare al campo caseario, in Italia il 50% dei formaggi e derivati dal latte sono a denominazione, mentre un competitor come la Francia ne ha soltanto il 14% di certificati. Come dire che di spazio per valorizzarli anche al ristorante ce ne sarebbe. Così come si fa con il vino che è diventato negli anni uno dei simboli del nuovo modo di intendere la ristorazione di qualità (dalla cura delle carte agli abbinamenti, anche nelle trattorie e nelle pizzerie), sarebbe tempo di alzare l’asticella con tanti altri prodotti.
La questione è di garantire il consumatore riguardo alla provenienza. E non a caso questo è uno degli obiettivi indicati con chiarezza da Cesare Baldrighi, presidente di Aicig, l’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche, che non a caso ha richiesto al ministero delle Politiche agricole un intervento affinché nei 330mila locali italiani dove si somministra cibo (e dove si consuma il 35% della spesa alimentare nazionale) siano indicate con chiarezza le provenienze dei prodotti utilizzati. Se ne avvantaggerebbe tutto il sistema a livello di salute pubblica e molti consumatori forse comprenderebbero come a volte si spendano davvero male i soldi, anche per menu che sembrano più che convenienti...
di Alberto Lupini
direttore
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