La patata
che "spussa"
tanto amata
dal Duce
A
Levade, in Croazia, è iniziata da qualche settimana la stagione
del tartufo: odori e
sapori che ammaliano, coinvolgono e incantano. Il tartufo: è storia, simbolo di uno spazio incontaminato, esempio
d’interazione con il territorio e diventa veicolodi ospitalità, di desiderio
di conoscere; una terra
che si trasforma in profumi
e sapori
L'Istria
si conferma vera e propria patria del benessere. Da metà mese, con le prime
vere piogge, ogni fine settimana fino al 19 novembre Levade si merita il titolo
di capitale del tartufo in quanto vi si tengono le Zigante truffle days (siamo
alla vigilia del terzo dei dieci weekend previsti dal programma), autentica
fiera del tubero (aste comprese) e di ciò che vede questo diamante istriano nel
ruolo di protagonista in veste di una sorta di gastro-protagonista autoctono:
formaggio col tartufo, salamini al tartufo, vari pesti al tartufo (tartufate),
financo liquori al tartufo. Il triangolo di terra compreso fra Pisino, Buie e
Pinguente, ma specialmente nella valle del Quieto e nel bosco di Montona, è da
considerare terreno fertile per tartufo nero e tartufo bianco.
Se
c’è al mondo un alimento raro, costoso e ricercato è sicuramente il magico
tubero. Conosciuto e apprezzato da sempre compariva sulle tavole dei re
mesopotamici e sumeri con la sua fama di afrodisiaco già quaranta secoli fa. Il
“re” della zona di cui sopra è Giancarlo Zigante, capace di costruire un impero
investendo nel tartufo ricchezza di questi terreni. Oltre al fattore turismo e
a quello gastronomico l’Istria è da considerare terra di grande consumo di
tartufi, sia bianchi sia neri. Tanto che oggi lo troviamo in tanti
piatti/prodotti non solo grattugiato sui fusi, ma specie su carni pregiate come
quella di “boscarin” o all’interno del ripieno di ravioli istriani, nelle uova
in “fritaia”.
Insomma
si può dire che il tartufo è parte integrante della vita degli istriani del
centro-penisola di cui però poi ha profitto l’intera offerta turistica della
regione, offerta che lascia poi il segno a sentire i turisti, se vi aggiungiamo
pure vini d’eccellenza, prosciutto, pesce crostacei, frutti di mare e altri
prodotti che ci offre il Dio Nettuno. I tartufi istriani vengono ritenuti dagli
intenditori degni di quelli piemontesi (più noti internazionalmente perché
scoperti prima e grazie a un battage pubblicitario negli anni) e cosa da non
tralasciare con le stesse caratteristiche organolettiche.
Il bosco magico
La
vera miniera d’oro del tartufo istriano è costituita dal bosco di San Marco a
Montona, nella valle del Quieto, dove per secoli la Serenissima Repubblica di
Venezia trasse alberi per le navi costruite nei suoi arsenali. La foresta
all’epoca era delimitata per chilometri da pietre di cui si conservano ancor
oggi alcuni esemplari su cui si nota chiaramente scolpito il Leone di San
Marco. Dall’alto di Montona il colpo d’occhio sulla foresta è immenso, si riesce
a cogliere il suo sviluppo ad ipsilon lungo la vallata del fiume Quieto. Altre
piccole tartufaie si trovano anche nelle zone di Pinguente, Pisino e Buie.
Il
tartufo è parte di questa meraviglia, è storia, è simbolo di uno spazio
incontaminato, è esempio di interazione con il territorio e diventa veicolo di
ospitalità, di desiderio di conoscere una terra anche attraverso storia, storia
che poi diventa profumi e sapori... basta lasciarsi trasportare coinvolgere e
incantare.
Da
qui proviene anche il tubero in assoluto più grande al mondo finora raccolto.
Venne trovato il 2 novembre 1999 da Giancarlo Zigante (titolare di un omonimo
ristorante a Levade e dell’omonima catena di negozi e prodotti alimentari
istriani) con una passione quella per il tartufo che ha ormai compiuto il
quarto di secolo rigorosamente basato su “tutto quanto fa tartufo”. Grazie al
fiuto della sua cagnetta Diana, Zigante assurse agli onori della cronaca con un
tartufo bianco denominato Millennium di ben 1,310 kg e certificato dal Guinness
World Record: è stato questo il là, quel quid che ci voleva per fare del tubero
un compagno di vita tanto che oggi Zigante, a Plovania, è proprietario
dell’unico impianto in Croazia per la trasformazione del tartufo (ci vengono
realizzati una cinquantina di prodotti). La Zigante tartufi S.r.l. è stata
inaugurata e aperta nel giugno del 2008 dall’allora presidente Stjepan Mesić.
Patata che spussa
La
scoperta del tartufo istriano è cosa relativamente recente, risale attorno agli
anni Trenta. Avvenne ad opera di militari piemontesi che ravvisarono analogie
ambientali con le loro terre. Fino ad allora “la patata che spusa” veniva data
ai maiali: quest’ultimi venivano impiegati per la loro ricerca e vennero
sostituiti dai cani perché una volta trovato il tubero lo mangiavano. Ma anche
con i cani (i migliori sono un incrocio fra il bracco tedesco e il labrador, e
meglio ancora se i figli vengono ancora incrociati col segugio istriano) il
tartufaio deve stare attento perché quelli più anziani ormai potrebbero fare lo
stesso in quanto per loro l’odore ha lo stesso effetto di una droga: una volta
trovato il tubero va scavato estratto a volte anche dalla bocca del cane,
riposto nella borsa e il buco va ricoperto (questa la regola principale).
Per fare il tartufaio ci vuole una licenza, ma sono tanti
gli abusivi: basta passare in macchina in una mattina d’autunno di buon’ora
lungo il budello di strada di ponte Porton e si possono vedere tantissime
macchine parcheggiate ai bordi della strada: targhe di tutti i tipi, molti gli
italiani, esclusivamente a caccia di tartufi.
Regalo a Mussolini
Una
tesi su come sia arrivato il tartufo in Istria racconta che le spore siano
state portate in queste terre nel 1902 con le traversine di legno italiano
impiegate nella costruzione della Ferrovia Parenzana, la linea secondaria
costruita dagli Asburgo per collegare Trieste con Parenzo attraversando tutta
l’Istria. Ma curiosamente la raccolta del tartufo venne introdotta in Istria
nel 1929 da Carlo Testoni e Piero Giovannelli che scoprirono i primi tuberi
vicino Pola, cioè lontano dalla zona di cui si parla oggi. Nel 1932 l’ultimo
podestà di Portole, Pietro Facchin, avviò la raccolta su scala commerciale
proprio a Levade, ottenendo la prima concessione demaniale: rastrellava tutto
il raccolto ed i tartufi più grossi, in una cassetta, venvivano mandati in
regalo a Mussolini. La strada istriana del tartufo parte da Plovania e Castelvenere,
attraversa i colli di Momiano, Cremegne, Sterna e Portole scendendo poi verso
la “capitale” Levade. Leggenda racconta che nel 1927, su invito di un gruppo di
imprenditori interessati a sviluppare la raccolta e il commercio del tartufo,
giunsero a Levade quattro esperti tartufai italiani, forse di Alba o forse
marchigiani (altra terra ricca di tartufi). Un giorno un ragazzo del paese li
sorprese a scavare con delle palette in un prato. “Siete seduti su una miniera
d’oro – sentenziarono gli esperti – e non lo sapete”. Secondo la leggenda il
tartufo non era mai stato raccolto prima, e per i locali era materiale di
scarto. Negli anni a seguire agli esperti si affiancarono alcuni cacciatori e
contadini di Levade.
Clima
La presenza di tartufi, preferendo terreni umidi, è
strettamente legata alle condizioni climatiche: prediligono alcuni tipi di
alberi in special modo quercie, noccioli e carpini neri. Quest’estate è stata
secca e caldissima con pochi scrosci. La pioggia necessaria, e forse troppa, è
arrivata solo a metà settembre. Sarà interessante col tempo, quando la
temperatura si abbasserà in modo più sensibile, scoprire i segreti del terreno
del bosco San Marco e quali effetti avrà avuto questo clima pazzo sulla
presenza di tartufi: chiaramente se ce ne saranno pochi il prezzo salirà
vertiginosamente.
Anticamente era ritenuto un animale o, secondo alcune
leggende, cibo del diavolo e delle streghe
Caratteristiche
Anticamente ritenuto un animale o,
secondo alcune leggende, cibo del diavolo e delle streghe, il tartufo è un
fungo ipogeo capace di crescere spontaneamente nel terreno, appartenente alla
famiglia delle Tuberaceae. La rarità della produzione, il profumo penetrante,
il sapore unico e deciso, rende il diamante della cucina una prelibatezza per
il palato tutta da scoprire.
Gusto pungente e inconfondibile, a molti il tartufo non
piace. Anche un ingrediente così prestigioso vanta proprietà di tutto rispetto.
Dal basso apporto calorico è un’ottima fonte di proteine e ha un bassissimo
contenuto di grassi. Inoltre non contiene colesterolo e aiuta a diminuire i
livelli di colesterolo totale nel sangue. È ricco di microelementi come
vitamine (in particolare vitamina D) e soprattutto minerali. Ottima fonte di
magnesio, il suo consumo costante protegge il sistema cardiomuscolare. Contiene
calcio che rinforza ossa e denti, e potassio stimolante per i reni. Rappresenta
un ottimo rimedio naturale in caso di demineralizzazione.
Ma soprattutto il tartufo è un potente antiossidante che
aiuta a contrastare i radicali liberi, schiarendo la pelle e attenuando la
formazione di macchie. Inoltre ha proprietà elasticizzanti che stimolano la
produzione di collagene, sostanza naturale che mantiene tonica la pelle.
Insomma, il prezioso diamante nero ha insospettate doti di vero e proprio anti
età naturale.
Piaceri amorosi
Nel 1978 i ricercatori del dipartimento di Psicologia
dell’Università di Birmingham diedero in osservazione a volontari fotografie di
donne vestite. Solo ad alcuni fu fatto annusare, prima del giudizio, il tartufo
bianco. Bene, questo gruppo di volontari diede alle immagini punteggi più alti
rispetto agli altri e questo bastò, secondo i ricercatori, a confermare la
presunta carica erogena del tartufo.
Il medico Michele Savonarola consigliava i tartufi come
a quei vecchi che avevano una bella moglie. Platina, erudito dell’epoca, non
solo assegnò al tartufo un alto potere nutritivo, ma lo definì: “un eccitante
della lussuria… servito spesso nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e
raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”.
L’efficacia dei tartufi era così proverbiale da meritare una testimonianza
letteraria di Pietro Aretino, riferita ad un vecchio che non riusciva a godere
dei piaceri amorosi: “né per tartuffi, ne per carcioffi, né per lattovari puoté
mai drizzare il palo, e se pur l’alzava un poco, tosto ricadeva giuso…”.
I
trattati italiani di gastronomia del Seicento parlano del potere rinvigorente
del tubero come un fatto scontato, e la sua virtù non viene dimenticate neppure
nelle memorie di Casanova. Per tutto il Medioevo, il tartufo è stato spesso
collegato a leggende diaboliche che lo hanno relegato, crescendo nelle
profondità della terra, a cibo per le classi povere. Intorno al 1400 le
abitudini cambiarono, quando il tartufo assunse un ruolo sociale, diventando
segno tangibile dell’identità del territorio. Più avanti nel tempo diventò un
cibo estremamente costoso e molto apprezzato dalle tavole più ricercate.
Fabio Sfiligoi (Panorama Edit)
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