Dal sacrificio
alla dignità: il futuro della ristorazione
passa dalle scuole
Basta turni infiniti e stipendi da fame: le nuove generazioni chiedono rispetto e condizioni sostenibili. Alma e le scuole di cucina diventano il ponte tra studenti e brigate, per salvare il futuro della cucina italiana. In quest'intervista a Candida D’Elia, responsabile della Comunicazione, si sottolinea l’importanza di un equilibrio tra formazione e lavoro
Redattore
Il recente dibattito acceso dalle denunce sullo sfruttamento nella ristorazione, riportato da Italia a Tavola, ha evidenziato una realtà spesso nascosta dietro l’immagine patinata delle cucine stellate: turni massacranti, sottopagati e senza tutele, che rischiano di trasformare la passione in una forma moderna di schiavitù professionale. In questo contesto, la voce delle scuole di alta formazione assume un valore centrale. A raccogliere la sfida è Alma - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana, che con i suoi programmi mira a coniugare eccellenza formativa e condizioni di lavoro più sostenibili.
Nell’intervista rilasciata a Italia a Tavola, Candida D’Elia, responsabile delle relazioni esterne di Alma, racconta come l’istituto operi da vero e proprio ponte tra studenti e ristoranti, cercando di bilanciare il diritto all’apprendimento con le esigenze delle brigate. Un approccio che parte dalla consapevolezza di dover educare non soltanto alla tecnica, ma anche a una cultura del lavoro equilibrata, capace di contrastare dinamiche di sfruttamento. Le parole di D’Elia mostrano come la scuola voglia farsi interprete di un cambiamento che non riguarda soltanto la cucina ma l’intero settore dell’ospitalità. La sfida è non perdere talenti, evitando che giovani motivati abbandonino la professione a causa di condizioni insostenibili.

Alma e il ruolo delle scuole di cucina tra studenti e brigate
Nel mondo della ristorazione contemporanea il dibattito non riguarda soltanto la tecnica, ma soprattutto il rapporto tra qualità della formazione e condizioni di lavoro. La D’Elia spiega come la missione dell’istituto, che dovrebbe essere propria di tutti gli enti di formazione, sia diventata quella di fungere da ponte tra due mondi: da un lato gli studenti con le loro ambizioni, dall’altro le brigate con le loro esigenze organizzative. «Il nostro ruolo - racconta D’Elia - è quello di garantire un equilibrio tra il diritto degli studenti a un apprendimento sicuro e il bisogno dei ristoranti di avere professionisti pronti a gestire i ritmi della cucina. Non si tratta di frenare il talento, ma di incanalarlo in un percorso sostenibile».
La questione del bilanciamento tra vita lavorativa e personale è oggi al centro di un confronto che, fino a pochi anni fa, non esisteva. «Come magari poteva avvenire in passato, dove c'era una disponibilità al sacrificio estremo che era determinata dalla volontà di fare determinate esperienze, arrivare, lavorando in posti prestigiosi e quindi si era disposti ad accettare anche tutto ciò che era implicito nel lavoro della cucina».
La selezione e l’impegno degli studenti Alma
Alma accoglie studenti che scelgono volontariamente un percorso di alta formazione, affrontando un investimento economico e personale rilevante. Questa condizione genera una sorta di selezione naturale: chi entra è motivato a intraprendere un cammino professionale, non amatoriale.

«Gli studenti che arrivano ad Alma - sottolinea D’Elia - sono consapevoli che qui non si tratta di un semplice show cooking. Si lavora quotidianamente con orari intensi, in un contesto che richiede disciplina, impegno e costanza. Per questo è fondamentale insegnare anche la cultura del lavoro sostenibile: saranno loro i futuri ristoratori e dovranno applicare a loro volta queste regole».

L’obiettivo non è solo trasmettere competenze culinarie, ma educare a un modello di gestione che sappia evitare gli eccessi di disponibilità, dettati dalla determinazione e dalla ricerca di affermazione, e le condizioni di sfruttamento.
Lo stage come esperienza formativa e non di sacrificio
Il periodo di stage rappresenta una tappa decisiva. Alma mantiene un monitoraggio costante attraverso tutor, feedback intermedi e report condivisi con le strutture ospitanti. In questo modo, l’esperienza pratica diventa parte integrante della formazione, non un banco di prova punitivo. «Noi esortiamo gli studenti - spiega la responsabile - a comunicarci ogni disagio, perché non vogliamo che affrontino 15 ore di lavoro al giorno senza senso. Lo stage non deve trasformarsi in un sacrificio fine a sé stesso, ma in una palestra di crescita personale e professionale. Io non voglio degli eroi, voglio delle persone che dialoghino in continuo e nel dialogo si modulano poi anche le proprie attese, le proprie capacità».

Molti ristoranti collaborano attivamente, creando percorsi virtuosi. Non mancano gli esempi di chef che accompagnano i ragazzi in visite didattiche, cantine e viaggi formativi, oppure che invitano l’intera brigata ad assistere a lezioni in Alma. «Molti chef hanno capito che è necessario perché al di là degli stipendi, al di là delle ore, c'è proprio una questione di "ci tengo a te, tengo alla tua crescita e quindi ogni volta che ne ho l'occasione cerco di proporti delle attività che ti facciano bene, che ti facciano crescere". E in conseguenza, rafforziamo il nostro legame, il nostro essere team».

Questo approccio rafforza lo spirito di squadra e rende l’apprendimento più concreto. «Ma qui stiamo parlando dei problemi, è un po' l'albero che cade che fa più rumore della foresta che cresce, siamo partiti a parlare dei problemi ma è veramente una percentuale minima rispetto invece a storie molto virtuose»
Accoglienza e comunicazione come basi di un inserimento corretto
Uno dei temi centrali rimane l’accoglienza dei giovani nelle brigate. Quando gli studenti vengono introdotti in una cucina senza spiegazioni né riferimenti, il rischio è che si sentano smarriti e abbandonino l’esperienza. «Il primo passo deve essere l’accompagnamento - ribadisce D’Elia -. Non basta affidare un ragazzo a una macchina che macina ore di lavoro: è necessario guidarlo, spiegargli le regole, la storia, e le dinamiche della struttura».

Nel settore della ristorazione la gestione dei tempi di lavoro resta una sfida complessa: spesso le giornate superano le otto ore non solo per servizio, ma per attese e tempi morti. Alcuni ristoranti sperimentano turno unico o chiusure aggiuntive per garantire riposo. Le norme esistono, ma l’applicazione pratica è difficile. Secondo Candida D’Elia, servono modelli più sostenibili: non sempre è possibile adottare la doppia brigata per i costi, ma si può ottimizzare l’organizzazione, riducendo sprechi di tempo e bilanciando i carichi in modo intelligente.

La forza del fare sistema tra scuole
Un passaggio importante è stato la nascita di un coordinamento tra le scuole di ristorazione italiane, promosso da Fipe, tra cui Alma, ICIF, In Cibum e altre realtà private e pubbliche. Questo network ha l’obiettivo di portare istanze comuni alle istituzioni, creando una voce unica a favore della categoria. «Da sole le scuole hanno poco peso - osserva D’Elia - ma unite possiamo rappresentare un comparto fondamentale dell’ospitalità italiana, che include ristorazione, hotellerie e turismo. Non stiamo perseguendo un interesse personale, stiamo perseguendo un interesse della categoria, del come non perdere i talenti, come non frustrare la crescita dei giovani cuochi, ristoratori, albergatori, insomma del futuro».

«A me non piace usare il termine sfruttamento, è un termine che penso che sia eccessivo, perché gli stagisti sono persone che vanno ad apprendere il mestiere. Finché c'è questo scambio, io ti do il mio lavoro fisico e tu mi insegni il mestiere, non si può parlare di sfruttamento, si deve parlare di sfruttamento quando io ti do il mio lavoro fisico e tu non sai neanche che io sono al mondo, nel senso che sono buttato in cucina e nessuno mi forma, nessuno mi affianca».
Esperienze all’estero: opportunità da riportare in Italia
Sul rapporto con l’estero, D’Elia è chiara: «Non bisogna scappare dall’Italia. È utile andare all’estero per apprendere buone pratiche, ma la vera sfida è riportarle qui e adattarle al nostro contesto, che è comunque diverso. Poi, in molti paesi si guadagna molto di più, ma la vita costa tantissimo, non si ha un sistema di stato sociale che ti possa assistere quando hai un bisogno di cure mediche e quant'altro, quindi è troppo semplificato dire all'estero si sta meglio».

Molti studenti scelgono questo percorso: partono per stage internazionali e tornano con un bagaglio di esperienze che applicano in Italia, contribuendo alla crescita del settore nazionale.
L’ipotesi di un’agenzia nazionale per la ristorazione
L’idea di creare un’agenzia nazionale per la ristorazione e l’accoglienza potrebbe portare maggiore chiarezza. Oggi infatti ruoli come restaurant manager o food & beverage manager non hanno riconoscimenti ufficiali.

«Servirebbe una regolamentazione chiara - afferma - che definisca stipendi, inquadramenti e competenze certificate. Non possiamo continuare con titoli autoattribuiti, senza un percorso formativo riconosciuto. Pensiamo solo a quanto quanto è importante la nutrizione oggi parlando di sanità, è accettabile che venga promossa o preparata da persone che non hanno nessun titolo, che non hanno studiato? Questo deve cambiare, nel senso che deve essere dato un valore a chi si è preparato, sicuramente dovremmo avere qualcosa di più che un antestato di HCCP in mano per aprire una struttura ristorativa».
Il problema degli alloggi per stagisti e giovani chef
Un altro nodo cruciale è quello degli alloggi nelle aree turistiche, dove il costo della vita è spesso proibitivo. Molti ristoranti hanno risposto creando case del personale, strumenti indispensabili per ospitare stagisti italiani e stranieri. «Senza queste soluzioni - conferma D’Elia - non sarebbe possibile garantire mobilità agli studenti. L’alloggio è un sacrificio per le strutture, ma rappresenta un investimento sul futuro dei team».
Supporto psicologico per gli studenti
Alma ha introdotto uno sportello di ascolto psicologico gestito dalla dottoressa Angelica Ferri. Questo servizio offre supporto durante fasi critiche come esami o stage, ma fornisce anche feedback preziosi alla scuola e alle strutture partner.

Il modello è innovativo perché non si limita a curare i problemi, ma li traduce in strumenti per migliorare l’organizzazione complessiva.
Una nuova consapevolezza
Il settore della ristorazione è oggi più consapevole che mai. «Gli chef hanno capito - conclude D’Elia - che non basta la passione. Serve attenzione alla qualità della vita, benessere psicologico e gestione equilibrata dei team. Molti hanno già ridotto i giorni di apertura o introdotto figure di supporto nelle brigate. È un percorso in atto e irreversibile. Quindi non credo siano gli chef a dover fare questa riflessione».

Il dibattito sullo sfruttamento non può restare un esercizio di buone intenzioni. Le scuole come Alma stanno indicando una strada, ma senza un cambio radicale di mentalità il rischio è evidente: le cucine si svuotano, i giovani scappano e la grande tradizione gastronomica italiana resta senza eredi. Non bastano la passione e i sogni stellati, servono condizioni di lavoro dignitose, sostenibili e riconosciute. Chi non lo capisce, chi continua a pensare che la “gavetta” sia sinonimo di sacrificio sterile, finirà semplicemente per non avere più brigate da guidare. La cucina italiana è patrimonio mondiale, ma senza rispetto per chi ci lavora rischia di diventare solo un mito del passato.


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