Un litro e mezzo al giorno. È questa la quantità generalmente raccomandata per una corretta assunzione di liquidi nella dieta quotidiana. L’acqua, più o meno ricca di sali minerali, è un elemento essenziale per il nostro organismo: il patrimonio idrico di un individuo sano rappresenta infatti circa il 60 per cento del corpo. Ma esistono persone che devono limitarne il consumo e altre che, al contrario, dovrebbero aumentarlo? E quali sono i rischi legati a un’assunzione eccessiva?

Le acque minerali: una panoramica
A meno che non si abbiano particolari problemi di salute, come riporta Humanitas Salute, si può scegliere liberamente quale acqua minerale bere. Le acque oligominerali contengono una bassa quantità di minerali - in particolare calcio, sodio e magnesio - e risultano quindi leggere e adatte a un consumo quotidiano. Le acque minerali, invece, possiedono un contenuto più elevato di sali, variabile in base alla sorgente da cui sgorgano. L’acqua può essere anche classificata come acida o alcalina, a seconda della concentrazione di bicarbonato.
Al momento dell’imbottigliamento, può essere aggiunta anidride carbonica, ottenendo così l’acqua frizzante o gasata: un gas incolore, inodore e non tossico. Esistono poi acque effervescenti naturali, che sgorgano già leggermente gasate grazie al contatto con anidride carbonica durante il percorso sotterraneo. Le acque oligominerali sono particolarmente indicate per chi soffre di calcoli renali, ipertensione o cardiopatie, poiché favoriscono un miglior equilibrio idrico senza sovraccaricare l’organismo di minerali.
Le acque povere di sodio
La pubblicità mette spesso in evidenza la qualità delle acque minerali a basso contenuto di sodio. Questo elettrolita è presente nel sangue e, insieme a fattori come ereditarietà e obesità, può contribuire allo sviluppo dell’ipertensione arteriosa. Un eccesso di sodio nella dieta può favorire l’ipertensione attraverso diversi meccanismi. Chi assume troppo sale tende ad avvertire un forte senso di sete e quindi a bere più acqua, con un conseguente aumento del patrimonio idrico e salino dell’organismo.

Questo processo può favorire la comparsa di ipertensione, motivo per cui uno dei primi rimedi consiste spesso nella somministrazione di diuretici, che favoriscono l’eliminazione renale di acqua e sodio. Il sodio, inoltre, sembra contribuire indirettamente all’aumento della pressione arteriosa rendendo i recettori vascolari più sensibili all’azione delle sostanze vasocostrittrici. Per questo motivo, le persone ipertese dovrebbero preferire acque con una bassa concentrazione di sodio.
Quando si beve troppo
Il rene è un organo fondamentale per la regolazione dell’equilibrio idrico. Grazie a specifici sensori, è in grado di aumentare o ridurre l’eliminazione urinaria in base alla quantità di acqua assunta, mantenendo costante il contenuto idrico dell’organismo. In caso di eccesso, un rene sano aumenta la diuresi; in condizioni di disidratazione (come febbre, diarrea o forte sudorazione), invece, riduce le perdite di liquidi. Quando il rene è compromesso da una malattia, questa capacità di autoregolazione viene meno. L’organismo può allora andare incontro ai rischi sia dell’eccessiva idratazione sia della disidratazione. Un’alterata regolazione dei liquidi corporei è particolarmente pericolosa nei pazienti con malattie cardiache severe, che possono essere a rischio di scompenso. In questi casi, il medico consiglia di limitare l’assunzione di liquidi, sia direttamente sia attraverso gli alimenti, poiché un eccesso di acqua e sale può favorire un improvviso scompenso cardiaco.
Chi deve bere meno?
Il rene è un organo che invecchia, e negli anziani la sua funzionalità diminuisce fisiologicamente. Per questo motivo, è importante tenere conto dell’età quando si calcola la quantità ottimale di liquidi da assumere ogni giorno. Un organismo anziano tende a smaltire con maggiore difficoltà l’eccesso di acqua, con possibili conseguenze come edema, ipertensione e problemi cardiaci. Allo stesso tempo, gli anziani sono esposti anche al rischio opposto: la disidratazione. Con l’età, infatti, si riduce la sensibilità delle papille gustative e il senso di sete può affievolirsi, portando a un apporto insufficiente di acqua, specialmente nei periodi di grande caldo.
La sete è un importante meccanismo di difesa contro la disidratazione, ma può non essere più affidabile in età avanzata. Per i pazienti anziani affetti da cardiopatie o problemi renali è consigliabile mantenere un bilancio idrico equilibrato, assumendo una quantità di liquidi pari alla diuresi quotidiana. È utile anche controllare regolarmente il peso corporeo: un aumento improvviso può essere segno di un eccesso di acqua nell’organismo, con conseguenti rischi di ipertensione o scompenso cardiaco.
Chi deve bere di più?
Ci sono invece situazioni in cui è importante aumentare il consumo di acqua. Chi soffre di calcoli renali, ad esempio, deve bere di più per mantenere le urine diluite ed evitare che si creino le condizioni favorevoli alla formazione dei calcoli. Questa strategia è nota come “terapia idropinica”: consiste nel diluire, attraverso un maggiore apporto di acqua, i sali litogeni presenti nelle urine, riducendo così il rischio di precipitazione e aggregazione che può portare alla formazione del calcolo.

Anche le giovani donne che soffrono frequentemente di infezioni urinarie - come la cistite - dovrebbero aumentare il consumo di acqua, poiché un apporto insufficiente favorisce un’eccessiva concentrazione delle urine, creando un ambiente propizio alla proliferazione batterica. Un forte senso di sete può infine rappresentare uno dei primi segnali di diabete non controllato. In questi casi, l’eccessiva sete è legata all’aumento della glicemia e si accompagna spesso a poliuria, cioè a un’elevata produzione di urina. Questo accade perché il glucosio in eccesso nel sangue e nelle urine esercita un effetto diuretico, aumentando la perdita di liquidi e stimolando la necessità di bere di più. IaT

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