Sì al ministero dell'Alimentazione
I ristoranti meritano
dignità e tutele
Lino Enrico Stoppani |
Dagli Stati generali alla movida selvaggia, alla leadership della Fipe. Un dialogo aperto e costruttivo con le istituzioni per promuovere un modello di sviluppo replicabile in tutta Italia. Nel frattempo l'associazione evidenzia che le assunzioni a luglio 2020 saranno la metà rispetto al 2019.
Aiuti alle imprese, movida da tenere sotto controllo, assembramenti, nuove strategie di business e poi turismo, criminalità, smart working e molto altro. Le sfide che il mondo dei pubblici esercizi si trova a dover affrontare dopo il lockdown sono molteplici e i margini per progettare e fermarsi a riflettere sono pochissimi perchè i buchi nei bilanci sono già ampi e difficilmente recuperabili. Ecco perchè anche la Fipe, l'associazione che tutela gli stessi imprenditori in crisi, si trova a dover fare i conti con una rimodulazione del lavoro che sia efficace e rapida.
La crisi per i pubblici esercizi infatti continua. I dati del Sistema informativo Excelsior confermano il pesante impatto dell’emergenza sanitaria sull’occupazione nella ristorazione da tempo denunciato da Fipe-Confcommercio. Sono appena 56.920 le assunzioni previste dalle imprese a luglio 2020 a fronte di un dato 2019 che vedeva nello stesso mese un incremento dei posti di lavoro del 12,6% rispetto alla media annua, pari a poco meno di 105mila unità.
Lo ha dimostrato ampiamente durante il periodo di chiusura di essere il riferimento per il settore. E non potrebbe essere altrimenti consideranto che ha all’attivo oltre 120mila soci. I pubblici esercizi, punto di forza della nostra economia, rappresentano un universo che conta più di 300mila imprese, 1 milione di addetti e un valore aggiunto superiore ai 40 miliardi di euro. Nel 2019 il giro d’affari, sommando bar e ristoranti, ha raggiunto gli 86 miliardi di euro. Un formidabile veicolo di promozione dell’agroalimentare, asset strategico e cardine della nostra offerta turistica.
Per tracciarne i confini e delineare gli sviluppi di questo mercato in fase di ripartenza, Italia a Tavola ha incontrato il presidente della Federazione italiana pubblici esercizi Lino Enrico Stoppani.
Presidente Stoppani, quale è il bilancio dopo gli Stati Generali?
Abbiamo fatto una riflessione di carattere generale sui temi del turismo dove abbiamo evidenziato una criticità prioritaria e tre sfide che il Governo dovrebbe affrontare. Sul turismo in generale c’è un problema di governance ed è inammissibile che ci sia questa incapacità di coordinamento tra Stato e Regioni su quelle che sono oggi le competenze. A causa dell’abrogazione del ministero del Turismo e dell’intervento sul titolo V della Costituzione le competenze sono state affidate alle Regioni e lo Stato ha evidentemente un ruolo marginale. È necessario ripristinare una competenza concorrente tra Stato e Regioni. Con lo Stato che deve avere sul tema del turismo il ruolo di definizione delle linee strategiche di carattere generale sulle quali le Regioni poi operano con i loro strumenti. La governance del turismo ha bisogno di una cabina di regia unica che dia la direzione. Le tre sfide che abbiamo messo sul tavolo agli Stati Generali sono riferite alla riqualificazione del comparto, alla sua accessibilità digitale dal punto di vista della mobilità infrastrutturale e l’interconnessione, perché il turismo italiano è caratterizzato da vari turismi che non si parlano mai e non si sovrappongono. Una regia potrebbe consentirlo.
E riguardo i temi specifici?
Abbiamo detto al presidente del Consiglio che c’è bisogno di provvedimenti di emergenza e di visione. Quelli di pronto intervento sono collegati al tessuto delle imprese. C’è la necessità di rapportare il sistema degli indennizzi, agevolare il credito, sciogliere il nodo capestro dei contratti di locazione, ampliare gli strumenti di protezione sociale. In tema di credito e indennizzi riteniamo che si possa fare di più anche attingendo alle risorse europee. Riguardo al concetto di visione abbiamo fatto presente al presidente che in questo Paese è necessario averne una unitaria sul cibo. Non è concepibile che la ristorazione, che ha un peso importante sotto il profilo del fatturato, del valore aggiunto e degli occupati, non abbia una sua dignità istituzionale. Le competenze sono divise tra tre ministeri, Sviluppo economico, Agricoltura e Attività culturali e turismo, che hanno altre priorità. Di fronte a queste discrepanze o si istituisce un ministero dell’Alimentazione che abbia un orientamento unitario e condiviso su questo settore oppure si rischia di perdere opportunità mortificando un comparto e alimentando la confusione grazie ad asimmetrie di regole chi portano a concorrenza sleale, dequalificazione, despecializzazione.Per non parlare del rischio di infiltrazioni criminali. Il peso e il ruolo della ristorazione è parte integrante del nostro tessuto economico. Basti pensare a Coldiretti che ha segnalato la mancanza della quota di quei 20 miliardi di euro di acquisti di prodotti agricoli che ogni anno effettua la ristorazione o agli incontri al vertice con Confagricoltura o con altri protagonisti dell’Horeca come i distributori di bevande e Federvini per capire come affrontare il blocco di filiera che non ha svuotato i magazzini. Mi auguro che da questa situazione di estrema gravità emerga una reale consapevolezza del ruolo fondamentale di questo settore nella società.
Quanto si è perso a livello di fatturato e numero di pubblici esercizi che non riapriranno più?
Le ipotesi che avevamo formulato si stanno confermando nella loro gravità. Siamo molto preoccupati per l’autunno. Dipende da come si svilupperà il contagio. Ma se l’andamento è quello dell’avvio verso un percorso di normalità, il bilancio dei danni si dovrebbe attestare sui 34 miliardi di perdita di fatturato per un settore che ne produce 86. Abbiamo quantificato in 50mila il numero di esercizi che non riapriranno. Ma il picco negativo si vedrà in ottobre, perché in settembre andranno in pagamento le imposte prorogate che metteranno a rischio le imprese più fragili.
Il rischio “saldi” per la criminalità organizzata è reale?
Certo. Le situazioni di crisi aprono tutte la porte possibili ha chi ha soldi da riciclare. Ma spero che lo straordinario sforzo della magistratura e delle forze dell’ordine possa intercettare il malaffare.
La movida sfrenata, una spina nel fianco.
Il coronavirus ha fatto emergere due fenomeni che sono all’opposto. Il tema della movida, che porta aggregazioni ed eccessi anche di carattere di ordine pubblico e quello dello smart working, che tiene lontano dai pubblici esercizi, soprattutto nei centri città, una fetta importante della clientela. Per quanto riguarda la movida abbiamo affrontato l’argomento in un recente Consiglio direttivo andando a disegnare un discorso di responsabilità sociale. È chiaro che in questo scenario la movida è collegata soprattutto a quello che sono i mali di una società che non sa educare e trasmettere quelli che sono i valori della legalità, del rispetto e dei buoni comportamenti. Una società malata favorisce queste degenerazioni e i weekend diventano teatro di guerra tra bande; aspetti mortificanti e che preoccupano non poco. Per arginare questo fenomeno, secondo noi, si deve lavorare su due piani. Il primo è il tema dell’alcol e del suo abuso che deve rientrare in un circuito affidato ai professionisti che limitino quelle che sono le facilità di accesso al consumo. Un consumo in gran parte appannaggio di minimarket, di chioschi, di venditori ambulanti spesso abusivi che somministrano alcol a tutte le ore. L’alcol va gestito da professionisti che sanno anche tenere sotto controllo le criticità e gli eventuali eccessi dei consumatori. Un conto è proporre un cocktail, un altro è vendere a qualsiasi ora due bottiglie alla volta.
L’altro tema è quello della rigenerazione urbana. Vorremmo elaborare, in collaborazione con l’Anci-Associazione comuni italiani, un progetto di movida sostenibile che significa sviluppo ordinato dei pubblici esercizi con una programmazione qualitativa, nuova modalità di soluzione per gli spazi esterni, servizi di cortesia per evitare caos e sporcizia, cooperazione con le forze dell’ordine. Un modello che sia replicabile in tutta Italia. Come pubblici esercizi non possiamo accettare lo sconcio che c’è in giro adesso. Quando la Fipe incontra le istituzioni si assume le sue responsabilità come organo di rappresentanza di categoria. Ma il presidio e il controllo delle città deve essere garantito dalle forze dell’ordine. Il dialogo è aperto è costruttivo.
Come vi rapportate allo smart working che blocca i consumi fuori casa?
Lo smart working sta mutando gli stili di vita e sta creando grandissimi danni soprattutto ai locali in centro città che devono già scontare la mancanza di turismo. Interessanti le considerazioni del sindaco Sala che ha sottolineato l’importanza delle relazioni. I pubblici esercizi sono una rete della socialità che porta buone relazioni e coesione, ossigeno per una comunità viva. Al di là delle giuste motivazioni che hanno imposto lo smart working in fase di emergenza, ora un rallentamento di queste disposizioni è auspicabile.
Fare sistema: la Fipe punto di riferimento per l’universo Horeca.
Durante il lockdown sono nati comitati spontanei di rappresentanza, che sono da rispettare, espressione di disagio e di preoccupazione. Ritengo però fondamentale la coesione associativa anche per non disperdere i nostri valori e dare ancor più peso alle nostre istanze. È inutile andare ai tavoli governativi per esprimere i medesimi concetti in cinque o sei soggetti diversi, ognuno dei quali ha un minimo di rappresentanza. Su certi argomenti dovrebbe parlare uno per tutti. Devo dire che in questa fase sono arrivati a Fipe attestati di stima dai grandi cuochi, ma anche dai gruppi della ristorazione commerciale; e questo è confortante. L’obiettivo di Fipe, in una fase così delicata, è mettere in evidenza sempre più la propria leadership e continuare a sottolinearla con i fatti, con la serietà e il senso di responsabilità. I provvedimenti, del resto, non sono caduti dal cielo.
Come cambieranno i pubblici esercizi dopo la pagina Covid?
Molte cose sono già cambiate. Basta pensare alle formule asporto e food delivery che dimostrano come oggi un ristorante può ampliare e diversificare la propria attività. Questo richiede però organizzazione e competenze, perché un conto è fare un risotto, un altro è confezionarlo e consegnarlo mantenendo la stessa qualità di quello servito al tavolo. In questo contesto si aprono nuovi scenari. Ci sarà da organizzarsi e controllare con attenzione il polso del mercato, perché per un certo periodo la gente uscirà molto meno.
Si perderanno delle professionalità?
Al di là dei numeri, questa crisi ha fatto dei danni sociali enormi collegati all’occupazione. La chiusura delle imprese e la conseguente perdita di lavoro avranno ricadute pesanti sulle famiglie. In aggiunta anche la soppressione di molte professionalità, edificate con impegno e passione nel corso degli anni. Cuochi, camerieri, sommelier. Tra cucina e sala mancheranno delle figure fondamentali della nostra accoglienza. Chiudere imprese o ridurne le fila significa mettere a spasso professionalità ben definite che difficilmente saranno recuperabili quando il motore del turismo ripartirà. La necessità avrà portato questi operatori su altre strade. Un tessuto di competenze tutto da ricostruire.
ITALIAATAVOLA
Per informazioni: www.fipe.it
La crisi per i pubblici esercizi infatti continua. I dati del Sistema informativo Excelsior confermano il pesante impatto dell’emergenza sanitaria sull’occupazione nella ristorazione da tempo denunciato da Fipe-Confcommercio. Sono appena 56.920 le assunzioni previste dalle imprese a luglio 2020 a fronte di un dato 2019 che vedeva nello stesso mese un incremento dei posti di lavoro del 12,6% rispetto alla media annua, pari a poco meno di 105mila unità.
Lo ha dimostrato ampiamente durante il periodo di chiusura di essere il riferimento per il settore. E non potrebbe essere altrimenti consideranto che ha all’attivo oltre 120mila soci. I pubblici esercizi, punto di forza della nostra economia, rappresentano un universo che conta più di 300mila imprese, 1 milione di addetti e un valore aggiunto superiore ai 40 miliardi di euro. Nel 2019 il giro d’affari, sommando bar e ristoranti, ha raggiunto gli 86 miliardi di euro. Un formidabile veicolo di promozione dell’agroalimentare, asset strategico e cardine della nostra offerta turistica.
Fipe punta ad un ministero dedicato all'Alimentazione
Per tracciarne i confini e delineare gli sviluppi di questo mercato in fase di ripartenza, Italia a Tavola ha incontrato il presidente della Federazione italiana pubblici esercizi Lino Enrico Stoppani.
Presidente Stoppani, quale è il bilancio dopo gli Stati Generali?
Abbiamo fatto una riflessione di carattere generale sui temi del turismo dove abbiamo evidenziato una criticità prioritaria e tre sfide che il Governo dovrebbe affrontare. Sul turismo in generale c’è un problema di governance ed è inammissibile che ci sia questa incapacità di coordinamento tra Stato e Regioni su quelle che sono oggi le competenze. A causa dell’abrogazione del ministero del Turismo e dell’intervento sul titolo V della Costituzione le competenze sono state affidate alle Regioni e lo Stato ha evidentemente un ruolo marginale. È necessario ripristinare una competenza concorrente tra Stato e Regioni. Con lo Stato che deve avere sul tema del turismo il ruolo di definizione delle linee strategiche di carattere generale sulle quali le Regioni poi operano con i loro strumenti. La governance del turismo ha bisogno di una cabina di regia unica che dia la direzione. Le tre sfide che abbiamo messo sul tavolo agli Stati Generali sono riferite alla riqualificazione del comparto, alla sua accessibilità digitale dal punto di vista della mobilità infrastrutturale e l’interconnessione, perché il turismo italiano è caratterizzato da vari turismi che non si parlano mai e non si sovrappongono. Una regia potrebbe consentirlo.
E riguardo i temi specifici?
Abbiamo detto al presidente del Consiglio che c’è bisogno di provvedimenti di emergenza e di visione. Quelli di pronto intervento sono collegati al tessuto delle imprese. C’è la necessità di rapportare il sistema degli indennizzi, agevolare il credito, sciogliere il nodo capestro dei contratti di locazione, ampliare gli strumenti di protezione sociale. In tema di credito e indennizzi riteniamo che si possa fare di più anche attingendo alle risorse europee. Riguardo al concetto di visione abbiamo fatto presente al presidente che in questo Paese è necessario averne una unitaria sul cibo. Non è concepibile che la ristorazione, che ha un peso importante sotto il profilo del fatturato, del valore aggiunto e degli occupati, non abbia una sua dignità istituzionale. Le competenze sono divise tra tre ministeri, Sviluppo economico, Agricoltura e Attività culturali e turismo, che hanno altre priorità. Di fronte a queste discrepanze o si istituisce un ministero dell’Alimentazione che abbia un orientamento unitario e condiviso su questo settore oppure si rischia di perdere opportunità mortificando un comparto e alimentando la confusione grazie ad asimmetrie di regole chi portano a concorrenza sleale, dequalificazione, despecializzazione.Per non parlare del rischio di infiltrazioni criminali. Il peso e il ruolo della ristorazione è parte integrante del nostro tessuto economico. Basti pensare a Coldiretti che ha segnalato la mancanza della quota di quei 20 miliardi di euro di acquisti di prodotti agricoli che ogni anno effettua la ristorazione o agli incontri al vertice con Confagricoltura o con altri protagonisti dell’Horeca come i distributori di bevande e Federvini per capire come affrontare il blocco di filiera che non ha svuotato i magazzini. Mi auguro che da questa situazione di estrema gravità emerga una reale consapevolezza del ruolo fondamentale di questo settore nella società.
Quanto si è perso a livello di fatturato e numero di pubblici esercizi che non riapriranno più?
Le ipotesi che avevamo formulato si stanno confermando nella loro gravità. Siamo molto preoccupati per l’autunno. Dipende da come si svilupperà il contagio. Ma se l’andamento è quello dell’avvio verso un percorso di normalità, il bilancio dei danni si dovrebbe attestare sui 34 miliardi di perdita di fatturato per un settore che ne produce 86. Abbiamo quantificato in 50mila il numero di esercizi che non riapriranno. Ma il picco negativo si vedrà in ottobre, perché in settembre andranno in pagamento le imposte prorogate che metteranno a rischio le imprese più fragili.
Il rischio “saldi” per la criminalità organizzata è reale?
Certo. Le situazioni di crisi aprono tutte la porte possibili ha chi ha soldi da riciclare. Ma spero che lo straordinario sforzo della magistratura e delle forze dell’ordine possa intercettare il malaffare.
L’alcol va gestito da professionisti che sanno anche tenere sotto controllo le criticità
La movida sfrenata, una spina nel fianco.
Il coronavirus ha fatto emergere due fenomeni che sono all’opposto. Il tema della movida, che porta aggregazioni ed eccessi anche di carattere di ordine pubblico e quello dello smart working, che tiene lontano dai pubblici esercizi, soprattutto nei centri città, una fetta importante della clientela. Per quanto riguarda la movida abbiamo affrontato l’argomento in un recente Consiglio direttivo andando a disegnare un discorso di responsabilità sociale. È chiaro che in questo scenario la movida è collegata soprattutto a quello che sono i mali di una società che non sa educare e trasmettere quelli che sono i valori della legalità, del rispetto e dei buoni comportamenti. Una società malata favorisce queste degenerazioni e i weekend diventano teatro di guerra tra bande; aspetti mortificanti e che preoccupano non poco. Per arginare questo fenomeno, secondo noi, si deve lavorare su due piani. Il primo è il tema dell’alcol e del suo abuso che deve rientrare in un circuito affidato ai professionisti che limitino quelle che sono le facilità di accesso al consumo. Un consumo in gran parte appannaggio di minimarket, di chioschi, di venditori ambulanti spesso abusivi che somministrano alcol a tutte le ore. L’alcol va gestito da professionisti che sanno anche tenere sotto controllo le criticità e gli eventuali eccessi dei consumatori. Un conto è proporre un cocktail, un altro è vendere a qualsiasi ora due bottiglie alla volta.
L’altro tema è quello della rigenerazione urbana. Vorremmo elaborare, in collaborazione con l’Anci-Associazione comuni italiani, un progetto di movida sostenibile che significa sviluppo ordinato dei pubblici esercizi con una programmazione qualitativa, nuova modalità di soluzione per gli spazi esterni, servizi di cortesia per evitare caos e sporcizia, cooperazione con le forze dell’ordine. Un modello che sia replicabile in tutta Italia. Come pubblici esercizi non possiamo accettare lo sconcio che c’è in giro adesso. Quando la Fipe incontra le istituzioni si assume le sue responsabilità come organo di rappresentanza di categoria. Ma il presidio e il controllo delle città deve essere garantito dalle forze dell’ordine. Il dialogo è aperto è costruttivo.
Come vi rapportate allo smart working che blocca i consumi fuori casa?
Lo smart working sta mutando gli stili di vita e sta creando grandissimi danni soprattutto ai locali in centro città che devono già scontare la mancanza di turismo. Interessanti le considerazioni del sindaco Sala che ha sottolineato l’importanza delle relazioni. I pubblici esercizi sono una rete della socialità che porta buone relazioni e coesione, ossigeno per una comunità viva. Al di là delle giuste motivazioni che hanno imposto lo smart working in fase di emergenza, ora un rallentamento di queste disposizioni è auspicabile.
L’obiettivo di Fipe è mettere in evidenza sempre più la propria leadership
Fare sistema: la Fipe punto di riferimento per l’universo Horeca.
Durante il lockdown sono nati comitati spontanei di rappresentanza, che sono da rispettare, espressione di disagio e di preoccupazione. Ritengo però fondamentale la coesione associativa anche per non disperdere i nostri valori e dare ancor più peso alle nostre istanze. È inutile andare ai tavoli governativi per esprimere i medesimi concetti in cinque o sei soggetti diversi, ognuno dei quali ha un minimo di rappresentanza. Su certi argomenti dovrebbe parlare uno per tutti. Devo dire che in questa fase sono arrivati a Fipe attestati di stima dai grandi cuochi, ma anche dai gruppi della ristorazione commerciale; e questo è confortante. L’obiettivo di Fipe, in una fase così delicata, è mettere in evidenza sempre più la propria leadership e continuare a sottolinearla con i fatti, con la serietà e il senso di responsabilità. I provvedimenti, del resto, non sono caduti dal cielo.
Come cambieranno i pubblici esercizi dopo la pagina Covid?
Molte cose sono già cambiate. Basta pensare alle formule asporto e food delivery che dimostrano come oggi un ristorante può ampliare e diversificare la propria attività. Questo richiede però organizzazione e competenze, perché un conto è fare un risotto, un altro è confezionarlo e consegnarlo mantenendo la stessa qualità di quello servito al tavolo. In questo contesto si aprono nuovi scenari. Ci sarà da organizzarsi e controllare con attenzione il polso del mercato, perché per un certo periodo la gente uscirà molto meno.
Si perderanno delle professionalità?
Al di là dei numeri, questa crisi ha fatto dei danni sociali enormi collegati all’occupazione. La chiusura delle imprese e la conseguente perdita di lavoro avranno ricadute pesanti sulle famiglie. In aggiunta anche la soppressione di molte professionalità, edificate con impegno e passione nel corso degli anni. Cuochi, camerieri, sommelier. Tra cucina e sala mancheranno delle figure fondamentali della nostra accoglienza. Chiudere imprese o ridurne le fila significa mettere a spasso professionalità ben definite che difficilmente saranno recuperabili quando il motore del turismo ripartirà. La necessità avrà portato questi operatori su altre strade. Un tessuto di competenze tutto da ricostruire.
ITALIAATAVOLA
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