mercoledì 21 maggio 2025

Il business delle agromafie raddoppia in 10 anni


Il business agromafie 

raddoppia in 10 anni: 

raggiunta i 25 miliardi

Dallo sfruttamento della manodopera straniera alle frodi alimentari, passando per il controllo della logistica e l'acquisizione di aziende agricole in crisi: le agromafie si insinuano in ogni anello della filiera, approfittando di crisi economiche, falle normative e complicità trasversali, fino a condizionare il mercato e la qualità del cibo che arriva sulle nostre tavole


    

IItalia, il giro d'affari delle agromafie ha raggiunto quota 25,2 miliardi di europraticamente il doppio rispetto a poco più di dieci anni fa. Il crimine organizzato ha recuperato in fretta il terreno perso durante la pandemia, estendendo la propria influenza lungo tutta la filiera agroalimentarecaporalato, frodi alimentari, logistica, usura, appropriazione di fondi pubblici e cybercrime. È quanto emerge dal nuovo Rapporto sui crimini agroalimentari redatto da ColdirettiEurispes e Fondazione Osservatorio agromafie, presentato al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi, a Roma, alla presenza di rappresentanti istituzionali, autorità giudiziarie, docenti universitari e ministri.

Come le agromafie si infiltrano 

nella filiera agroalimentare

Il documento fotografa un fenomeno che non solo non rallenta, ma si evolve, insinuandosi in ogni snodo critico della filiera: dalle campagne agli scaffali dei supermercati. Le organizzazioni criminali sono diventate sempre più attente a investire nel settore agroalimentareattratte dalla possibilità di controllare interi segmenti del mercato e sfruttare il meccanismo dei fondi pubblici.

Il business delle agromafie raddoppia in 10 anni: raggiunta quota 25 miliardi

Le organizzazioni criminali sono diventate sempre più attente a investire nel settore agroalimentare

Non è più, quindi, solo una questione di prodotti contraffatti o etichette farlocche: oggi le agromafie puntano direttamente alla produzione primaria, al controllo della terra, ai meccanismi di distribuzione e alla gestione della manodopera.

Caporalato e credito illegale: i volti 

dello sfruttamento secondo le agromafie

Uno dei nodi centrali del rapporto è proprio lo sfruttamento degli immigrati attraverso il caporalatogestito da reti criminali italiane e internazionali. Ma si va ben oltre. Le mafie, sfruttando le pieghe della burocrazia, promuovono credito illegaleacquisiscono aziende agricole in difficoltà e riciclano denaro, mentre gli imprenditori subiscono minacce per cedere le proprie attività, già messe a dura prova dall'aumento dei costi di produzione e dalle tensioni internazionali. Il bersaglio principale restano i fondi pubblici, ma anche gli appalti, spesso gestiti con la complicità di professionisti compiacenti e documenti falsi.

Il business delle agromafie raddoppia in 10 anni: raggiunta quota 25 miliardi

Le agromafie sfruttano gli immigrati attraverso il caporalato

In parallelo, le infiltrazioni si allargano ai settori della ristorazione, dei mercati ortofrutticoli e della grande distribuzione, con gravi danni per i produttori e i consumatori. Tra i comparti più colpiti ci sono vino, olio, mangimi e riso, mentre aumentano le falsificazioni di certificazioni bio e l'uso di agrofarmaci vietati, spesso legati a importazioni da Paesi dell'Est Europa. Non mancano le frodi nei discount, dove circolano prodotti adulterati e privi di etichettatura.

Crisi, debolezze e appetito mafioso: 

perché le agromafie crescono

«La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori - sottolinea Gian Maria Fara, presidente di Eurispes. Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l'aumento dei costila riduzione delle resei prezzi imposti dalla Gdo e la difficoltà di accesso al creditoLe mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltàseguendo un modello simile al land grabbing. Questa nuova strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata».

La filiera agroalimentare italiana vale oggi 620 miliardi di euro, con un export che ha toccato i 69,1 miliardi, numeri che spiegano da soli l'appetito delle agromafie. Per Coldiretti, difendere il comparto significa proteggere l'intero percorso, dal campo alla tavola. «Per Coldiretti la filiera agroalimentare parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso - sottolinea il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo. Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, e se settori deviati della Gdo o dell'industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga - e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli».

Il business delle agromafie raddoppia in 10 anni: raggiunta quota 25 miliardi

Il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo

«Erano dieci anni che aspettavamo l'approvazione della proposta di legge elaborata dal procuratore Caselli che ancora nessuno aveva avuto il coraggio di fare e che invece l'attuale Governo ha avuto la determinazione politica di concretizzare, potenziando per la prima volta gli strumenti a disposizione delle forze dell'ordine e della magistratura contro la criminalità dell'agroalimentare - aggiunge Gesmundo. Chiediamo ora che il Parlamento proceda a una rapida approvazione definitiva superando le resistenze trasversali che arrivano da pezzi della grande industria in mano alle multinazionali e da segmenti della Gdo».

Dalle imprese senza terra all'Italian sounding: 

le nuove strategie delle agromafie

In effetti, la pubblicazione del rapporto è coincisa con l'approvazione del disegno di legge proposto dal ministro Francesco Lollobrigida, che introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio agroalimentare, recependo le istanze della cosiddetta “Legge Caselli”. Tra le misure principali c'è l'introduzione del reato di frode alimentare, che punisce ogni condotta ingannevole nella produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari. A questo si aggiungono i reati di commercio di alimenti con segni mendaci, contro le etichette false, e di agropirateria, rivolto a chi commette frodi in modo sistematico e organizzato. Previsti anche strumenti per tutelare Dop e Igp, donare i prodotti sequestrati a fini assistenziali e l'introduzione di sanzioni proporzionate al fatturato aziendale.



Tra i fenomeni più insidiosi che emergono dal rapporto c'è anche quello delle “imprese senza terra”, cooperative fittizie che offrono manodopera a basso costo. Ai lavoratori viene imposto di aderire formalmente alla cooperativa, ma in realtà sono sfruttati con salari inferiori anche del 40% rispetto ai contratti collettivi, all'insaputa delle aziende agricole che, ignare, pagano direttamente la cooperativa. Questo sistema è spesso collegato a reti transnazionali, in particolare con il subcontinente indiano: migliaia di lavoratori, soprattutto da India e Bangladesh, vengono reclutati tramite i decreti flussi per poi essere sfruttati in Italia, sotto minaccia del debito contratto per il viaggio. Il problema, però, non è solo italiano. Le agromafie si muovono ormai su scala globale. Le attività di gruppi criminali nel settore primario sono state individuate anche in Austria, Belgio, Germania, Slovacchia, Spagna e Paesi Bassi, ma senza un vero sistema di monitoraggio. Particolarmente preoccupante è anche il crescente interesse delle mafie cinesi, che stanno investendo in logistica, terreni e aziende agricole.



A pesare, infine, è anche la questione dell'Italian sounding, ovvero tutti quei prodotti che “suonano” italiani ma non lo sono, spesso venduti con etichette ambigue o nomi evocativi, dal Parmesan al Calsecco. Un mercato che vale 120 miliardi di euro, quasi il doppio dell'export agroalimentare nazionale. Ma esiste anche un Italian Sounding “di casa nostra”, favorito dal principio di ultima trasformazione previsto dal codice doganale europeo, che permette di vendere come italiani prodotti trasformati in Italia ma realizzati con materie prime straniere. Una distorsione che ha spinto oltre diecimila agricoltori Coldiretti a scendere in piazza, dai porti alle frontiere, per chiedere l'obbligo di indicare l'origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari venduti in Ue.

Il business delle agromafie raddoppia in 10 anni: raggiunta quota 25 miliardi

Il presidente nazionale di Coldiretti e dell'Osservatorio agromafie, Ettore Prandini

«Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie che oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardi - dichiara il presidente nazionale di Coldiretti e dell'Osservatorio agromafie, Ettore Prandini. È stata la prima e unica organizzazione agricola a sostenere con forza la legge sul caporalato. Allo stesso modo denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il rapporto. Si va dal caporalato trasnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L'Europa dovrebbe puntare l'attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano».

Dai campi ai ristoranti: le (agro)mafie 

puntano anche sulla ristorazione

Ma il controllo delle agromafie non si ferma alla produzione agricola o ai fondi pubblici. Sempre più spesso, le organizzazioni criminali spostano infatti i propri interessi anche a valle della filierainvestendo nella ristorazione e nei pubblici eserciziMilano è diventata l'esempio più evidente di questa tendenza: affitti insostenibili, locali storici costretti alla chiusura e spazi rilevati con capitali poco trasparenti stanno cambiando il volto della scena gastronomica cittadina. In un contesto dove molti imprenditori faticano a restare in piedi, la criminalità approfitta della crisi per insinuarsi, rilevare attività, ripulire denaro e, nel frattempo, alterare le regole del mercato.


Una dinamica che non riguarda solo il capoluogo lombardo. Anche a Bologna, negli ultimi tempi, si sono moltiplicate le segnalazioni su presenze opache nel mondo della ristorazione. Il modello è sempre lo stesso: crisi economica, accesso al credito sempre più difficile, locali in difficoltà e soggetti pronti a intervenire con offerte allettanti ma cariche di ambiguità. Il risultato è una lenta trasformazione del settore, dove le piccole insegne familiari lasciano spazio a catene standardizzate o a ristoranti sostenuti da investitori anonimi, spesso estranei alla cultura gastronomica e sempre più vicini a logiche speculative e criminali.

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