Usa, i giudici congelano i dazi di Trump:
respira (per ora)
il made in Italy
Colpo basso per Trump e tregua per l'Italia: il congelamento dei dazi deciso dalla Corte del Commercio internazionale blocca, almeno per ora, una manovra che puntava dritto anche su vino, olio, pasta e formaggi italiani, mettendo a rischio un export da otto miliardi. La partita resta aperta, in attesa dei ricorsi e della decisione definitiva (che potrebbe richiedere mesi)
Colpo basso per Donald Trump: la Corte del Commercio internazionale degli Stati Uniti ha infatti congelato i dazi imposti da Donald Trump, aprendo uno spiraglio di fiducia per l'agroalimentare italiano, che verso gli Stati Uniti vale quasi otto miliardi di euro. Se la decisione sarà confermata nei prossimi gradi di giudizio - tenendo conto che lo stesso Trump aveva minacciato dazi fino al 50% a partire dal 1° giugno - si salverebbero settori chiave come vino (quasi 2 miliardi), olio (oltre un miliardo), pasta (un miliardo) e formaggi (550 milioni).
Dazi Usa, la sentenza del tribunale federale
Il tribunale federale con sede a Manhattan, ricordiamo, ha stabilito che l'International emergency economic powers act del 1977, invocato dalla Casa Bianca, non autorizza il presidente a introdurre dazi in modo così esteso e unilaterale. L'amministrazione Trump aveva utilizzato quella legge per giustificare misure tariffarie contro oltre sessanta Paesi, arrivando a colpire prodotti canadesi e messicani con un 25%, quelli cinesi con un 20%, e, come annunciato, minacciando dazi tra il 20 e il 50% contro altri partner commerciali se non avessero raggiunto un accordo entro il 9 luglio.
Tutte queste misure però sono state annullate dalla Corte, che ha definito non legittimo l'uso dell'Ieepa per introdurre dazi di questa portata. «Nei due casi presentati la questione sottoposta alla corte è se l'International emergency economic powers act del 1977 delega al presidente sotto forma di autorità il potere di imporre dazi illimitati sulle merci provenienti da quasi tutti i paesi del mondo. La Corte non interpreta la legge del 1977 come un atto che conferisce tale autorità illimitata e annulla i dazi contestati imposti sulla sua base» si legge nella sentenza di 50 pagine che ha spinto al rialzo i future di Wall Street e rafforzato il dollaro.
Il verdetto, unanime, è stato firmato dai giudici Gary Katzmann (nominato da Barack Obama), Jane Restani (nominata da Ronald Reagan) e Timothy Reif (nominato dallo stesso Donald Trump). A fare ricorso era stata la Vos Selections, azienda di distribuzione di vini con base a New York, sostenuta da un gruppo di piccole imprese del comparto. Una denuncia separata era arrivata dallo Stato dell'Oregon e da altri undici Stati a guida democratica, che hanno sollevato dubbi sulla costituzionalità delle azioni di Trump.
Dazi Usa bloccati, Trump ha già presentato appello
Ma il caso è tutt'altro che chiuso. L'amministrazione ha infatti già presentato appello e il dossier potrebbe finire davanti alla Corte Suprema. Per ora si tratta di un rovescio pesantissimo per l'ex presidente su un tema che ha sempre considerato centrale. Non a caso, tra chi ha accolto con favore la decisione c'è anche l'Attorney General di New York Letitia James, da sempre in prima linea nel contestare l'uso disinvolto dei poteri presidenziali in materia commerciale. Sul piano internazionale, la sentenza rischia di complicare ulteriormente i negoziati sui dazi con l'Unione europea, il Giappone e altri Paesi.
Intanto, in attesa di novità, da Pechino (come detto, la Cina è tra i Paesi colpiti dai dazi del tycoon) è arrivata una presa di posizione netta: «Gli Usa cancellino tutti i dazi unilaterali impropri» ha dichiarato la portavoce del ministero del Commercio He Yongqian, aggiungendo che «dai colloqui di Ginevra di inizio mese, Pechino e Washington hanno utilizzato varie occasioni multilaterali e bilaterali per mantenere le comunicazioni aperte a vari livelli». Secondo He, la Cina si sta concentrando in particolare sugli «abusi dei controlli americani sulle esportazioni di semiconduttori».
Oltre ai dazi: Trump vuole farci mangiare
carne agli ormoni
Ma, ricordiamo, questa partita va ben oltre i dazi. Il vero obiettivo degli Stati Uniti è infatti smontare le regole europee che proteggono i cittadini, il cibo e il mercato. Il comparto agroalimentare è solo il primo bersaglio. Dietro la retorica protezionista si nasconde un disegno più profondo: far saltare le cosiddette “barriere non tariffarie”. Parliamo di norme sanitarie, fitosanitarie, regole sull'etichettatura, tutela delle denominazioni d'origine e dei diritti dei consumatori. Tutto ciò che oggi impedisce l'ingresso in Europa di prodotti americani come la carne agli ormoni o i derivati industriali a basso costo. Trump vuole un'Europa che rinunci alle sue tutele, che apra le porte al cibo spazzatura e che metta sullo stesso piano un Parmigiano Reggiano e un surrogato prodotto in Nebraska.
E non è tutto. C'è anche la questione, ancora più grave, dell'Iva. Gli Stati Uniti vorrebbero che i loro prodotti fossero esentati dall'imposta sul valore aggiunto, che si applica a tutti i beni nell'Unione europea, importati o meno. Sarebbe un colpo micidiale alla concorrenza leale: un vantaggio automatico di circa il 20% sul prezzo finale, che penalizzerebbe i produttori europei e creerebbe un precedente pericoloso. Poi ci sono le regole sulla qualità e la sicurezza. Trump pretende che l'Ue allenti gli standard fitosanitari e rinunci alla protezione delle indicazioni geografiche. In altre parole, chiunque potrebbe vendere in Europa un “Parmesan” fatto con latte in polvere e spacciarlo per prodotto italiano. Una follia che non metterebbe solo a rischio le nostre imprese, ma l'intera identità culturale del cibo europeo. Ecco perché serve una risposta chiara, anche dal mondo agricolo.
C'è infine la carne. Quella americana, allevata con criteri incompatibili con le regole europee, e quella coltivata, già autorizzata negli Stati Uniti. Nel 2023, aziende come Upside Foods e Good Meat hanno ottenuto il via libera per vendere pollo coltivato sul mercato americano. In Europa, invece, la questione è ancora sotto esame da parte dell'Efsa. Ma anche qui, se la pressione americana aumenterà, la porta rischia di aprirsi. E se crolla questo argine, le conseguenze saranno enormi: non solo sul piano commerciale, ma anche su quello sanitario, sociale, ambientale. Immaginare scaffali invasi da alimenti ultraprocessati, realizzati in laboratorio e senza controlli equivalenti ai nostri, fa paura. E non è questione di gusti o nostalgie. È una questione di salute pubblica, di sostenibilità, di coerenza con il nostro modello agricolo. Chi conosce la storia dell'alimentazione americana sa bene dove può portare una deregulation spinta: basta guardare i numeri dell'obesità.
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