giovedì 19 novembre 2020

Roberto Vitali, amico fraterno Esempio umano e professionale

 

Roberto Vitali, 

amico fraterno
Esempio umano 

e professionale

Ci eravamo conosciuti per ragioni di lavoro e siamo diventati amici. Era una persona “di famiglia”. Insieme abbiamo fondato quella che oggi è diventata la testata di riferimento per il settore. Tanti i messaggi di cordoglio e vicinanza che stiamo ricevendo in queste ore, a dimostrazione di quanto fosse stimato da tutti.
Le grandi imprese nascono a volte in luoghi di rimedio, come i sottoscala o i garage. Poi magari diventano la Apple. Oppure restano piccole. Ma è in quel periodo creativo che, se scatta la scintilla, poi si genera quella mission autentica a cui restare fedeli e da cui attingere forza anche nei momenti difficili.

Non posso non partire da questa immagine per ricordare Roberto Vitali, l’amico, quasi un fratello, con tutti gli alti e bassi che può comportare essere “parenti”, con cui ho condiviso tante esperienze di vita e fin dal primo momento l’intera avventura di Italia a Tavola. Alti e bassi, successi e discussioni comprese.

Alberto Lupini, Baldassare Agnelli, Roberto Vitali, Silvia Tropea Montagnosi e Mariuccia Passera alla consegna del premio alla carriera “La cultura del cibo” da parte di Italia a Tavola
Alberto Lupini, Baldassare Agnelli, Roberto Vitali, Silvia Tropea Montagnosi e Mariuccia Passera alla consegna del premio alla carriera “La cultura del cibo” da parte di Italia a Tavola

Ci eravamo conosciuti quasi forzatamente per ragioni di lavoro: per mancanza di scrivanie nei primi anni Ottanta ci avevano confinato nella biblioteca della redazione. Lui, il professore, neo baby-pensionato, che aveva lasciato l’insegnamento (dopo la laurea in Lettere alla Cattolica) per scrivere e lavorare come collaboratore fisso a L’Eco di Bergamo (dove è stato poi per oltre 50 anni fino ad oggi, occupandosi di cronaca bianca ed enogastronomia), e io neo professionista che mi inventavo ogni giorno come fare informazione economica, una novità per quei tempi e che cercavo di imporre al giornale contro tutti.

Il condividere questo spazio “nobile” ci aveva fatto diventare amici, nonostante i dieci anni quasi esatti di differenza di età, e avevamo scoperto di avere entrambi la passione per il cibo e il buon vino, di cui eravamo apprendisti conoscitori anche grazie alla comune amicizia con cuochi, sommelier e produttori. In quegli anni scrivere di un ristorante era però quasi un peccato mortale per i moralisti che pensavano si trattasse di marchette (secondo l’abuso poi fatto negli anni).

Roberto ed io volevamo invece dare dignità e visibilità ad esperienze e professionalità che ritenevamo fondamentali per l’economia e per il benessere. Un obiettivo a cui lui ha assolto con rigore ed onestà intellettuale secondo le scelte iniziali. Un fardello che ora più che mai porterò cercando di onorare la sua memoria, anche se mi sembra impossibile pensare a Roberto al passato. Se rileggo i suoi messaggi dei giorni scorsi non mi sembra vero che non sentirò più i suoi incoraggiamenti, i suoi misurati consigli o l’orgoglio per quanto oggi la nostra squadra sta facendo in un momento così terribile.

Ma i pensieri tornano ancora alle origini. Dopo che tante porte restavano chiuse nel quotidiano dove lavoravamo, decidemmo di tentare un’avventura editoriale autonoma. Di fatto nessuno si occupava a quel tempo di informazione professionale per il comparto dell’Horeca in Italia, e noi rischiavamo di perdere i pochi soldi che potevamo investire nel progetto.

Ma grazie al convinto sostegno delle nostre rispettive mogli, Angelica e Mariuccia, anch’esse giornaliste (che scesero in campo con noi nel ruolo di socie ed editrici), nel 1986 lanciammo il mensile Bergamo a Tavola. Roberto ne fu subito il direttore responsabile e adottò la testata come il figlio che non ha mai avuto, da fare crescere con amore e attenzione. Io ero lo zio che un po’ distaccato seguiva inizialmente il tutto come un hobby, salvo tenere in mano i conti.

La presentazione del primo numero il 16 aprile fu un evento per Bergamo (il quotidiano per cui lavoravamo ci dedicò un ampio articolo) e da quel giorno cambiarono davvero molte cose. Senza escludere l’inevitabile invidia di alcuni colleghi.

Roberto Vitali, amico fraterno Esempio umano e professionale
L'articolo apparso su L'Eco di Bergamo e ripreso sul 2° numero di Bergamo a Tavola

Era un vero azzardo. Era un lavoro “in famiglia”, fatto nel tempo libero: eravamo 4 giornalisti, ma non sapevamo nulla di editoria vera. La prima copertina decidemmo di farla fotografando noi, in modo assolutamente artigianale, delle bottiglie di una famiglia di produttori amici (i Plebani de Il Calepino) sul tavolo di casa di Roberto. Ma avevamo grinta, progetti ed entusiasmo. E fu subito un successo.

Roberto ci metteva una passione che ne ha fatto uno dei precursori del giornalismo enogastronomico italiano, lontano anni luce dai presuntuosi, saccenti e tuttologi dei giorni nostri. Il suo modo di scrivere chiaro e semplice, la modalità garbata e rigorosa con cui affrontava i vari temi, le scelte intelligenti di collaboratori professionisti dei vari settori, fecero subito di "Bergamo a Tavola" un’esperienza unica in Italia per l’incontro fra produttori, pubblici esercizi e mondo del turismo.

E noi due, intanto, ci sforzavamo con umiltà di studiare e di seguire corsi per saperne sempre di più sull’enogastronomia. Intanto proseguivamo nei nostri rispettivi lavori, lui da cronista di bianca, dirigendo anche una televisione locale, e io da giornalista economico. E così facevano le nostre mogli.

Alla scelta professionale del rigore siamo rimasti sempre fedeli, anche man mano che la nostra creatura ci esplodeva in mano. L’importante era dare valore al territorio e alla professionalità. Era una scelta di civiltà, come scriveva Roberto, quasi profeticamente, nel primo numero di "Bergamo a Tavola" (vedi il testo più sotto).

La crescita importante ci aveva portato a coprire prima tutta la Lombardia e poi, vero salto di qualità, tutta l’Italia. Il web poi ha moltiplicato tutto e ci ha fatto salire nettamente fra i primi player nazionali, unici con un assetto ancora famigliare e indipendente.

Il modello nato in quella biblioteca nei primi anni Ottanta aveva saputo superare tutte le sfide e i problemi. Anche i più duri, come quando Roberto aveva perso la moglie Angelica o quando in uno scambio di ruoli, io nel 2002 avevo assunto la direzione per dedicarmi a tempo pieno a Italia a Tavola e lui era uscito dalla società pur restando nella squadra come editorialista, scrivendo e dispensando preziosi consigli a tutti i giovani che passavano per la nostra redazione. Un padre nobile che non ha mai abbandonato il figlio ormai adulto. Al punto che era sempre il primo fan e tifoso dei nostri successi.
Ma ovviamente Roberto non era per me solo un socio e un collega. Era l’amico che mi aveva accompagnato la prima volta all’Oktberfest e che io avevo aiutato ad entrare nel letto perché aveva magari alzato un po’ il gomito. Era il freddoloso che non si coricava senza le babucce, ma poi sfidava il gelo per andare in ristorante. Era lo zio che seguiva con amore i figli dei fratelli e che con uguale dedizione faceva appassionare a questo nostro lavoro mio figlio Andrea. Era il compagnone che nelle feste di capodanno abbandonava la grisaglia e sfoggiava calze o mutande rosse. Insomma era un uomo serio, ma mai serioso.

Sempre compassato e riservato, era arguto e ironico. E sapeva dare sostegno e carica umana a chi era in difficoltà. Anche negli ultimi anni, quando attraversava un calvario che lo portava dentro e fuori dall’ospedale per un problema ai bronchi. Aveva bisogno di cure importanti di antibiotici ed era diventato dipendente dall’apparecchio portatile per l’ossigeno, da cui non si separava ormai più, ma che era il suo “bastone della vecchiaia” che utilizzava per andare comunque in giro quando poteva. Insomma, la malattia non aveva fermato la sua curiosità e la voglia di raccontare.

E forse proprio per questa sua malattia, l’unica vera preoccupazione degli ultimi mesi era quella di evitare di prendersi il covid-19. Non voleva rischiare di essere intubato o di morire soffocato.

Nel dolore di avere appreso della sua scomparsa stamattina all’alba, mi ha almeno confortato sapere che se ne è andato un po’ più serenamente senza questo ultimo insulto. E se ne è andato in silenzio, da gran signore, senza metterci in allarme. Anche se a oggi possiamo dire che si sentiva prossimo all’ultimo passo. Aveva infatti già organizzato di nascosto le sue esequie, segnalandoci quasi casualmente un suo brevissimo curriculum che non conteneva che una parte delle tante cose che ha fatto.

Ciao Roby, mi mancherai davvero. Tu eri la parte più dolce e io quella magari un po’ più aspra. Ma siamo stati una bella squadra e abbiamo giocato bene e correttamente. Lo dimostrano i tanti che in queste ore mi segnalano il dispiacere e il dolore per la tua scomparsa. Conto che ci riabbracceremo. Non so dove, come e quando. Ma sono certo che se ci sarà l’occasione, tu sarai lì ad aspettarmi per progettare qualche altra cosa insieme.

Roberto Vitali, amico fraterno Esempio umano e professionale
La copertina e l'editoriale del primo numero di Bergamo a Tavola
Italiaatavola di Alberto Lupini
direttore
Alberto Lupini

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