Founder & Ceo Giubilesi & Associati, Chairman FCSI Italian Unit
Ho letto nelle ultime settimane - come è giusto che sia all’inizio di ogni nuovo anno - molte previsioni per i trend nella ristorazione che saranno più in voga per l’anno 2022. Mi sono imbattuto in alcune idee e proposte interessanti, ma ho trovato anche tante altre “novità in arrivo che salveranno il settore” che dovrebbero essere premiate con medaglie d’oro per... “eccesso di creatività”. Nonostante il fatto che non mi piacciono idee di cucine e ricette che spruzzano intorno a sé per lo più odore di eccentricità con tanto fumo e poco arrosto, non significa che sono contro le innovazioni, anzi, sono un accanito sostenitore di ogni nuova tecnologia, metodo e approccio di produzione, distribuzione, conservazione e somministrazione. Tuttavia, rimango profondamente convinto che il cibo in primis deve nutrire il corpo, nulla togliendo a tutto ciò che arricchisce e crea la famosa “food experience” che a mio avviso è importantissima all’interno del concetto della cultura del cibo, ma che non deve prevalere sulla sostanza.
Faccio questi ragionamenti non tanto per lo sfizio di esprimere un parere personale, quanto volendo indurre i lettori (operatori, addetti ai lavori, consumatori) a riflettere su un concetto che a livello professionale e in cucina si è mostrato sempre vincente: voglio parlarvi della semplicità. Non a caso le idee geniali si basano in fondo su cose semplicissime. Come diceva Aristotele secoli fa: «La vita è molto semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata». Come non essere d’accordo con il grande filosofo?
Stiamo tutti ancora vivendo intrappolati da regole, ordinanze e disposizioni di ogni genere che in nome del contenimento alla diffusione di un virus ci stanno rendendo l’esistenza, soprattutto a livello lavorativo, così complicata nelle sue controverse indicazioni da renderla quasi impossibile e di sicuro non profittevole. Come se non bastasse, le complesse e severe regole già in essere molto prima del Covid nel settore alimentare mettono da sempre al primo posto la corretta informazione, la tutela della salute e il benessere dei consumatori. Insomma, rimango dell’idea che la crisi pandemica, per ciò che riguarda il settore Food&Beverage, si potrebbe gestire in maniera molto più snella e semplice e (forse) con più efficacia, ovvero con meno regole più semplici.
I progetti di maggior successo sono quelli più rispettosi verso i clienti
Poiché non sono titolato e non voglio assolutamente aggiungermi alla flotta di virologi che ci dicono ogni giorno di tutto e il giorno dopo l’esatto contrario, mi concentro a condividere con voi il mio onesto pensiero di esperto della filiera alimentare, dalla produzione alla ristorazione e all’ospitalità. Dopo 37 anni di esperienze vissute nel settore, ho visto nascere, crescere e ahimè spesso andar male svariati progetti di imprese, artigiani e professionisti del food. Sono stato testimone, anche direttamente coinvolto nello studio e nell’introduzione di nuove tecnologie e metodi di produzione, ho supportato lo sviluppo di nuovi prodotti e il miglioramento dei vecchi e posso affermare che quelli che hanno avuto più successo e che hanno portato ad un’evoluzione proficua per le imprese sono stati sempre quelli più semplici, più “green” e più rispettosi verso le vere esigenze dei clienti e i consumatori.
Tutti sappiamo bene che le persone cercano nel cibo prima di ogni altra cosa la soddisfazione del bisogno fisico e biologico di nutrirsi e solo dopo vengono gli aspetti “di contorno”. Un buon prodotto, con qualità e caratteristiche sensoriali, si venderebbe bene anche in una bella confezione ordinaria, non eclatante. Ovviamente un packaging migliore dal punto di vista estetico di certo aiuterebbe il ritorno economico, ma di sicuro anche il più bell’involucro non salverà dal fallimento alcun imprenditore che non ha curato il prodotto all’interno. Insomma, contenuto e contenitore devono convivere nella giusta proporzione e per quanto la buona forma possa essere il miglior “vestito”, la sostanza rimane quella che determina il successo di ogni prodotto.
Nella ristorazione spesso si punta più sulla forma che sulla sostanza
La stessa regola, secondo me, vale anche per i locali che negli ultimi anni, grazie alla fantasia di architetti, designer, arredatori stanno trasformando esercizi pubblici di ristorazione e ospitalità in posti bellissimi, arredati all’ultimo grido e capaci di creare atmosfere suggestive. Salvo poi che i clienti, una volta seduti su poltrone di lusso intorno ai tavoli apparecchiati con posate dal design sofisticato, si vedono servire da camerieri con visi annoiati che portano maldestramente enormi piatti fatti di porcellane pregiate dove il cibo, accuratamente poggiato sotto forma di maestosa creazione d’arte contemporanea, esprime le idee futuristiche di qualche famoso executive chef, magari appena uscito da qualche reality televisivo.
Mi chiedo quindi: sarà questo il futuro della ristorazione oppure saremo capaci di creare nuovi scenari capaci di coniugare le mutate esigenze di ricerca della “food experience” ultramoderna e ultratecnologica come contenitore, mettendo dentro però cibo vero, preparato da mani sapienti con ingredienti genuini e salubri, che oltre il profilo nutrizionale contengano il valore del territorio e delle tradizioni culinarie?
Visti i tempi che corrono, le incertezze e le complessità che ci accompagnano nel lungo percorso che dovremo compiere per lasciarci la crisi alle spalle, penso che la strategia migliore sia quella di non cercare di ritornare alla “normalità pre-pandemia”, né tanto meno lanciarsi in progetti di sgargiante futurismo. Forse dobbiamo cercare e rivalutare le radici storiche della cucina italiana connotata da cultura, prodotti, emozioni sensoriali e semplicità di esecuzione, in grado di unire pochi e semplici ingredienti come in un piatto di pasta che da secoli ci mette tutti d’accordo, risolvendo ogni incombenza e sfamando ogni appetito per ogni portafoglio.
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