Lo smart working
uccide i ristoranti
«Gli statali tornino
alla normalità»
Il presidente di Mio, Paolo Bianchini dice basta al tutti a casa indiscriminato e chiede al premier Conte e al ministro del Lavoro, di far rientrare dipendenti pubblici e bancari. La necessità è di tutelare chi ha investito in attività come bar e ristoranti nei quartieri direzionali per salvare i pubblici esercizi.
Ancora un intervento contro lo smart working degli statali. Una dopo l'altra sono scese in campo tutte le principali associazioni di ristoratori. Ora è la volta di M.I.O. Le scuole riaprono, la vita riprende. Almeno così la maggior parte degli italiani spera. Certamente non dimenticando ciò che è successo, anzi con tutte le dovute accortezze, vista la ripresa, seppur contenuta di nuovi casi. E i lavoratori? Continuano a circolare notizie sul futuro dello smart working. Si chiude o meno la fase indiscriminata e senza regole del tutti a casa? Una domanda alla quale sono in molti che aspettano una risposta. Primi fra tutti gli esercizi commerciali.
Perché, se da un lato il lavoro da remoto ha permesso in piena pandemia di salvare vite e posti di lavoro, oggi non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che, se il Governo continuasse a garantire lo smart working per i dipendenti pubblici e per le banche, a non lavorare più sarebbero altri lavoratori, come Italia a Tavola ha sostenuto più volte: i proprietari e i dipendenti di bar, ristoranti, mense, tavole calde e fast food, ecc.
I numeri già a luglio parlavano forte e chiaro: secondo Confesercenti, lo smart working ha causato una riduzione dei consumi nei pubblici esercizi e ristoranti quantificabile in circa 250 milioni di euro al mese. Questo dato si aggiunge a quello dovuto alla mancata spesa turistica, per cui possiamo quantificare in circa il 35% in meno il fatturato complessivo che ancora manca alle imprese del settore. Basti pensare che nella sola Milano mancano ogni giorno all’appello circa 800mila lavoratori che, lavorando da casa, non spendono al bar o al ristorante, mettendo in ginocchio il commercio cittadino. E la situazione a Roma e nelle grandi città non è da meno, come dall'inizio della pandemia denuncia la FIPE che ha chiesto ripetutamente di bloccare lo smartworking per non pregiudicare la ripresa del turismo nei prossimi mesi. E se, allora, contro lo smart working totale si era schierato il sindaco Beppe Sala allineandosi, paradossalmente, con Forza Italia che aveva chiesto il rientro dei dipendenti comunali con una mozione poi bocciata, oggi scende in campo anche Paolo Bianchini, presidente del Movimento imprese ospitalità (Mio Italia).
Bianchini chiede con forza che «il premier Giuseppe Conte e il ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, non si inventino altre idee geniali sullo smart working: le città devono tornare alla normalità, tutelando chi ha investito in attività come bar e ristoranti nei quartieri direzionali. Questi imprenditori sono alla canna del gas e non potrebbero sopportare altri mesi di lavoro da casa dei dipendenti pubblici. Come sempre accade nel nostro Paese, si è partiti da un’esigenza giusta, quella sanitaria, per arrivare a esagerazioni, il “tutti a casa” senza regole, appunto, senza preoccuparsi delle conseguenze su tutto il tessuto sociale ed economico».
«Anche noi – conclude Bianchini – meritiamo rispetto. Ci sono arrivati aiuti miseri e innumerevoli prese in giro, il Governo cerchi, quantomeno, di non provocare altri danni a un settore già sufficientemente massacrato». italiaatavola
Il 15 ottobre lo samrt working dovrebbe chiudere definitivamente la fase del “tutti a casa” senza regole
Perché, se da un lato il lavoro da remoto ha permesso in piena pandemia di salvare vite e posti di lavoro, oggi non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che, se il Governo continuasse a garantire lo smart working per i dipendenti pubblici e per le banche, a non lavorare più sarebbero altri lavoratori, come Italia a Tavola ha sostenuto più volte: i proprietari e i dipendenti di bar, ristoranti, mense, tavole calde e fast food, ecc.
I numeri già a luglio parlavano forte e chiaro: secondo Confesercenti, lo smart working ha causato una riduzione dei consumi nei pubblici esercizi e ristoranti quantificabile in circa 250 milioni di euro al mese. Questo dato si aggiunge a quello dovuto alla mancata spesa turistica, per cui possiamo quantificare in circa il 35% in meno il fatturato complessivo che ancora manca alle imprese del settore. Basti pensare che nella sola Milano mancano ogni giorno all’appello circa 800mila lavoratori che, lavorando da casa, non spendono al bar o al ristorante, mettendo in ginocchio il commercio cittadino. E la situazione a Roma e nelle grandi città non è da meno, come dall'inizio della pandemia denuncia la FIPE che ha chiesto ripetutamente di bloccare lo smartworking per non pregiudicare la ripresa del turismo nei prossimi mesi. E se, allora, contro lo smart working totale si era schierato il sindaco Beppe Sala allineandosi, paradossalmente, con Forza Italia che aveva chiesto il rientro dei dipendenti comunali con una mozione poi bocciata, oggi scende in campo anche Paolo Bianchini, presidente del Movimento imprese ospitalità (Mio Italia).
Paolo Bianchini
«Continuiamo a leggere notizie contraddittorie sul destino dello smart working, che dal 15 ottobre dovrebbe chiudere definitivamente la fase del “tutti a casa” senza regole – afferma Bianchini - Col massimo rispetto per i diritti dei lavoratori e per le loro esigenze personali, riteniamo che i dipendenti pubblici debbano riprendere a lavorare in presenza, in modo continuativo, per garantire l’efficienza degli uffici, che in questi mesi hanno sofferto moltissimo, creando gravi disagi al cittadino-utente. Non solo: il ritorno in ufficio dei dipendenti pubblici comporterà, finalmente, una ripresa di quelle attività, quali bar e ristoranti, che sono direttamente collegate alla presenza dei lavoratori pubblici».Bianchini chiede con forza che «il premier Giuseppe Conte e il ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, non si inventino altre idee geniali sullo smart working: le città devono tornare alla normalità, tutelando chi ha investito in attività come bar e ristoranti nei quartieri direzionali. Questi imprenditori sono alla canna del gas e non potrebbero sopportare altri mesi di lavoro da casa dei dipendenti pubblici. Come sempre accade nel nostro Paese, si è partiti da un’esigenza giusta, quella sanitaria, per arrivare a esagerazioni, il “tutti a casa” senza regole, appunto, senza preoccuparsi delle conseguenze su tutto il tessuto sociale ed economico».
«Anche noi – conclude Bianchini – meritiamo rispetto. Ci sono arrivati aiuti miseri e innumerevoli prese in giro, il Governo cerchi, quantomeno, di non provocare altri danni a un settore già sufficientemente massacrato». italiaatavola
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