Troppi chef e pochi cuochi:
ma è la trattoria
che salverà
la cucina italiana
Arrigo Cipriani. Fonte: Il Giornale dell'Arte |
Responsabile scientifico
Qualche settimana fa avevamo scritto delle polemiche in seno al programma di MasterChef, in cui una candidata, la signora Oriana, avevo messo in dubbio la cucina realizzata nella gara, contrapponendovi la cucina della tradizione, non rappresentata dai concorrenti e dal format del programma stesso, in cui, al contrario, escono piatti non replicabili e non comprensibili a casa dai tanti telespettatori. Al punto che Oriana presentò poi un piatto di Tortellini della Domenica. Su questi tema, Arrigo Cipriani, noto imprenditore del settore, soprattutto per il suo Harry's Bar di Venezia, in interviste con Guido Barendson su Repubblica e con Aldo Cazzullo del Corriere, ha confermato un pensiero che esprime da tempo e che suscita scalpore, su cui ragionare: «Troppi chef e pochi cuochi» arrivando a sottolineare che «Gli chef stanno rovinando la cucina italiana».
La trattoria custode delle tradizioni
Il vero modello è la trattoria
E in tutto questo c'è anche una critica ai nostri chef che in molti casi hanno scopiazzato la cucina francese. Ulteriore e pesante sottolineatura: spariranno tutti, stellati e stellatini, il nostro modello, modello della cucina italiana, aggiunge Cipiriani è la Trattoria.
Ora, Arrigo Cipriami è certamente un simbolo della cucina italiana, ha ristoranti sparsi in tutto il mondo, è persona di grande preparazione e cultura, vestito sempre in un doppio petto perfetto. A Venezia spesso il suo nome è collegato agli eventi culturali, ma da tempo esprime e diffonde questi pensieri: è solo una ironia di cui il nostro, a volte ne fa uso?
Noi, appunto, recentemente avevamo già scritto di questa situazione, sottolineando come anche un certo modello di cucina televisiva non sia rappresentativo della tradizione, e che le guide che premiano e recensiscono osterie e trattorie siano quelle più diffuse e con più successo. Ora vorremmo però anche chiarire che non è che una guida sia migliore di un'altra, tutte svolgono la loro “mission”. Un giudizio su tutte: la Michelin, ad esempio, è una vera guida turistica, sappiamo che gli stranieri la utilizzano molto di frequente. Ma non è completa ....
Oltre la stella Michelin ci deve essere di più
Ma torniamo a Cipriani, il suo giudizio in qualche maniera incrocia il nostro sulle guide. Siamo certi che quando definisce stelle e stellatini gli chef, con la Michelin in testa, lui giudichi il risultato in cucina, le ricette e i menu. Il suo è un pensiero molto più profondo che il giudizio sulla stella Michelin: è un giudizio storico e culturale.
Che cosa significa tradizione in cucina?
La tradizione, cosa è? La cucina tradizionale è un valore da difendere? Le parole hanno sempre un significato, se cerchiamo nei vocabolari troviamo che tradizione abbia un origine precisa dal latino: tradere – traditio-onis, cioè consegnare....
Tradizioni sono quegli aspetti della cultura – intesa in senso antropologico come un insieme di capacità, saperi, norme e valori che gli esseri umani apprendono in quanto fanno parte di una certa società – che non si esauriscono nel corso di una generazione, ma vengono trasmessi alle generazioni successive.
Ma una traduzione molto più congeniale al nostro Cipriani, ma anche a noi, è certamente la seguente: amare il passato e condurlo nel futuro per conservare memorie e tradizioni.
Siamo di fronte a una cucina senza anima?
Tutto questo in un mondo sempre più globalizzato, con materie prime senza più stagioni.
Cosa è diventata allora la cucina tradizionale?Il Cipriani pensiero definisce l'attuale cucina una cucina senza anima.
Leggendo i menu di molti cuochi, non c'è ombra di dubbio che in qualche maniera il nostro non abbia ragione. Tant'è che, anche se non amiamo molto il "gufo", dobbiamo ricordare che in questi giorni TripAdvisor comunica che stante le recensioni la cucina romana sia in testa nelle preferenze dei turisti italici. Non sappiamo come questa classifica sia stilata, ma certamente la cucina romana è sicuramente più tradizionale di quella milanese: l'amatriciana, il cacio e pepe, la trippa o la coda alla vaccinara probabilmente vincono su una presenza meno diffusa di un risotto giallo, di una costoletta di vitello alla milanese. Del resto anti piatti della tradizione sono praticamente introvabili a Milano. Pensiamo alle rane, al pesce di lago, al Rustin negaà, cioè il nodino di vitello arrosto “annegato” nel vino, o la verza ripiena. Qualcosa rivive in stagione con la Casseoula, ma certamente è una tradizione che paga pegno, con il pesce di mare, con l'onnipresente tonno, in molti casi non proprio del mediterraneo, o gamberi e scampi che ormai fanno bella presenza anche sulle pizze.
Attenzione alla troppa creatività
Forse, anzi, il Cipriani-pensiero non è solo una provocazione, ma una certezza. Quando in alcuni menu si leggono risotti con il miso o paccheri con kiwi e ostriche, forse il palato potrà anche essere appagato ma la cucina italiana dov’è? Forse i paccheri al pomodoro del tristellato Vittorio non meritino una visita allo stesso?
Ristoranti, anche di classe senza più tovaglie, piatti con forme strane e altrettante posate strane… Insomma anche se la creatività può essere una divertente novità, tutto questo sta cambiando nell'immaginario collettivo il senso del gusto e anche della forma, amare il passato e condurlo, cioè consegnare lo stesso al futuro è presente nell'anima degli chef moderni?
Questo a nostro giudizio è la spiegazione del Cipriani-pensiero, su cui onestamente esprimiamo un parere condivisibile.
Nessun commento:
Posta un commento