domenica 26 gennaio 2025

Anche lo Champagne è in calo

 

Anche lo Champagne è in calo: dagli Usa all'Asia, la crisi del vino è globale

Quello delle bollicine francesi è un nuovo campanello d'allarme in un contesto che vede il comparto vino alle prese con le sfide dei mercati globali e dei consumi, tra la flessione in Asia e lo spauracchio dazi negli Usa che spingono la crescita degli spumanti in America (+41% a novembre). Nel 2024 le spedizioni di Champagne sono calate del 9,2% e diminuiscono sia le bottiglie vendute in Francia che l'export


Anche lo Champagne è in calo: dagli Usa all'Asia, la crisi del vino è globale

Nemmeno lo Champagne è immune dalla crisi globale che sta attraversando il mondo del vino. E non solo perché negli Stati Uniti gli spumanti italiani hanno superato le bollicine francesi sia in volume, che in valore. Il calo nelle vendite e nell’export dello Champagne rappresenta un ulteriore campanello di allarme in un contesto sempre più complesso che non si gioca solo sulla sfida dei dealcolati/analcolici, ma che riguarda i consumi che trasversalmente sembrano calare nei principali mercati mondiali.

Crisi del vino, come sta lo Champagne

Le spedizioni totali di Champagne nel 2024 sono state pari a 271,4 milioni di bottiglie, con una riduzione del 9,2% rispetto all’anno precedente. Il mercato francese ha registrato 118,2 milioni di bottiglie vendute, segnando un calo del 7,2%. Questo risultato è stato influenzato da un contesto politico ed economico difficile. Le esportazioni, che hanno raggiunto 153,2 milioni di bottiglie, sono diminuite del 10,8% rispetto al 2023. Tuttavia, la quota di mercato estero rappresenta il 56,4% delle vendite totali, confermando il superamento delle vendite interne, una tendenza consolidata negli ultimi anni.

Anche lo Champagne è in calo: dagli Usa all'Asia, la crisi del vino è globale

Numeri in calo per lo Champagne

Maxime Toubart, presidente del Syndicat Général des Vignerons e co-presidente del Comité Champagne, ha descritto il settore come un indicatore dello stato d’animo dei consumatori: «Lo Champagne è un vero e proprio barometro del sentimento dei consumatori. E questo non è il momento di festeggiare, con l'inflazione, i conflitti in tutto il mondo, l'incertezza economica e un atteggiamento politico attendista in alcuni dei principali mercati dello Champagne, come la Francia e gli Stati Uniti». David Chatillon, presidente dell'Union des Maisons de Champagne e co-presidente del Comité Champagne, ha invece ribadito l’importanza di guardare al futuro: «È nei momenti meno favorevoli che dobbiamo prepararci per il futuro, per mantenere la nostra rotta in termini di sviluppo sostenibile e di conquista di nuovi mercati e nuovi consumatori. Lo Champagne è un modello organizzativo solido e sostenibile, che ha dimostrato il suo valore anche di fronte alle avversità e che dà fiducia nel futuro»

Crisi del vino, Stati Uniti e America Latina tra luci e ombre

Secondo i dati dell'Osservatorio Uiv-Vinitaly, negli Stati Uniti gli spumanti italiani hanno raggiunto una quota di mercato del 35% nel segmento degli sparkling wines, sorpassando la Francia al 31%. Il Prosecco, in particolare, ha registrato una crescita significativa, arrivando a rappresentare il 28% del mercato, mentre lo Champagne si ferma al 26%. Nel periodo gennaio-agosto 2024, le bollicine italiane sono state l'unica categoria di sparkling a crescere in volume (+1,5%), mentre il mercato complessivo ha visto un calo del 13%. Questo successo riflette l'evoluzione positiva dell'intero segmento degli spumanti italiani, che oggi rappresentano il 37% del vino italiano venduto negli Stati Uniti, sia in volume che in valore.

Anche lo Champagne è in calo: dagli Usa all'Asia, la crisi del vino è globale

Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv

Tuttavia, la possibilità che vengano introdotti dazi negli Stati Uniti desta preoccupazione, come rimarca il presidente Uiv Lamberto Frescobaldi: «Gli annunciati dazi Usa rischiano di aggravare una congiuntura già difficile se non si diversifica il mercato e soprattutto se si perseguono politiche di chiusura commerciale. Per questo Unione italiana vini sostiene fermamente l’accordo Mercosur. Il 60% dell’export italiano - ha aggiunto - è concentrato su 5 mercati, con gli Stati Uniti che da soli valgono quasi un quarto delle nostre spedizioni: non possiamo chiuderci anche verso mercati - come il Brasile e l’America Latina - che per radici culturali potrebbero ampliare i nostri orizzonti commerciali». Al momento, però, le esportazioni di spumanti italiani verso gli Stati Uniti hanno registrato un boom nel mese di novembre, con un incremento del 41% in volume. Questa crescita, secondo l'Unione italiana vini, è stata innescata dalla paura di future tariffe doganali annunciate dal presidente Trump. Anche i vini fermi imbottigliati hanno mostrato una crescita significativa, del 17%. Secondo l’Osservatorio Uiv, il picco di ordini registrato non trova precedenti nella storia delle esportazioni di spumanti nel mese di novembre con un valore di circa 54 milioni di euro (+29%).

Crisi del vino: contagiata anche l’Asia

Nel 2024, le esportazioni di vino dell'Unione Europea verso i principali mercati asiatici, tra cui Cina, Hong Kong, Giappone e Corea del Sud, hanno subito un calo significativo, come riportato dai dati di Eurostat. Le esportazioni verso la Cina continentale, pari a 456 milioni di euro, sono diminuite del 12,48% rispetto al 2023, continuando a risentire degli effetti a lungo termine della pandemia. Rispetto al 2019, il calo è stato del 35,26%.

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Il marchese Piero Antinori

La Francia resta il principale esportatore verso la Cina, ma ha visto una riduzione del 13,57% delle sue esportazioni. Anche altri Paesi produttori, come Spagna e Portogallo, hanno registrato diminuzioni, mentre l'Italia ha subito un calo più contenuto dell'8,53%, con Piero Antinori, presidente onorario di Marchesi Antinori, che ha sottolineato: «Quando questo mercato sarà maturo, il vino italiano avrà il suo meritato posto». La Germania ha invece registrato una crescita del 15,94%, trainata dall'aumento della domanda di vini bianchi, in particolare il Riesling. Anche altri mercati consolidati come Hong Kong (-22,67%) e Corea del Sud (-20,31%) hanno registrato cali, mentre il Giappone ha visto una riduzione del 11,74%. Tuttavia, la Thailandia si distingue come l'unico mercato in crescita, con un incremento del 2,38% grazie alle riforme fiscali del 2024 che hanno ridotto le imposte sulle importazioni di vino.

Crisi del vino, chi guarda all’Africa

L’Africa rappresenta un mercato emergente per le esportazioni di vino italiano, con un potenziale significativo ma ancora limitato. Attualmente, il continente incide per l'1,4% delle importazioni globali di vino, pari a un valore di circa mezzo miliardo di dollari. La crescita, trainata principalmente dai vini spumanti (+10% tra il 2019 e il 2023), riflette l’aumento della capacità di spesa dovuto all’urbanizzazione e all’espansione della classe media in Paesi come Costa d’Avorio, Camerun, Ghana e Sudafrica.

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Il Sudafrica domina la produzione vinicola africana

Francia e Spagna dominano il mercato africano con quote rispettivamente del 34% e del 21%. L’Italia si colloca al quinto posto, con importazioni pari a 20 milioni di dollari nel 2023 e una crescita media dell’11% negli ultimi quattro anni. Il mercato africano è frammentato e presenta ostacoli significativi, tra cui tassazione elevata, infrastrutture logistiche carenti e regolamentazioni restrittive. Tuttavia, l’African Continental Free Trade Area, in vigore dal 2021, potrebbe semplificare il commercio attraverso la riduzione delle tariffe doganali. Il Sudafrica domina la produzione continentale, con 775 milioni di litri nel 2023 e un ruolo centrale nelle esportazioni. Altri Paesi, come Marocco e Tunisia, stanno emergendo con tassi di crescita rilevanti, mentre Angola e Togo mostrano segnali di sviluppo.

Crisi del vino, i trend

Per quanto riguarda i vini italiani, secondo l'ultima analisi dell'Osservatorio Uiv (Unione italiana vini), basata su dati Istat, per la prima volta (saldo al terzo trimestre 2024) le esportazioni di spumante (528 milioni di bottiglie) hanno superato quelle di rossi e rosati (524 milioni), estendendo il divario anche rispetto ai bianchi (460 milioni). E se da un lato l’Italia sembra avviarsi a divenire, almeno secondo la Uiv, uno “Sparkling Wine Country” lo è almeno all’estero, dato che il consumo nazionale di bollicine si presenta sostanzialmente stazionario.

Tuttavia c’è da considerare anche come stanno cambiando i consumi. Nel 2023, il numero di consumatori di vino in Italia è rimasto stabile a 29,4 milioni, pari al 55% della popolazione, mentre i consumatori quotidiani sono diminuiti a 11,7 milioni, con un calo di 400.000 unità rispetto al 2022. I dati, raccolti dall'Osservatorio Uiv, mostrano che il totale di vino consumato in Italia nel 2023 è stato di 23 milioni di ettolitri. Nonostante la diminuzione dei consumatori quotidiani, il vino continua ad essere apprezzato, con una crescita dei consumatori occasionali (+29% dal 2011), che oggi rappresentano il 60% del totale.

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La domanda di vino femminile è aumentata negli utlimi anni

Le abitudini dei consumatori stanno cambiando: il consumo di vino è più occasionale, soprattutto tra le generazioni più giovani e adulte, che preferiscono bere in contesti come l'aperitivo (+31% dal 2011). Il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi, ha sottolineato come l'approccio al vino oggi sia più legato al piacere e alla condivisione che a tradizioni quotidiane. La domanda di vino femminile è aumentata del 10%, mentre quella maschile è diminuita del 3%. Anche se il consumo quotidiano è in calo, gli over 65 rimangono il gruppo più stabile, rappresentando il 40% dei consumatori abituali. Senza contare che la paura del nuovo Codice della strada non aiuta a immaginare una ripresa dei consumi.

Crisi del vino, la sfida del vino dealcolato

Nel 2025, il vino dealcolato diventa ufficialmente legale in Italia grazie a un decreto firmato dal ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che cambia le normative del settore vinicolo. La nuova legge introduce la definizione di "vino dealcolato" per quelli con un grado alcolico inferiore allo 0,5%, e "parzialmente dealcolato" per quelli con un contenuto alcolico tra lo 0,5% e l'8,5%, garantendo maggiore chiarezza per i consumatori. Il decreto consente di ridurre l'alcol non solo nei vini classici, ma anche in quelli spumanti e frizzanti, escludendo però i vini a denominazione Igt, Doc e Docg. Si prevede, però, una possibile revisione di questa restrizione. Un'importante novità riguarda la possibilità per le distillerie di produrre vini dealcolati e la realizzazione del processo direttamente nelle cantine, migliorando la praticità e la sostenibilità economica. Il trattamento dei sottoprodotti è regolato, impedendo l'aggiunta di zuccheri o aromi esterni, ma consentendo il recupero di aromi e acqua derivanti dalla dealcolazione in circuiti chiusi.

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Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi

Secondo Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, quello dei vini dealcolati è «un male necessario», mentre Uiv condivide il via libera dell’Italia ai vini dealcolati, una nicchia che potrebbe comunque aprire le porte a nuovi target e Paesi. «Se non lo facciamo noi altri Paesi lo faranno - ha detto Cotarella a Open -, e lo stanno già facendo. Francia, Spagna, Germania, America, stanno andando in questa direzione. Legarsi a provvedimenti ideologici non so quanto potrà ancora funzionare, considerando che in Italia si produce più vino di quanto se ne consuma. Potrebbe essere una via d’uscita per una crisi che è in grado di crescere fino ad appesantire in maniera determinante le aziende. In più c’è da considerare che la tecnologia ha fatto grossi passi avanti negli ultimi anni, rendendoci in grado di garantire un discreto risultato qualitativo.  Alla luce di questo dico “ok proviamo” ma a una condizione: che non venga chiamato “vino”». 

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