Ecco le esperienze
di come si può salvare
il vino rispetto
al cambiamento climatico
La viticoltura affronta le sfide del cambiamento climatico con un approccio rigenerativo e resiliente. Il settore si evolve per preservare il territorio e garantire qualità e futuro al vino, dalle tecniche tradizionali dei vigneti eroici alle innovazioni che rafforzano biodiversità e sostenibilità
Dalle tecniche antiche alle tecnologie dell'agricoltura rigenerativa, la ricerca di una nuova resilienza per la vigna è alla base del processo di mantenimento del sistema-vino, messo a rischio dai fenomeni estremi. La viticoltura oggi è alle prese con le sfide imposte dal cambiamento climatico.
Viticotura eroica, da Pantelleria alle Azzorre
Riconosciuto patrimonio Unesco nel 2014, l'alberello pantesco è l'incarnazione di un approccio alla viticoltura che sull'isola di Pantelleria unisce tradizione e consapevolezza. Senza interventi umani, le vigne di Moscato devono sopravvivere all'estate secca e l'alberello viene mantenuto con tronco molto corto, viene potato lasciando poche gemme e le foglie che contribuiscono a proteggere l'uva dal sole, mentre i piccoli avvallamenti del terreno in cui sono piantate le viti servono da imbuto per raccogliere la brina mattutina, che consente alla pianta di arrivare all'autunno. E dall'inizio di giugno in poi non si fanno più lavorazioni in vigna, altrimenti le polveri di ferro e silicato vanno a “scottare” gli acini.
L’alberello pantesco è l’incarnazione dell'approccio alla viticoltura a PantelleriaNell'arcipelago delle Canarie, i viticoltori proteggono dal vento le piante tenendole molto basse (si comportano come cespugli anziché arrampicarsi in alto) e costruendo i tradizionali muretti ad arco che circondano la vigna. E analogamente nelle Azzorre i vigneti piantati su terreni lavici sono inquadrati da stretti muri di pietra, chiamati “currais” o “curraletas”, che li proteggono dal vento marittimo ma lasciano passare il sole necessario alla maturazione.Bastano questi pochi esempi per intuire come le esperienze di viticoltura eroica possano essere modello di resilienza per l'intero comparto vitivinicolo di fronte alle insidie che si accompagnano ai cambiamenti climatici. Sì, perché i vignaioli si trovano oggi a fare i conti con una realtà che si modifica rapidamente e mette in difficoltà gli approccio tradizionali, come evidenziava pochi giorni fa il presidente dei vignaioli Fivi Lorenzo Cesconi alla presentazione del docu-reportage “Gradi. Il vino italiano ai tempi del cambiamento climatico” curato da Will Media in collaborazione con la Federazione e disponibile su YouTube.
I tradizionali muretti costruiti dai viticoltori delle Canarie«I vignaioli e le vignaiole italiane sono in prima linea sul fronte del climate change - rimarca Cesconi - da un lato ne soffriamo le conseguenze, dovendo portare avanti il nostro lavoro seguendo andamenti stagionali pressoché imprevedibili e subendo eventi meteorologici spesso catastrofici, dall'altro con orgoglio rivendichiamo di essere davvero quei custodi di territorio che sempre di più servono al Paese, spesso ultimo argine all'abbandono e allo spopolamento, e al conseguente degrado territoriale, paesaggistico e idrogeologico»
Viticoltura eroica, consapevolezza nel ripensare il vigneto
Parlando di cambiamento climatico, il mondo del vino è dunque una sorta di “sentinella”. Un contesto agricolo sensibile che, se osservato da vicino, può raccontare molto non solo sulla viticoltura, ma più in generale su quello che sta accadendo al pianeta. La grande maggioranza dei vignaioli Fivi è in collina e in montagna, vale a dire in quelle “aree interne” sempre più fragili e a rischio abbandono. «Vogliamo raccontare le storie di chi, con sempre più fatica e sempre meno sostegno, mantiene vivi questi territori - aggiunge il presidente - E vogliamo farlo con uno sguardo al futuro, ai vignaioli e alle vignaiole di domani e alle nuove generazioni, nella speranza di consegnare loro non solo un mondo del vino sostenibile, ma un pianeta in equilibrio». Dalla prolungata siccità siciliana alle alluvioni che hanno più volte devastato l'appennino e le pianure romagnole, fino ai terrazzamenti della Valtellina, dove si guarda anche alla tecnologia per garantire la sostenibilità - ambientale ed economica - di una viticoltura non a caso definita eroica, il mondo-vigna è sempre più un laboratorio di sostenibilità dell'attività agricola. E richiede prima di tutto consapevolezza.
Lorenzo Cesconi, presidente FiviÈ questa la parola chiave su cui pone l'accento Cesconi e su cui insistono i tecnici. Come Stefano Lorenzi, specialista in arboricoltura della società di consulenza agronomica Ombre, che ricorda come il vigneto non sia un luogo “naturale”. «La monocoltura non è naturale e in quanto tale è fortemente esposta ad agenti patogeni - spiega - per questo è necessario un ripensamento dell'ecosistema vigneto rafforzando la biodiversità, che faccia da protezione alla vigna». Piante differenti attorno al vigneto, quando non addirittura un bosco sono una forma di protezione e filtro rispetto agli attacchi di malattie della vite. D'altra parte anche il dissesto idrogeologico può essere contrastato con interventi mirati, come drenaggi e canalizzazioni per accompagnare eventuali bombe d'acqua oltre il vigneto, ma anche per indirizzare la pioggia verso invasi da utilizzare in periodi di siccità.
Viticoltura rigenerativa, il capitale
è nella fertilità del terreno
D'altra parte - per dirla con Marco Poggianella, amministratore delegato della b-corp SOP - «in agricoltura dobbiamo pensare che il terreno è il nostro capitale e gli interessi sono i frutti, ma se depauperiamo il capitale con tecniche agronomiche sbagliate che aggiungono chimica di sintgesi e riducono la biodiversità con il diserbo finiamo per impoverirci e avere meno frutti». Il focus in generale è riuscire ad avere una maggiore resilienza nei momenti di stress, che saranno sempre più frequenti - sottolinea Poggianella - mettendo a rischio il futuro della viticoltura. «È necessario allora fare in modo che la vite sia più resiliente, capace di adattarsi - aggiunge - e per fare questo serve promuovere la collaborazione tra microorganismi nel suolo e piante».
Stefano Lorenzi, specialista in arboricoltura della società di consulenza agronomica OmbreIn quest'ottica ricerche recenti mettono in evidenza l'impatto di fertilizzanti naturali (come quelli distribuiti da Resonant - SOP) sulla crescita della vite, sulla resa e sulla qualità dell'uva, con una crescita vegetativa migliorata, germogli più lunghi e una ridotta comparsa di gemme cieche lungo il tralcio fruttifero. Inoltre, è stata misurata una maggiore area fogliare e un maggiore contenuto di clorofilla nelle foglie, insieme a una migliore tolleranza allo stress idrico. «Le ricerche confermano come alla vendemmia le viti trattate mostrino una resa più elevata - spiega Poggianella - e questo non perché ci sia più uva, ma la pianta subisce meno perdite».
Marco Poggianella, amministratore delegato della b-corp SOPMaggiore fotosintesi e maggiore vigoria portano anche il vigneto ad essere più sostenibile, ottimizzando l'assorbimento di azoto e agevolando il vignaiolo nell'evitare la chimica in cantina. «L'obiettivo nostro e di chi opera in questo contesto è riuscire ad avere maggiore qualità in vigna, in un mondo sempre più sfidante per la produzione del vino alle nostre latitudini - conclude il ricercatore - perché si tratta di offrire un supporto alla pianta con prodotti naturali, ma rimane la necessità di guardarla come un contesto sistemico e dunque lavorare sull'utilizzo del sovescio, sull'inerbimento che favorisce l'assorbimento dell'acqua, sul mantenimento della fertilità del terreno».Tutti processi rispetto ai quali l'agricoltura (e la viticoltura) rigenerativa oggi sta spingendo le proprie ricerche e la formazione dei vignaioli diventa cruciale per raggiungere quella “consapevolezza” che tutti indicano come base fondante per il “fare vino” nel futuro prossimo.
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