mercoledì 29 gennaio 2025

Movida sicura? Piantedosi non può delegare i controlli ai bar

 

Movida sicura? Piantedosi 

non può delegare 

i controlli a bar 

e ristoranti

Il decreto Piantedosi sul Codice di comportamento dei clienti dei locali pubblici ha sollevato confusione e trasferisce ai gestori responsabilità che non sono di loro competenza. La misura appare un tentativo fuoriluogo di affrontare il problema del disordine pubblico: la sfida per il Governo sarà quella di bilanciare esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti individuali

di Alberto Lupini
direttore

Movida sicura? Piantedosi non può delegare i controlli a bar e ristoranti

Altro che sicurezza da garantire nelle piazze e controllo di una movida sempre più violenta e incontrollata. Il decreto Piantedosi su un “Codice di comportamento” dei clienti dei pubblici esercizi, ha creato finora solo confusione, generando seri dubbi sulla possibilità che le forze dell'ordine siano in grado di fare fronte alla situazione di progressivo degrado della vita notturna e per questo “delegano” la patata bollente ai gestori dei locali.

Un pasticcio nato da un accordo 

con le sole discoteche a tutti i bar e i ristoranti

L'attuale pasticcio, che rischia di aprire conflitti legali, nonché denunce di incostituzionalità, nasce da una comunicazione sbagliata (non è stato precisato che il progetto è su basi “volontarie”) e, soprattutto, perché l'applicazione di questo Codice - all'insaputa degli interessati - è stato esteso da un'applicazione dalle sole discoteche (concordato con il Silb, il sindacato di categoria) a tutto il mondo dell'Horeca. Un errore politico che in neanche 24 ore aveva creato un corto circuito fra il ministero dell'Interno e il mondo dell'accoglienza.

Movida sicura? Piantedosi non può delegare i controlli a bar e ristoranti

L'accordo, originariamente, doveva applicarsi alle sole discoteche

La gestione sbagliata di una questione importante è riuscita così a scatenare un'irritazione di gestori di bar, ristoranti, stabilimenti balneari e locali da gioco, seconda forse solo ad un'altra comunicazione politica sballata, quella di Matteo Salvini per il “Codice della strada”. Il ministro dei Trasporti aveva infatti avviato, involontariamente, un ingiustificato “allarme vino” aprendo una polemica che invece di sopirsi è stata rinfocolata dalle bizzarre dichiarazioni di un altro ministro, quello dell'Agricoltura, che smentisce il calo dei consumi…

I gestori di locali trasformati in controllori 

della violenza di piazza

Ma vediamo come è nato tutto questo pasticcio che si spera possa essere sanato in fretta modificando (o annullando) un decreto nato forse per accontentare un'opinione pubblica sempre più preoccupata per una violenza crescente.

L'oggetto del contendere riguarda strettamente il diritto a divertirsi, ma anche il diritto alla salute e alla sicurezza. Se da un lato è più che giusto che, con diversi livelli di responsabilità, anche i gestori di pubblici esercizi contribuiscano a vigilare su una sicurezza messa oggi a rischio dal comportamento di persone, spesso giovani, violente e sotto gli effetti di droga o alcol, non si può però accettare che lo Stato trasferisca a privati i compiti del controllo.

Come si può infatti accettare che i gestori di pubblici esercizi debbano assumersi la responsabilità di cosa avviene per strada? E perché dovrebbero installare sistemi di videosorveglianza che contrastano con quelle sulla privacy, nonché con quelle del diritto del lavoro?

I punti chiave del Decreto Piantedosi

Il decreto prevede una serie di regole che i gestori di locali pubblici devono far rispettare ai propri clienti. Tra le principali disposizioni:

  • Divieto di comportamenti molesti: gli avventori non devono creare disturbo alla quiete pubblica, ad esempio attraverso schiamazzi, atti vandalici o comportamenti aggressivi.
  • Obbligo di identificazione: i gestori possono richiedere un documento d'identità ai clienti, soprattutto in caso di comportamenti sospetti o problematici.
  • Collaborazione con le Forze dell'Ordine: i locali devono collaborare con le autorità in caso di incidenti o situazioni di rischio, segnalando tempestivamente eventuali criticità.
  • Sanzioni per i locali: i gestori che non rispettano le norme rischiano multe o la chiusura temporanea dell'esercizio.

Le critiche al Decreto Piantedosi

Nonostante l'intenzione di migliorare la sicurezza, il decreto Piantedosi ha sollevato diverse critiche da parte di esperti, associazioni di categoria (In primo piano la Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi) e cittadini. Ecco i principali punti di contestazione:

  • Rischio di discriminazione: molti temono che l'obbligo di identificazione e il potere discrezionale dei gestori possano portare a forme di discriminazione, colpendo in particolare determinate categorie di persone, come giovani, stranieri o individui di etnie diverse.
  • Onere per i gestori: i proprietari di locali si sono detti preoccupati per il carico di responsabilità aggiuntivo. Controllare il comportamento di ogni avventore e gestire eventuali conflitti potrebbe rivelarsi complicato e costoso.
  • Ambiguità nelle norme: alcune disposizioni, come il divieto di “comportamenti molesti”, sono considerate troppo vaghe e soggettive, rischiando di creare interpretazioni arbitrarie e applicazioni disomogenee.
  • Impatto sul turismo: c'è il timore che un eccessivo rigore possa scoraggiare i turisti, soprattutto in un Paese come l'Italia, dove la vita notturna e la ristorazione sono attrazioni fondamentali.
  • Diritti individuali: alcuni giuristi hanno sollevato dubbi sulla compatibilità del decreto con i principi costituzionali, in particolare riguardo alla libertà personale e alla privacy.

La difesa del Governo

Il Governo ha difeso il decreto come uno strumento necessario per contrastare comportamenti antisociali e garantire maggiore sicurezza nei luoghi pubblici. Secondo il ministro Piantedosi, il Codice di comportamento non mira a limitare la libertà dei cittadini, ma a creare un ambiente più sicuro per tutti. Il Governo sottolinea inoltre che le norme sono state pensate per essere proporzionate e rispettose dei diritti fondamentali.

Se entriamo più a fondo della questione ci si rende conto come l'intera struttura del decreto sia stata concepita per grandi locali (le discoteche) dove esistono già attrezzature e personale ad hoc: dalle videocamere per il controllo degli spazi aperti (tipo i parcheggi) alla presenza di personale di sicurezza (pensiamo ai buttafuori). Fare adottare certe modalità aziendali da piccoli bar o ristoranti a gestione famigliare sembra francamente una follia che solo una burocrazia incompetente può avere immaginato.

Obiettivi condivisibili, ma scelte sbagliate 

per la sicurezza

Siamo tutti d'accordo che in un pubblico esercizio non si devono “introdurre armi improprie", né sostanze stupefacenti o bevande alcoliche che non siano state somministrate dallo stesso locale, che non si deve “utilizzare spray urticanti”; che non si devono “danneggiare i dispositivi antincendi e gli arredi”. Quale gestore potrebbe essere così stupido da lasciar fare queste cose? Ma, e qui sta il punto, un barista o un cameriere cosa può fare per impedire queste cose? Se ci sono atti di violenza, come si può pensare che rischia magari la vita “sostituendosi” magari alle forze dell'ordine?

Ma non basta, nei piccoli locali se nessun dipendente se la sente di assumersi l'impegno di essere il responsabile di questo tipo di sicurezza che succede? E ancora. Se la gente che non entra nel locale, a abbandona bottiglie di birra o di alcoolici per strada, perché tocca al gestore pulire i rifiuti?


Non si possono obbligare i pubblici esercizi a tenere puliti gli spazi pubblici

Proprio agli spazi esterni (e non parliamo di dehors che a tutti gli effetti fanno capo a un locale) sono dedicate poi norme definite di prevenzione per scoraggiare il compimento di azioni illegali che di fatto obbligano i gestori a installare a loro carico videocamere di sorveglianza (che potranno anche essere affidati ad istituti di vigilanza privata) per agevolare l'attività di identificazione e di rintraccio dei responsabili di violenze o atti vandalici. Le videocamere private devono “riprendere le vie di accesso e le uscite di sicurezza del locale”. Si deve anche garantire "un'adeguata illuminazione delle aree in cui l'attività economica viene esercitata.

Oggettivamente si tratta di interventi onerosi che sono definiti “volontari” ma la questione che non sarà certo facile da risolvere se non si riconduce il Codice solo alla sola area delle discoteche. In caso contrario ci potrebbero essere non pochi problemi visto che solo chi adotta il Codice di condotta e le altre azioni previste dal decreto, può evitare l'automatismo della chiusura e della sospensione della licenza in caso di disordini. Il che rende pericolosa la posizione di qualunque bar o ristorante.

Su questo tema è intervenuto anche Aldo Cursano, vicepresidente vicario della Fipe-Federazione pubblici esercizi che ga ricordato senza usare mezzi termini che «i pubblici esercizi - luoghi di socialità, legalità e presidio della città - sono sempre stati disponibili a collaborare con le istituzioni, come dimostrano i protocolli già attivi per i locali da ballo e intrattenimento. Tuttavia - ha dichiarato poleizzando con durezza con il ministro Piantedosi - non possiamo accettare che venga chiuso un locale solo perché all’esterno accadono episodi criminosi, a cui il titolare è estraneo. Sarebbe come chiudere una scuola perché c’è spaccio vicino o una stazione ferroviaria perché avvengono reati in zona. Il problema va affrontato con strumenti adeguati e non scaricando funzioni proprie dello Stato sui titolari di attività che operano legalmente e con grande sacrificio». E questo è purtroppo il vero vulnus di un decreto raffazzonato e fatto per colpire l'opinione pubblica, cercando di scaricare sui luoghi dell'accoglienza la responsabilità di ciò che succede nella piazze lasciate in mano a branchi senza controllo.

Movida sicura? Piantedosi non può delegare i controlli a bar e ristoranti

Aldo Cursano

Troppa confusione ancora una volta 

sul consumo di alcol

Per concludere ci sia permesso di osservare come questo Codice evidenzia ancora una volta la scarsa considerazione che le istituzioni hanno verso il mondo dell'accoglienzaSe è più che giusto cercare di frenare gli abusi di alcol e droga, non si possono scaricare responsabilità ed oneri impropri su locali dove, oggettivamente, non avvengono gli abusi. Chi si ubriaca o si droga si rifornisce in altri luoghi (dai supermercati agli angoli di ricettazione). In un ristorante o in un bar ci si va per divertirsi, per stare in compagnia. Visti oltretutto i prezzi dei consumi per uno Spritz o un bicchiere di vino è davvero improbabile che lì ci si possa ubriacare.

Movida sicura? Piantedosi non può delegare i controlli a bar e ristoranti

Al bar si va per stare in compagnia

Anche sotto questa luce il decreto Piantedosi sul Codice di comportamento dell'avventore rappresenta un tentativo fuoriluogo di affrontare il problema del disordine pubblico, e le critiche che evidenziano potenziali rischi e difficoltà nella sua applicazione sono più che giustificate. La sfida per il Governo sarà quella di bilanciare esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti individuali, evitando che il provvedimento si traduca in strumento di discriminazione o burocrazia eccessiva come ha subito denunciato la Fipe.

Il dibattito su questo decreto riflette una questione più ampia: come conciliare ordine pubblico e libertà individuale in una società sempre più complessa e diversificata. La sua efficacia dipenderà dall'applicazione pratica e dalla capacità di coinvolgere tutti gli attori interessati, dai gestori dei locali ai cittadini, in un dialogo costruttivo.

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