Mancia obbligatoria nei ristoranti? Una toppa che non risolve stipendi bassi e contratti fermi
Il restaurant manager Piero Pompili propone di rendere la mancia un passaggio obbligato al ristorante, così da dare subito respiro economico a chi lavora tra sala e cucina con stipendi fermi da anni. La Fipe avverte che una misura del genere rischia però di scaricare nuovi costi sui clienti, in un mercato già messo a dura prova dalla crisi
Redattore
Introdurre la mancia obbligatoria nei ristoranti per sostenere i lavoratori della sala e della cucina. È questa la proposta lanciata da Piero Pompili, restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna. Una posizione che ha - inevitabilmente - acceso il dibattito, toccando un nervo scoperto di un comparto che vive da anni fra salari bassi, orari infiniti e contratti inadeguati. Un tema che ha richiamato anche l’attenzione della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, che sulle mance si è già espressa con chiarezza: sono sì uno strumento importante per valorizzare il lavoro, ma non possono trasformarsi in un ulteriore peso scaricato sui consumatori.
La proposta di Pompili: mancia obbligatoria per sostenere i lavoratori
Pompili ha affidato la sua idea a Fanpage.it, spiegando di immaginare una mancia resa obbligatoria e applicata al momento del conto, così da garantire un’integrazione economica immediata a chi lavora nei ristoranti: «Potrebbe sembrare un modo di deresponsabilizzare i datori di lavoro - ammette - e il nostro Stato, ma per come la vedo io è un intervento rapido e concreto a sostegno di chi ogni giorno è in sala. In questo modo incentivi anche il personale a lavorare meglio sapendo che guadagnerà anche in base a come si comporterà con il cliente».
Secondo il restaurant manager, i problemi del comparto non possono più essere rinviati. Le retribuzioni restano ferme, i contratti sono ancora ancorati a schemi degli anni Settanta e i giovani faticano a trovare motivazioni in un mestiere che spesso li porta a lavorare sedici ore al giorno per guadagni modesti. «I giovani passano la loro vita in cucina e tra i tavoli del ristorante. Sedici ore al giorno di lavoro per che cosa? È più probabile essere colpiti da un asteroide che diventare il nuovo Carlo Cracco» dice senza giri di parole Pompili, che invita a smettere di limitarsi alle lamentele e a mettere sul tavolo soluzioni concrete.
Il nodo principale resta quello dei costi, che soffocano le imprese e non consentono di retribuire in modo adeguato: «I datori di lavoro sono estremamente appesantiti dalle tasse, questo penso sia chiaro a tutti. Nei grandi ristoranti, che sono il mio ambito di esperienza come restaurant manager, bisogna coprire due turni, uno a pranzo e uno a cena. Bisognerebbe assumere una doppia brigata, ma i costi sono elevatissimi. Non è facile sostenerli, si fa difficoltà anche con buste paga da 1800 euro. Il governo dovrebbe intervenire sulle tasse, ma in ogni caso i tempi sarebbero lunghi. A me piacerebbe che si aprisse un confronto con lo Stato così come non è mai stato fatto, ma sarebbe bello se a portare avanti le istanze della categoria fossero i lavoratori che entrano in cucina tutti i giorni».
Per questo, la mancia obbligatoria viene proposta come strumento immediato, senza togliere nulla agli stipendi: «La mia idea prevede che gli stipendi restino gli stessi ma che ci sia in aggiunta una mancia variabile, seppur obbligatoria. A sua discrezione il cliente può elargire una mancia che può andare dal 5 al 20%. Aumenterebbe il livello di servizio, la motivazione dei lavoratori e la loro qualità della vita» continua Pompili, che si dice consapevole dei rischi di deresponsabilizzazione, ma insiste sulla necessità di tamponare quella che definisce «una vera e propria emergenza nelle cucine».
Il ragionamento non trascura un’altra questione fondamentale: i contratti regolari. «La regolarità dei contratti resta la base, ovviamente», precisa, anche se ribadisce come per molti locali i margini siano ridottissimi. «Penso che la maggior parte dei datori di lavoro in Italia non possa permettersi i costi elevati del lavoro. I grandi ristoranti possono pensare di assumere la doppia brigata, anche se è difficile anche per loro, ma i locali a conduzione familiare non possono lontanamente immaginarlo. Sono loro a portare avanti la maggior parte dei ristoranti nel nostro Paese. E poi la mancia obbligatoria è presente all’estero ed è un vero e proprio sistema in America, chi viaggia tanto lo sa».
La posizione della Fipe sulla mancia obbligatoria
A questa proposta, la Fipe invita alla cautela. Il presidente Lino Stoppani, intervistato da Italia a Tavola, non nega l’importanza delle mance, ma mette in guardia da semplificazioni: «In un mondo di ideali ha perfettamente ragione - osserva - ma se vogliamo essere pragmatici questa operazione si traduce in una maggiorazione del costo del servizio. E qui il dubbio è se il mercato oggi sia davvero in grado di reggere un aggravio del genere. Significherebbe aumentare sensibilmente i prezzi, e a quel punto bisogna capire come reagirebbero i clienti. Qualcuno sarebbe indifferente, ma la stragrande maggioranza dei frequentatori di pubblici esercizi ne uscirebbe penalizzata. Per questo bisogna essere molto prudenti».
La Fipe riconosce che il problema salariale è reale, ma ricorda che le radici affondano in questioni strutturali: «Mi rendo conto che in questo paese c’è un problema di salari bassi, non perché non si vogliono pagare le persone, ma perché c’è un problema di produttività e di marginalità dell’attività. Senza margini - oggi il comparto fatica a garantire - non si fanno investimenti, non si distribuisce il capitale e non si riesce a pagare meglio i lavoratori». Ecco perché, conclude Stoppani, la mancia obbligatoria non può essere vista come una soluzione definitiva: «È un intervento con un peso molto invasivo, da maneggiare con cautela, anche se la logica di fondo è comprensibile. Il tema vero è l’attrattività del settore, la tenuta dei salari e, più in generale, la crescente povertà. Siamo d’accordo che i salari debbano aumentare, ma non può essere il cliente a farsene carico, perché non sarebbe la soluzione "perfetta", semmai un palliativo».
Le mance digitali e il regime fiscale agevolato
Il tema delle mance, del resto, non è nuovo e ha già trovato un primo riconoscimento con la Legge di Bilancio 2023. La normativa, ricordiamo, ha introdotto un regime fiscale agevolato con tassazione sostitutiva del 5% sulle mance digitali, misura estesa ai lavoratori del comparto turistico, alberghiero e della ristorazione con redditi fino a 50mila euro annui.
Le mance, considerate redditi da lavoro dipendente, restano escluse dal calcolo dei contributi previdenziali e non incidono sul trattamento di fine rapporto, riducendo così anche gli oneri per i datori di lavoro. Inoltre, il limite massimo su cui applicare la tassazione agevolata è pari al 25% del reddito annuo percepito per le prestazioni nel comparto. Grazie a questa novità, il pagamento delle mance tramite carta di credito ha registrato un aumento, ma, nonostante ciò, c’è ancora molto da fare.
La mancia obbligatoria non farà uscire
la ristorazione dal suo vicolo cieco
In fondo la vera questione resta sempre la stessa: non possiamo chiedere ai clienti di pagare il conto due volte, una per il pasto e una per il lavoro che lo rende possibile. La mancia obbligatoria potrà tamponare qualche situazione, ma non farà uscire la ristorazione italiana dal suo vicolo cieco: salari fermi, contratti vecchi e un comparto che continua a vivere di emergenze.
I ristoranti, come andiamo dicendo da anni, sono il motore del turismo, e allora servono politiche strutturali e investimenti seri, non soluzioni improvvisate. Perché l’ospitalità non può vivere di elemosine, nemmeno obbligatorie.
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