INNANZITUTTO … La Barbera, tiene uno dei primi posti, fra le uve del basso Monferrato e gareggia col Nebbiolo. Ha i tralci grossi e striati, le foglie glabre al di sopra, e tormentose al di sotto, i grappoli allungati e col peduncolo bruno, gli acini ovali, neri e pruinosi. Il vino di tale vitigno è vermiglio, generoso e pieno di spirito, denso, con una fitta trama tannica, se fatto con cura e amore, si perfeziona nell’invecchiare.
LE PERSONE NOTANO COSA INDOSSIAMO, AVETE FATTO CASO?!?! …consapevoli o meno, questa è la dura verità!. Altre verità che mi salgono alla mente... I computer si frantumano, la gente va e viene, le relazioni si interrompono e ognuno va per la sua strada …la cosa migliore da fare è prendere fiato e…Bere!!!. Si beve per dimenticare, si sa. Ma bere da soli è triste… Non a caso, nel 1972 Giorgio Gaber cantava Barbera e Champagne:
“Triste col suo bicchiere di barbera
Senza l’amore al tavolo di un bar
Il suo vicino è in abito da sera
Triste col suo bicchiere di champagne
Sono passate già quasi tre ore
Venga che uniamo i tavoli Signore
Voglio cantare e dimenticare
Coi nostri vini il nostro triste amor.”
…Mal comune, mezzo gaudio, e non a caso, è proprio l’uomo con la barbera nel bicchiere, a richiamare l’attenzione dell’altro. A invitarlo a dimenticare assieme a lui. La Barbera,”CREATURA INCOMPRESA E SOTTOVALUTATA..” con la sua anima popolare e proletaria, conviviale, generosa, un’autentica empatica.
Sì fa presto a dire Barbera, …è un vero enigma, quando nel Medioevo si parlava di vino, non solo del succo d’uva fermentato. Erano diffuse le adulterazioni, frodi e sofisticazioni. Frequenti, nel Piemonte tardo medioevale, erano il vino granato rum o jotha o roitha, ricavato dal mosto d’uva nera e di chicchi di melograno; il vino di more, che si preparava alla fine dell’estate, come testimoniano i rendiconti dei Savoia e degli Acaia; il vinum arbois o arborum, un mosto povero probabilmente ottenuto dalla spremitura delle bacche di pruno selvatico, sambuco e more di rovo. Tra tutti questi antenati del vino, abitualmente utilizzati in cucina e come medicinali, assai noto era il, così chiamato, vinum barberis, cioè il succo di berberide, o crespino, vale a dire l’uvaspina, che spremuto e fermentato dava vita alla bevanda-vino-nettare di quel tempo.
Secondo lo storico, Aldo Ricaldone, il vino ricavato dal vitigno, che in seguito definito barbera, avrebbe preso il nome proprio per somiglianza organolettica e visiva, con quel succo così diffuso nelle campagne monferrine. Ovviamente si parla della Barbera del Monferrato e dell’Astigiano,da non confondere, dato che, quando un vitigno, ha radici in un tal posto da 500 anni, si pianta solo ed esclusivamente, quel dato vitigno endemico;.. Quando vi viene all’orecchio il nome barbera…, Voi a cosa pensate? Evocate vini aspri come il limone? Oppure vini spigolosi, un po’ rustici, di pronta beva..magari non proprio piacevole al punto da essere soprannominata “Brett”, in modo confidenziale da Brettanomyces(sentori di lieviti considerati responsabili di gravi alterazioni). Invece no, se vi capiterà di sorseggiarne un bicchiere, di quel colore Rouge/Noir, sentirete frutti di bosco e di marasca, note di cacao e caffè, velluto sulla lingua e con un’acidità intrigante, che invita all’assaggio successivo. Sta tutto nel terroir!
L’equilibrio sopra la follia
E così, cerchi le scorciatoie, perché la barbera è un’uva difficile da stabilizzare.Molto buona, da subito imbottigliata, tende a fare la camicia, ovvero il deposito sulle parti della bottiglia, non sul fondo, dove si percepisce come rottura del colore; e quindi ci vuole tempo, ci vuole legno, ricca e concentrata. La Barbera, va a braccetto con i rossi, fatti col nebbiolo,che se la giocano su di una struttura completamente diversa.
Non è detto che a tutti piaccia l’abito, a molti piace il blazer, mentre altri preferiscono il doppiopetto, altri ancora il gessato o il frac, o ancora lo smoking… e così via, stessa cosa vale per le donne con i loro accessori, come nel vino..ad esempio il Bricco dell’Uccellone di Braida, prodotta a Rocchetta Tanaro, la capostipite delle barbera, creata da Giacomo Bologna, o il Bricco Battista di Accornero, barbera prodotta nel Monferrato alessandrino, nome originariamente preso da Giovan Battista Angelo, nonno di Ermanno Accornero, viticoltori dal 1897, nel cuore pulsante del Monferrato alessandrino, a quarantacinque chilometri a nordest, di Castagnole Lanze, il Bricco Battista, nasce da un unico appezzamento, che in realtà, consiste in tre vigne: vendemmiate, vinificate e affinate, separatamente, fino all’imbottigliamento, perché non hanno una maturazione uniforme, una barbera tardiva, un po’ più scorbutica, ha un’acidità leggermente più alta, che si fa aspettare, con sfumature diverse, prodotta da soli tre ettari, su terreni calcareo-argillosi; Tornando nell’astigiano, prima menzionato, si può incontrare, altrimenti una Alfieri, di Marchesi Alfieri, altra barbera prodotta nell’astigiano, robusta, di corpo, che sa il fatto suo,con personalità fiera propria dal suo toponimo Alfie; in ogni caso, la Barbera, è popolana o estremamente snob, affascinante o vintage, naturalmente imperfetta, deve avere equilibrio acido,struttura, ricchezza, godibilità, intrigo, piacevolezza, …un altro esempio, sono le barbera di Rivetti. O meglio prima di Giuseppe e a seguire diventate rispettivamente di Carlo,Bruno e Giorgio Rivetti, di LA SPINETTA, si trova a circa 13 chilometri da San Martino in direzione sud-est, al di la del Tanaro, in provincia di Asti. La Barbera di Rivetti, con la sua rustica esuberanza e grintosa acidità, considerata da lungo tempo la bestia da soma del Piemonte, produceva, solitamente un vinello rustico con una acidità sufficiente a tener testa alla pappa al pomodoro. L’eredità, continua a sottolineare Rivetti, è il territorio, se si riesce a capire questo, si potrà capire anche la differenza tra Bionzo di La Spinetta, il Bricco dell’Uccellone di Braida e L’Alfiera delle Marchesi Alfieri; Una Barbera che si rispetti, ti macchia i denti, come ad esempio, la Barbera Gallina del’99 e la Barbera d’Asti della stessa annata di casa Rivetti, proprio come deve essere, esuberante e VIVA…“così come sei” ...cantava Luciano Ligabue.
Ed Ecco per magia, la Cenerentola dei vini, la domanda che mi pongo, cosa sarebbe accaduto,se fosse stata piantata su terreni diversi?
Riprendendo, il corso del racconto dedicato a “cenerentola”, tra la fine del diciottesimo secolo e la metà del successivo, la barbera vive la sua età dell’oro: maggiore diffusione del vitigno, areee colturali più vocate, e la presa di coscienza del valore potenziale di un’uva che, se trattata con criteri qualitativi moderni, ha la chance di non essere da meno dei più blasonati vitigni d’oltralpe. Ma la storia non fa sconti, e quasi all’improvviso, dagli anni Sessanta dell’Ottocento, comincia quello che Gianluigi Bera ha definito “il lungo inverno della Berbera”o meglio arrivarono le tre F del declino; la Ferrovia, la Filossera e il Fascismo… poi arrivarono “Gli anni bui, e il tempo della Rivoluzione: dal metanolo alla Nuova Barbera”. Dopo tanto buio, un uomo del Monferrato, decide di gridare al mondo, che il vino di quelle colline, che guardano Tanaro e Belbo, è tutt’altro che buio, anzi. Compra spazi pubblicitari nella stampa e ci fa scrivere a lettere cubitali,”W LA BARBERA”, quell’uomo è Giacomo Bologna, da Rocchetta Tanaro, detto Braida.
In un breve incontro, di quasi sei anni fa, nella sua azienda, ricordo che, Angelo Gaja, affermava di esser stato tra i primi a fare esperimenti, con la barbera e le botti di rovere francese nel 1969, così che il legno, fornisse i tannini che mancavano all’uva. L’idea fu dettata anche dall’enologo francese Emile Pyneaud, durante una sua consulenza, negli anni sessanta a un’azienda vitivinicola nell’astigiano, ma il merito indiscusso, di aver fatto partecipare al ballo, Cenerentola, va al compianto Giacomo Bologna. Originario di Rocchetta Tanaro, una quindicina di chilometri a est di Asti, Bologna eredita LA BRAIDA ,la famiglia Bologna produce, altre due eccellenti Barbera, il Bricco della Bigotta e l’Ai Suma,quest’ultimo, un intercalare tipico di Braida, (in dialetto “CI SIAMO”), nasce da un’intuizione di Braida, che solo nelle annate migliori, raccoglie la sua barbera più tardi, lasciandola surmaturare sulla pianta, spingendo così (quasi) all’estremo le potenzialità del vitigno; ma è nel 1982, che Giacomo, crea il Bricco dell’Uccellone, la prima super barbera, che prende il nome del vigneto di origine, o meglio, dalla vecchia, con una grande somiglianza, con una cornacchia che possedeva un tempo il vigneto. Quel vino, riscuote un successo planetario. Una Barbera moderna, rivoluzionaria, un anno di piccoli legni francesi, concentrata e straordinaria, diventa il vino di lusso, e modifica per sempre la concezione che si era creata attorno al vitigno barbera. Alla domanda “Che cos’è un grande vino? La risposta , che forse più si avvicina al vero, è un’equazione, in cui i termini sono: Un grande vitigno + Un grande terroir + l’originalità marcata di un creatore… ( geologia+clima+storia). Nella Mandorla di Mauro Spertino, tutto è presente, l’equazione della barbera, data da un esordio sul grande albero della sua storia, rinnova l’immaginario stesso del vitigno. A chi arriva a Mombercelli, da Montegrosso d’Asti, la vigna la Mandorla,chiamata così, perché in passato, vi si ergevano due magnifici mandorli; appare sulla destra, data da un’impressionante pendenza di circa 45°. Terreno calcareo con una vena sabbiosa, un suolo impenetrabile, costituito da un sottosuolo di tufo blu, con ossidi di ferro e Sali minerali. Ecco che, Spertino con la grande passione per l’amarone, si ispira proprio a quest’ultimo, e nasce l’idea di produrre una barbera da uve leggermente appassite. Un grande vino è spesso una questione di misura ed equilibrio. Mauro con la storica annata 2006, la prima della Mandorla, trova la formula giusta, e così, per la sua esemplare capacità di unire finezza e potenza, la Mandorla, ha già spostato in avanti i confini della Barbera o Cenerentola. A ragion veduta.., ritornando ad una frase, menzionata da Giacomo Bologna: “ di Barbera c’è ne sono tante in Piemonte, come le donne!”;..e non è detto che a tutti piacciano le bionde, a molti piacciono anche le more, mentre per le rosse, si può scegliere nell’olimpo del vino mondiale.
Nessun commento:
Posta un commento