di Alberto P. Schieppati
Siamo sempre stati contro la visione “milanocentrica” della realtà, soprattutto per quanto riguarda la ristorazione. È pur vero che il saldo fra nuove aperture di insegne e la chiusura di esercizi commerciali di food & beverage (non solo ristoranti ma anche bar, pub, bistrò, lounge ecc.) è positivo: e lo stato di salute della gran parte dei locali operativi in città è decisamente buono. 
Inoltre, va detto che il livello qualitativo dell’offerta sulla scena milanese è molto cresciuto negli ultimi anni, esprimendo vertici sulla scia di un processo evolutivo senza precedenti in Italia. Per questo Milano, pur con i suoi limiti, fa scuola. Molti chef di grande preparazione (e fama) lavorano in città e i loro ristoranti sono luoghi di richiamo, anche mediatico, molto importanti. Ma in tanti, ristoratori e chef della provincia, talvolta professionali e preparati, ma lontani dalla città e dalla folla, ci fanno notare che va diminuendo esponenzialmente l’attenzione della clientela verso le loro realtà, ritenute periferiche o minori. Insomma, se lo chef è a Milano, ci si va. Di corsa. Se è fuori Milano, ci si pensa. E si decide, se ne vale la pena. Ad insistere su questo punto è, fra gli altri, uno chef patron di un’ottima trattoria di territorio, alle porte di Milano: “Certamente i ristoranti del capoluogo assorbono l’interesse e richiamano clientela, soprattutto internazionale. È inevitabile: facilità di collegamenti, ma anche attenzione mediatica spesso esagerata verso i soliti noti. Alcuni colleghi riferiscono che vengono fatte prenotazioni on line o telefoniche, che spesso sono poi disdette, quando il cliente si accorge che quel ristorante non è a Milano”. Può darsi che il cosiddetto hinterland viva questo disagio, ma faccio fatica a farmene una ragione. Infatti, gran parte dei ristoranti stellati o famosi è ubicata fuori Milano. Talvolta, in the middle of nowhere! Ci sono casi emblematici di ristoranti di provincia con un numero elevatissimo di luoghi-icona, stellati o non stellati. Che con Milano c’entrano poco. Nel mondo i più famosi stellati sono in campagna, ben distanti dalle metropoli (nella foto, l’insegna del Fat Duck, a Bray on Thames, nel Berkshire, un’ora e mezza da Londra). Direi perciò che la questione va affrontata diversamente. E il quesito che ci dobbiamo porre è il seguente: che cosa fanno i ristoratori che operano in aree extraurbane, lontano dai centri storici delle grandi metropoli o dalle città d’arte, per attirare l’attenzione della clientela? Cosa comunicano? In che misura esprimono quella autenticità, la cui percezione spesso è la vera discriminante che li fa preferire a certe insulse insegne cittadine? Che atmosfera regalano agli ospiti? Come pensano di incrementare il proprio business? Che prodotti scelgono per esprimere i livelli di qualità della propria cucina? Con quali tecniche realizzano i piatti? A contraddire la teoria della “Milano pigliatutto” ci vengono in aiuto case history che non mi stanco mai di citare: osterie perse nella campagna padana che registrano il tutto esaurito quasi quotidianamente, ristoranti gourmet piazzati in periferie attraversate da svincoli “micidiali”, trattorie tipiche che esprimono genuinità vera, scelte proprio per la loro semplicità. La caratterizzazione, poi, paga sempre. Penso a Luca Brasi che a Osio sotto (Bg) ha creato un polo straordinario per gli amanti della carne d’eccellenza. In tempi di veganismo spinto e di intolleranze diffuse non ci pare poco. E poi, aldilà delle periferie o delle aree rurali, l’Italia è piena di località turistiche il cui richiamo internazionale è formidabile. Penso al lago di Como (guardatevi in questo numero di Artù i servizi su alcune realtà di lusso), al territorio parmense, alla Costiera amalfitana, alla Toscana, al Salento, al Piemonte eccetera. Potremmo continuare all’infinito per avvalorare la nostra idea e fugare definitivamente il dubbio di tanti ristoratori che vivono male la propria extraterritorialità dal bacino milanese. E poi, diciamocelo: gli investimenti in qualità delle materie prime e in innovazione tecnologica spesso fanno la differenza, insieme alla visione imprenditoriale di ampio respiro, che migliora l’offerta e a fidelizza la clientela. Vale a dire: oltre la passione, ci vogliono investimenti. A Milano e fuori Milano.