È successo di nuovo, arriva l’estate
e mancano 250mila lavoratori del turismo
Una criticità che accomuna tutte le destinazioni d'Italia e che non è purtroppo una novità. L’ultimo allarme è del ministro Garavaglia, che ha puntato il dito sul reddito di cittadinanza. Ma la situazione è più complessa. La pandemia ha cambiato il settore, i giovani cercano garanzie e stipendi congrui. Le associazioni puntano sulla formazione
Migliaia di persone si trovano senza uno stipendio eppure non si trovano lavoratori. Il caso emblematico è quello del settore turistico. Un paradosso tutto italiano che si presenta in maniera sempre più prepotente nel momento in cui si avvicina la stagione calda e centinaia di alberghi si trovano a potenziare l’organico. In particolare quest’anno, stando a quanto riferisce il ministro del Turismo Massimo Garavaglia, all’appello mancherebbero ben 250mila lavoratori. Sul tema è intervenuta anche Conflavoro Pmi che ha però drasticamente ridimensionato il dato, segnalando che all'appello mancherebbero 70mila lavoratori qualificati, specialmente nell’indotto alberghiero. Ma, indipendentemente da quale sia la cifra in questione, il tema ormai si ripropone ciclicamente e pare più complesso di quanto sostenga il ministro, che ha dato la colpa al reddito di cittadinanza. I sindacati per esempio ribattono dicendo che è colpa dei contratti. A loro dire gli stagionali non vengono pagati il giusto.
Bisogna anzitutto considerare che la pandemia ha cambiato le carte in tavola. Ha messo a disposizione dei giovani nuove possibilità di lavoro, spesso più confortevoli. Chi cerca un impiego oggi cerca garanzie e anche gli stipendi stagionali devono rispondere alla crescita del costo della vita e dell’inflazione.
Le associazioni di categoria stanno quindi cercando di coinvolgere le istituzioni per unire la domanda con l’offerta. Ma non solo, guardano anche al futuro puntando alla valorizzazione delle scuole alberghiere per attrarre le nuove leve e far maturare le necessarie competenze affinché poi non lascino il settore.
L’estate sta arrivando e all’appello mancano i lavoratori del turismo
L’estate è alle porte e le imprese del turismo faticano a trovare personale. Mancano competenze, ma soprattutto i candidati. A soffrire maggiormente sono alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari per i quali trovare gli stagionali sembra ormai diventato un miraggio. Emblematico il caso della costa veneziana, dove mancano almeno 3mila figure professionali nelle strutture ricettive. E la cifra sale a 5mila se si considerano anche i camping, la ristorazione o il commercio. Generalmente gli stagionali lavorano in maniera continuativa per sei/sette mesi e il resto dell’anno usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, la Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego).
Il ministro del Turismo: «È colpa del reddito di cittadinanza»
Il ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha dichiarato che all’appello mancano ben 250mila posti di lavoro e che la “colpa” è del reddito di cittadinanza. Questi per il ministro incide soprattutto nei casi di rapporti di lavoro temporaneo o stagionale. «C’è chi preferisce fare tre giorni a chiamata e non andare oltre proprio per prenderlo», ha dichiarato. Ha quindi suggerito di «individuare eventuali correttivi del reddito onde attenuarne gli effetti distorsivi nel mercato del lavoro nel settore turistico: non è possibile avere una disoccupazione molto elevata e dall’altra parte mancano 250 mila addetti».
Sulla stessa linea di pensiero si è espresso Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari (Silb), che sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha evidenziato un quadro critico della situazione che sta vivendo la Puglia. «I ragazzi vogliono il fine settimana libero, ma il sabato e la domenica sono i giorni di maggiore afflusso degli stabilimenti balneari, quindi le loro pretese sono incompatibili con le nostre necessità - ha detto al Corriere - L’unica via di uscita è offrire meno servizi o coinvolgere le nostre famiglie il più possibile. È l’effetto del reddito di cittadinanza e chi dice il contrario sbaglia. Le risorse impiegate per i sussidi dovrebbero essere invece usate per ridurre il costo del lavoro per favorire l’aumento delle retribuzioni».
I sindacati: «I contratti sono inaccettabili»
Per i sindacati la situazione molto spesso la riluttanza degli stagionali ad accettare gli impieghi estivi è legata al contratto di lavoro.
«I lavoratori mancano perché molte aziende propongono contratti inaccettabili: 10, 12 ore di lavoro al giorno senza giorni di riposo per 900/1200 euro al mese - ha dichiarato Danilo Deiana, segretario territoriale della Filcams, intervistato dalla Nuova Sardegna - Ci sono due tipi di imprese. Da una parte quelle che fanno assunzioni in regola, secondo il contratto nazionale. Dall’altra quelle che assumono i lavoratori con contratti part time, per risparmiare, e li obbligano a lavorare anche 10 e 12 ore al giorno, magari anche senza riposi sette giorni su sette, in condizioni quasi disumane, con retribuzioni all inclusive (retribuzione ordinaria, straordinari, Tfr, tredicesima, quattordicesima, ferie e permessi) tra i 900 e i 1200 euro al mese. A fine stagione, nei nostri uffici di Olbia abbiamo il 70% di vertenze proprio per questo ultimo motivo. Ecco spiegato perché il lavoratore stagionale, con queste condizioni, non ha alcun incentivo valido e preferisce cercare lavoro in altri settori, più gratificanti dal punto di vista retributivo e meno sacrificanti».
Il problema è più complesso
Il problema sembra però più ampio. Gli addetti ai lavori percepiscono anzitutto un disallineamento tra domanda e offerta. L’emergenza pandemica ha cambiato la situazione legata alla precarietà di alcuni impieghi, come quello della ristorazione, rimasto a lungo fermo, e tanti giovani hanno preferito puntare su lavori completamente differenti, ma più stabili e sicuri. C’è anche da considerare l’aspetto legato alla retribuzione, considerata da molti non adeguata.
Una panoramica completa l'ha fornita nei mesi scorsi il sondaggio online di LavoroTurismo (sito Web pensato per la ricerca di lavoro, personale, informazioni e servizi nel turismo), realizzato in collaborazione con Italia a Tavola, la realtà è ben diversa. Questo autunno 1.650 lavoratori e 332 imprenditori hanno partecipato al questionario da cui è emerso che solo il 3% dei lavoratori ha rifiutato l'impiego perché aveva il reddito di cittadinanza. Tutti lo hanno invece cercato, invano, prima dell'inizio della stagione. Allora c'era troppa incertezza e si prospettava di lavorare soltanto per mezza stagione. Questo ha di fatto scoraggiato molti lavoratori a trasferirsi nelle località turistiche. Ma non solo; dal sondaggio è emerso che il 55% degli intervistati ha poi lavorato più del dovuto, dalle 9 alle 12 ore, e non ha nemmeno avuto adeguati turni di riposo. Aspetti che sicuramente finiscono ulteriormente per scoraggiare la ricerca di impiego.
Mancano lavoratori qualificati
Anche Conflavoro Pmi, sebbene riducendo drasticamente i numeri snocciolati da Garavaglia sulla carenza di stagionali, ha segnalato che all'appelo mancano 70mila posti di lavoro. In particolare Corrado Della Vista, membro dell’associazione e delegato nazionale per la Promozione e l’accoglienza del territorio, intervistato dal Corriere della Sera ha dichiarato che manca personale qualificato. Per l’associazione non è più possibile tornare alla situazione pre-pandemica; «Serve un approccio più lungimirante», ha dichiarato Della Vista.
Anche per la presidente di Confindustria Alberghi, Maria Teresa Colaiacovo il problema legato alla carenza di lavoratori stagionali non può ricondursi soltanto al reddito di cittadinanza.
«Molti dei nostri dipendenti durante la pandemia hanno deciso completamente di cambiare la loro carriera lavorativa, cercando impieghi più stabili e sicuri del nostro - ha premesso - Riguardo al reddito di cittadinanza forse è necessario svolgere più controlli per evitare che ci siano lavoratori in nero che percepiscano anche il reddito di cittadinanza»
Conflavoro e Confindustria Alberghi suggeriscono quindi di attuare una riforma generale del settore, introducendo tavoli tematici per far discutere le associazioni di categoria coi rappresentanti del Governo. L’idea è di avviare corsi di formazione continua fin dalle scuole, allo scopo di attrarre le nuove leve e di far maturare le necessarie competenze.
«I nostri giovani devono tornare ad amare questo lavoro e per fare in modo che ciò accada bisogna raccontarlo e insegnarlo al meglio», ha concluso Colaiacovo.
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