Vino italiano in crisi? Köcher: «No, ma
deve puntare
sulle identità regionali»
Il vino italiano affronta sfide legate a consumi in calo, inflazione e cambiamenti climatici. Helmuth Köcher, The WineHunter e fondatore del Merano WineFestival, offre la sua visione sul momento che sta vivendo il comparto e propone di valorizzare la biodiversità dei vitigni autoctoni, semplificare la comunicazione e adattarsi alle nuove generazioni e alla domanda di vini meno alcolici
Il settore del vino italiano sta vivendo un periodo di profonda trasformazione, sono tanti i fattori che ne stanno influenzando l’andamento, dai cambi delle abitudini di consumo, di gusto, alla crisi inflazionistica e non da ultimo il cambiamento climatico; il 2023 e l’inizio del 2024 hanno segnato un’inversione di tendenza caratterizzata da un segno negativo per l’export del vino italiano. Abbiamo avuto modo di confrontarci su questa tematica con Helmuth Köcher, The WineHunter e fondatore del Merano WineFestival, figura di spicco nel settore, che nel 1992 si è messo in gioco con l’idea di organizzare un evento dove l’eccellenza dei prodotti abbracciasse il mondo dell’eleganza, creando il Merano WineFestival, una manifestazione mai vista in Italia fino ad allora. Persona lungimirante e da sempre alla ricerca dell’eccellenza e di quella qualità in più che distingue le cose e le rende uniche nel tempo e che in occasione della 33° edizione del Merano WineFestival, presenterà come novità la Tavola Rotonda dal titolo: “Quo Vadis?” Dialoghi sul futuro del vino.
Il momento del vino italiano secondo Köcher
Dovendo fare una fotografia del vino italiano oggi, come lo vedi?
Personalmente seguo tutto il percorso del vino italiano dalla fine degli anni Ottanta del 1900, quindi ho visto i grandi progressi e tutta l'escalation di questo prodotto, soprattutto per quanto riguarda la crescita in termini di qualità. Un incremento negli anni che è derivato anche nel ricredere nella viticoltura autoctona, che è diventato un plus sicuramente a livello territoriale. Fattore che sicuramente dà un'identità ai vari territori. Quello che secondo me il vino - o un percorso che il vino dovrebbe fare - è dare proprio un'identità regionale. Con questo cosa voglio dire? Attualmente si parla di 1500 vitigni autoctoni, che fai difficoltà a comunicare, a mio avviso bisognerebbe riscrivere tutta la mappatura enologica dell'Italia, definendo al meglio le varie zone e legandole a quelle che possono essere le varietà davvero rappresentative di quel territorio. Prendo l'Alto Adige come riferimento che nel suo insieme è abbastanza semplice, cioè è una piccola provincia, dove la Doc Alto Adige rappresenta tutta un'area, all'interno della quale ci sono le sottozone, tipo Terlano, Valle Isarco, Valle Venosta, ecc.; così chiaramente è più facile orientarsi e si riesce a comunicarla bene. Se oggi vado in Calabria, ad esempio, si fa più fatica e sarebbe opportuno mettere la Calabria sotto un unico cappello, a cui poi dare specificità, anche associando un massimo di vitigni rappresentativi per ogni regione, parlo di quelli con un'identità forte. Ecco dove vorrei vedere arrivare il vino italiano domani, lo vorrei vedere inserito in un contesto dove ognuno ha una sua parte della torta, ma tutto fa parte di un unico insieme.
A tuo avviso il vino italiano sta vivendo un momento di crisi?
A mio avviso il vino italiano non sta vivendo una vera e propria crisi, ma sta affrontando sfide significative, in particolare legate a cambiamenti globali e al mercato. Siamo in una sorta di periodo di transizione, caratterizzato sia da opportunità che da difficoltà, ma non direi di crisi nel senso tradizionale del termine. Il futuro del vino italiano sembra promettente, ma richiede una continua capacità di adattamento e innovazione. L'Italia dovrà saper valorizzare le sue peculiarità, come la biodiversità viticola e la forte connessione con il territorio. Per me, l'Italia, in tutto il mondo vitivinicolo, è veramente un leader, perché non c'è nessun'altra nazione con questa varietà e biodiversità. Il focus sui vitigni autoctoni non solo rafforza l’identità del vino italiano, ma rappresenta anche un modo per conservare questa biodiversità. In futuro, si prevederà senza dubbio una continua valorizzazione di queste varietà locali: questo rappresenta un'opportunità per distinguersi sul mercato internazionale, offrendo ai consumatori esperienze uniche e legate a specifici territori.
Köcher sulle sfide dei nuovi consumi e dei vini dealcolati e alcohol free
Ritornando alla domanda del periodo di crisi, il calo dei consumi è evidente, allora bisogna capire come mai c'è questo calo di consumi?
È chiaro che entriamo in una sfera dove si è stanchi di vini troppo pesanti, eccetera. Adesso il vino deve essere in un certo senso “più semplice”, più codificabile, senza perdere le caratteristiche di eleganza, finezza, che ti danno emozione. Poi prima di tutto dovremmo anche analizzare bene questo calo dei consumi a quale tipologia di vino è rivolta. Bisogna andare molto più in profondità, perché è vero che da un lato abbiamo un calo dei consumi, ma dall’altro abbiamo un boom delle bolle; quello che sicuramente è abbastanza evidente in merito al calo è legato più ai vini rossi che bianchi. Se guardiamo questo dato, l'Italia ha già reagito dal 2013 diventando da una terra rossa una terra bianca.
A proposito di consumi, come vedi l’approccio delle nuove generazioni nei confronti del vino? Come pensi sia opportuno avvicinarli?
Il cambiamento delle abitudini di consumo, soprattutto tra le nuove generazioni, influenza anche il futuro del vino italiano. A mio avviso i giovani vogliono dei prodotti di più facile beva, prodotti capaci di accompagnare la convivialità. Se invece il vino diventa una cosa troppo complessa, i giovani si spaventano. Non si può più ragionare come si faceva vent'anni fa, oggi c'è più voglia di bere il vino in maniera più disimpegnata. I Millennials e la Generazione Z sono attratti da prodotti autentici, sostenibili e che raccontano una storia. Del resto, l’esperienza del vino è sempre più parte integrante del patrimonio culturale e gastronomico. Dobbiamo credere nuovamente nei nostri valori che sono poi la nostra storia.
Parlando di vini meno alcolici, come vedi il fenomeno dei vini dealcolati e alcohol free?
Forse la parola vino è sbagliata, perché se gli togli l’alcol non è più vino. Prima di tutto si dovrebbe trovare un termine che ne identifichi l’essenza, anche perché si confronta e si paragona con il vino. A mio avviso non lo vedo come un rischio per il settore tradizionale, ma piuttosto come un'evoluzione che risponde ai cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Pur riconoscendo le sfide tecniche e culturali legate alla sua produzione, credo che ci sia spazio per questo tipo di prodotto. Secondo me si tratta di offrire una scelta aggiuntiva per chi desidera limitare il consumo di alcol senza rinunciare al piacere di un calice. In molte parti del mondo, i consumatori, soprattutto le nuove generazioni, sono sempre più interessati a opzioni di bevande che offrano piacere e gusto, ma con meno alcol o addirittura senza. Questo riflette una maggiore attenzione alla salute, alla sostenibilità e a uno stile di vita equilibrato. Ben venga sia che ci sia maggiore ricerca in queste bevande meno alcoliche, ma anche che si valorizzi più l'identità territoriale.
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