Il Massimo D’Azeglio
non chiude
e fa da apripista
agli altri hotel
Tra i pochi a restare aperti anche durante il lockdown, l’albergo della capitale si è attrezzato da subito a garantire il servizio, rispettando tutte le normative sulla sicurezza, anche nella sala ristorante.
Nell’Italia chiusa per coronavirus, il settore alberghiero è uno di quelli che sta pagando di più, in termini di fatturato, la perdita di lavoro. E questo nonostante – ironia della sorte – la mancanza di un’ordinanza di chiusura delle attività del settore, così com’è invece capitato per la ristorazione, i negozi e per tante altre attività produttive.
E qualcuno che ha resistito nel Paese c’è, anche se la stragrande maggioranza degli alberghi, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, hanno deciso di abbassare le serrande. C’è chi probabilmente non le rialzerà neppure d’estate (questa, almeno, è la paura degli addetti ai lavori); a Roma invece, tra i pochi ad aver resistito anche in questi due mesi scarsi di lockdown c’è l’Hotel Massimo D’Azeglio. Un albergo storico a due passi dalla stazione Termini, certo non proprio una struttura dispersa nelle campagne. Ma per tenere aperto, nonostante il calo vertiginoso delle presenze, c’è comunque voluta tutta la determinazione del proprietario, Maurizio Bettoja, ultimo discendente di una dinastia di albergatori che a partire dal suo trisavolo, dal lontanissimo 1878, hanno garantito il servizio delle loro camere ininterrottamente, persino durante le due Guerre Mondiali.
«Non abbiamo voluto chiudere nemmeno adesso, magari in maniera incosciente e ostinata, ma non ce la siamo sentiti – ha detto in un’intervista a Vanity Fair – Inoltre era utile che in città qualche indirizzo restasse aperto. Dei tre hotel del Bettoja Group abbiamo lasciato aperto l’hotel storico concentrando lì le poche richieste».
D’altronde per la capitale succede che ci siano persone che per vari motivi si trovino in viaggio, oppure bloccate a Roma in attesa di tornare a casa. E poi c’è sempre stato, anche in questo periodo, qualcuno in servizio, come il personale sanitario, quello delle Ferrovie dello Stato o chi lavora nelle istituzioni, che nella capitale hanno la loro sede principale. «Certo – spiega Bettoja la nostra occupazione è il 5% di quella normale per questo periodo, ma con il personale in cassa integrazione che lavora su turni teniamo aperto anche il ristorante, che è un servizio importante, visto che anche tutti i ristoranti in città sono chiusi».
E così il Massimo D’Azeglio ha continuato a garantire il suo servizio, seguendo scrupolosamente tutte le indicazioni per assicurare la sicurezza contro il contagio; buone pratiche che dovranno adottare tutte le altre strutture alberghiere: «Abbiamo adottato mascherine e guanti e il distanziamento sociale – spiega Bettoja – Poi abbiamo messo degli schermi in plexiglass nella portineria. Sanifichiamo gli ambienti ogni due ore pulendo le superfici più esposte con il disinfettante. Non è previsto da nessuna normativa, ma con l’aiuto del nostro consulente per la sicurezza, abbiamo scelto di sanificare per ogni camera con i trattamenti all’ozono. Un macchinario che già si usa per disinfettare gli ambienti saturandoli di ozono per qualche ora».
E mentre il settore s’interroga su come ripartire, l’hotel Massimo D’Azeglio ha fatto un po’ da apripista, anche per quel che riguarda la sala ristorante: «Abbiamo abolito la colazione a buffet – dice ancora il proprietario – per ora facciamo solo il servizio al tavolo, ma nel futuro, si spera con più clienti, dovremo ripristinarla con porzioni individuali e prodotti confezionati invece che freschi.
L’importante è non fermarsi perché è chiaro che la crisi sarà terribile, soprattutto nelle città d’arte la mancanza del turismo straniero non potrà essere colmata nemmeno se tutti gli italiani stessero nel nostro Paese». E per un albergo che ospita mediamente l’80% di clienti provenienti dall’estero, non sarà certo facile proseguire: «Servono misure forti da parte del governo – conclude Bettoja – Sgravi fiscali e la cassa fino a fine anno per i dipendenti, che sono il costo maggiore, poi che dire, certo che avremmo bisogno di sostegni a fondo perduto. Federalberghi, sta ovviamente portando le nostre istanze al governo; ci aspettiamo che appena sarà possibile l’Enit parta con un progetto di promozione dell’Italia all’estero. Noi nel frattempo, come tutti gli albergatori, pensiamo a piccole strategie, come molta flessibilità, l’abolizione delle tariffe non-rimborsabili e creiamo pacchetti per promuovere i nostri hotel». italiaatavola
L'Hotel Massimo D'Azeglio di Roma
E qualcuno che ha resistito nel Paese c’è, anche se la stragrande maggioranza degli alberghi, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, hanno deciso di abbassare le serrande. C’è chi probabilmente non le rialzerà neppure d’estate (questa, almeno, è la paura degli addetti ai lavori); a Roma invece, tra i pochi ad aver resistito anche in questi due mesi scarsi di lockdown c’è l’Hotel Massimo D’Azeglio. Un albergo storico a due passi dalla stazione Termini, certo non proprio una struttura dispersa nelle campagne. Ma per tenere aperto, nonostante il calo vertiginoso delle presenze, c’è comunque voluta tutta la determinazione del proprietario, Maurizio Bettoja, ultimo discendente di una dinastia di albergatori che a partire dal suo trisavolo, dal lontanissimo 1878, hanno garantito il servizio delle loro camere ininterrottamente, persino durante le due Guerre Mondiali.
«Non abbiamo voluto chiudere nemmeno adesso, magari in maniera incosciente e ostinata, ma non ce la siamo sentiti – ha detto in un’intervista a Vanity Fair – Inoltre era utile che in città qualche indirizzo restasse aperto. Dei tre hotel del Bettoja Group abbiamo lasciato aperto l’hotel storico concentrando lì le poche richieste».
D’altronde per la capitale succede che ci siano persone che per vari motivi si trovino in viaggio, oppure bloccate a Roma in attesa di tornare a casa. E poi c’è sempre stato, anche in questo periodo, qualcuno in servizio, come il personale sanitario, quello delle Ferrovie dello Stato o chi lavora nelle istituzioni, che nella capitale hanno la loro sede principale. «Certo – spiega Bettoja la nostra occupazione è il 5% di quella normale per questo periodo, ma con il personale in cassa integrazione che lavora su turni teniamo aperto anche il ristorante, che è un servizio importante, visto che anche tutti i ristoranti in città sono chiusi».
E così il Massimo D’Azeglio ha continuato a garantire il suo servizio, seguendo scrupolosamente tutte le indicazioni per assicurare la sicurezza contro il contagio; buone pratiche che dovranno adottare tutte le altre strutture alberghiere: «Abbiamo adottato mascherine e guanti e il distanziamento sociale – spiega Bettoja – Poi abbiamo messo degli schermi in plexiglass nella portineria. Sanifichiamo gli ambienti ogni due ore pulendo le superfici più esposte con il disinfettante. Non è previsto da nessuna normativa, ma con l’aiuto del nostro consulente per la sicurezza, abbiamo scelto di sanificare per ogni camera con i trattamenti all’ozono. Un macchinario che già si usa per disinfettare gli ambienti saturandoli di ozono per qualche ora».
E mentre il settore s’interroga su come ripartire, l’hotel Massimo D’Azeglio ha fatto un po’ da apripista, anche per quel che riguarda la sala ristorante: «Abbiamo abolito la colazione a buffet – dice ancora il proprietario – per ora facciamo solo il servizio al tavolo, ma nel futuro, si spera con più clienti, dovremo ripristinarla con porzioni individuali e prodotti confezionati invece che freschi.
L’importante è non fermarsi perché è chiaro che la crisi sarà terribile, soprattutto nelle città d’arte la mancanza del turismo straniero non potrà essere colmata nemmeno se tutti gli italiani stessero nel nostro Paese». E per un albergo che ospita mediamente l’80% di clienti provenienti dall’estero, non sarà certo facile proseguire: «Servono misure forti da parte del governo – conclude Bettoja – Sgravi fiscali e la cassa fino a fine anno per i dipendenti, che sono il costo maggiore, poi che dire, certo che avremmo bisogno di sostegni a fondo perduto. Federalberghi, sta ovviamente portando le nostre istanze al governo; ci aspettiamo che appena sarà possibile l’Enit parta con un progetto di promozione dell’Italia all’estero. Noi nel frattempo, come tutti gli albergatori, pensiamo a piccole strategie, come molta flessibilità, l’abolizione delle tariffe non-rimborsabili e creiamo pacchetti per promuovere i nostri hotel». italiaatavola
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