Obbligo di offrire
pasti senza glutine
Utopia oppure
occasione di sviluppo?
Fa discutere la petizione affinché ogni ristoratore offra obbligatoriamente pasti senza glutine. Ciò che risulta poco praticabile è fermare la cucina e sterilizzare il necessario per preparare un piatto gluten free. Ma quanto glutine c’è in una cucina? Ormai molti prodotti di uso comune ne sono privi
Lo scorso anno è stata lanciata una petizione a favore dei celiaci che imponeva ai ristoratori - pena la sanzione - di avere un pasto senza glutine garantito. Tornata in voga, questa petizione sembra dividere il popolo del senza glutine: 7.580 persone l’hanno firmata ma altrettante, sui social network, ne hanno preso le distanze.
Partiamo dal presupposto che la petizione paragona la celiachia ad una malattia invalidante, cosa che, se curata attraverso l’alimentazione, non lo è per nulla. Come si può obbligare un ristorante ad avere un pasto senza glutine garantito? Quando si è in partita è difficoltoso per tutti fermare la cucina, sterilizzare il necessario, fare il piatto senza glutine e ripartire. Pensiamo ad un ristorante medio-piccolo che il sabato sera fa 50 coperti più il giro (se fortunato). Bloccare la cucina porta disagi per tutti, i clienti si lamentano del servizio lento, la cucina si ferma fino a quando la preparazione senza glutine non è uscita dalla cucina.
La conseguenza potrebbe essere quella di trovare in ogni ristorante il piatto pronto da scaldare nel microonde come si faceva 10 anni fa. Ne saremmo contenti? Assolutamente no! Perché poi si scatenerebbe l’ira del dover pagare il piatto come se fosse fresco con le polemiche conseguenti. Ed è così che il ristoratore abbandona l’idea del senza glutine.
Viaggiando spesso, mi sento dire le cose più disparate dai ristoratori italiani e stranieri ma non ho mai - e dico mai - trovato difficoltà nel cercare qualcosa di naturalmente senza glutine: un’insalata ben condita con verdure fresche, semi e uova sode, una bistecca rigorosamente in padella con degli spinaci saltati.
Se si avvisa il ristoratore anticipatamente, tanto meglio, ma non sempre è possibile. In caso siamo noi stessi che dobbiamo informare: è inutile prendersela perché non hanno pane, cracker o grissini senza glutine, meglio spiegare che esistono mono-porzioni comode da tenere in dispensa.
Dalla parte del ristoratore chiedo: quanto glutine c’è in una cucina? Ormai molti prodotti di uso comunque come dado per brodo o condimenti riportano la scritta “senza glutine”. La farina viene utilizzata solo per poche preparazioni e per tante altre si può tranquillamente sostituire con della farina di riso o della fecola di patate. Pensiamo per esempio a quando dobbiamo far addensare un liquido: con la fecola o l’amido di mais il risultato è lo stesso.
Per quanto riguarda il taglio del pane invece si può pensare ad un luogo dedicato lontano dalle altre preparazioni (dovrebbe essere sempre così). In questo modo non ci sono briciole vaganti e problemi di uso promiscuo degli strumenti. In conclusione, il comune denominatore che può venire in nostro aiuto è solo il buon senso, sia da parte del consumatore che del ristoratore.
Partiamo dal presupposto che la petizione paragona la celiachia ad una malattia invalidante, cosa che, se curata attraverso l’alimentazione, non lo è per nulla. Come si può obbligare un ristorante ad avere un pasto senza glutine garantito? Quando si è in partita è difficoltoso per tutti fermare la cucina, sterilizzare il necessario, fare il piatto senza glutine e ripartire. Pensiamo ad un ristorante medio-piccolo che il sabato sera fa 50 coperti più il giro (se fortunato). Bloccare la cucina porta disagi per tutti, i clienti si lamentano del servizio lento, la cucina si ferma fino a quando la preparazione senza glutine non è uscita dalla cucina.
La conseguenza potrebbe essere quella di trovare in ogni ristorante il piatto pronto da scaldare nel microonde come si faceva 10 anni fa. Ne saremmo contenti? Assolutamente no! Perché poi si scatenerebbe l’ira del dover pagare il piatto come se fosse fresco con le polemiche conseguenti. Ed è così che il ristoratore abbandona l’idea del senza glutine.
Viaggiando spesso, mi sento dire le cose più disparate dai ristoratori italiani e stranieri ma non ho mai - e dico mai - trovato difficoltà nel cercare qualcosa di naturalmente senza glutine: un’insalata ben condita con verdure fresche, semi e uova sode, una bistecca rigorosamente in padella con degli spinaci saltati.
Se si avvisa il ristoratore anticipatamente, tanto meglio, ma non sempre è possibile. In caso siamo noi stessi che dobbiamo informare: è inutile prendersela perché non hanno pane, cracker o grissini senza glutine, meglio spiegare che esistono mono-porzioni comode da tenere in dispensa.
Dalla parte del ristoratore chiedo: quanto glutine c’è in una cucina? Ormai molti prodotti di uso comunque come dado per brodo o condimenti riportano la scritta “senza glutine”. La farina viene utilizzata solo per poche preparazioni e per tante altre si può tranquillamente sostituire con della farina di riso o della fecola di patate. Pensiamo per esempio a quando dobbiamo far addensare un liquido: con la fecola o l’amido di mais il risultato è lo stesso.
Per quanto riguarda il taglio del pane invece si può pensare ad un luogo dedicato lontano dalle altre preparazioni (dovrebbe essere sempre così). In questo modo non ci sono briciole vaganti e problemi di uso promiscuo degli strumenti. In conclusione, il comune denominatore che può venire in nostro aiuto è solo il buon senso, sia da parte del consumatore che del ristoratore.
di Mariapia Gandossi
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