Anti-spreco
e multiculturale
La cucina
di Jo Barrett
Jo Barrett |
Per Jo la cucina è creatività, tecnica al servizio della terra, ingredienti capaci di riunire ceti sociali. Ha acquisito un’esperienza culinaria internazionale in Paesi come Canada, Brasile e Nuova Zelanda. La sua cucina trae ispirazione dagli ingredienti nativi australiani e segue la filosofia “farm to table”, votata a minimizzare gli sprechi.
Jo Barrett è arrivata in Italia per la prima volta nella sua vita lo scorso ottobre. L’abbiamo incontrata ad Host in occasione del Campionato mondiale di pasticceria, gelateria e cioccolateria, molto tempo prima che scoppiasse l'epidemia da coronavirus. «Non mi sarei mai aspettata di rappresentare il mio Paese - ha dichiarato divertita - sono così orgogliosa di aver fatto parte di questa squadra meravigliosa, chiamata a mostrare al resto del mondo quanto sia speciale l’Australia». Jo è una chef con la passione per la pasticceria e al Mondiale è arrivata con un dolce ispirato all’arte aborigena dell’artista Tarissa King. Lavora, insieme al suo fidanzato, lo chef Matt Stone, all’Oakridge Wine Restaurant, nella Yarra Valley.
Cosa fa una chef australiana in Italia?
Ho vissuto giornate pazzesche! Ho partecipato al campionato Mondiale di Pasticceria che se me l’avessi chiesto due anni fa di cosa si trattasse, non sarei stata in grado di rispondere.
Perché ha scelto di specializzarsi in panificazione e pasticceria?
Credo che per essere un bravo capo chef, devi saper fare tutto in cucina. Quindi dopo essermi qualificata come chef, ho iniziato ad interessarmi al mondo della panificazione e della pasticceria. Sto leggendo un libro, scritto dal primo chef del Papa, che parla proprio di questo, di quanto occorra sapere tutto quello che riguarda la cucina. Voglio essere un cuoco completo.
In che direzione va la pasticceria?
È una domanda interessante! In Australia tutto è salato e non abbiamo tanti dolci come li intendete voi. Usiamo tanto la verdura nei nostri dessert mentre nelle competizioni è tutto molto dolce, proprio come qui in Italia quando ti arriva un dessert a fine pasto.
Qual è il piatto che più la rappresenta?
Faccio tanti formaggi e ho imparato tanto sulle stagioni e sul clima favorevole. Serviamo un tipo di formaggio con dei cracker che facciamo con gli avanzi del pane, sempre per la voglia di evitare ogni tipo di spreco. Ecco, penso che sia quello il piatto che mi rappresenta di più: usa la tecnica per trasformare qualcosa che altrimenti verrebbe buttato via.
Parliamo di competizioni. Come gestisce l’ansia?
Quello che succede, succede. Non le prendo mai troppo sul serio. Il Mondiale di Pasticceria però fa storia a sé. Quando si tratta di voti e di graduatorie ovviamente è eccitante ma ricordiamoci sempre che non salviamo vite umane.
Ha in programma altri concorsi?
In questo momento non saprei. Non è una cosa che faccio spesso. Diciamo che questo è stato un bellissimo esperimento.
Chi è Jo Barrett oltre ad essere una pasticcera?
Gestisco un ristorante a Melbourne, insieme al mio compagno Matt. Parliamo di 120 coperti dove serviamo il cibo locale della nostra regione, la Yarra Valley e ogni sorta di cibo tipicamente australiano.
Quando ha scoperto che quello della cucina sarebbe stato il suo mondo?
Credo di essere nata per cucinare. È quello che voglio fare da sempre. Amo il cibo, amo i piccoli produttori, la terra che lo genera e amo il modo in cui il cibo riesce ad unire le persone. Vedi, come adesso che io dall’Australia sono qui, in Italia, a parlare con te di cibo. A 15 anni ho iniziato a lavare i piatti durante le vacanze scolastiche in un bar locale. Poi ho frequentato un Alberghiero e ho iniziato il mio apprendistato a tempo pieno nel 2006. Il resto è storia.
Chef donna in un mondo di uomini.
È un dato interessante che però sta cambiando. C’è sempre una maggiore richiesta di donne nell’alta cucina e questo aiuta il movimento a crescere da un lato e dall’altro è una bella iniezione di fiducia. Per quanto mi riguarda è un onore essere ogni giorno in quella cucina a far da mangiare ad altra gente, nonostante la nostra, la mia... sia “un’industria” dominata dagli uomini.
Maestri della cucina. Quali sono stati i suoi?
Ben Shewry, uno chef australiano che non può che essere un’ispirazione. Per come tratta le persone, gli ingredienti. È stato capace di spingere la sua cucina fino ad arrivare alle radici del nostro paese, lavorando anche con gli aborigeni. L’approccio allo spreco di Jos Becker ha avuto un grande impatto su di me e poi mia nonna, anche lei era una grande cuoca.
Qual è la sua filosofia in cucina?
Semplice: voglio avere il minimo impatto sull’ambiente. Per fare questo serve avere una buona tecnica in cucina, tale per cui, ogni spreco è uno spunto per cucinare altro. Voglio rispettare la storia del mio Paese, della mia cucina, dei miei ingredienti.
Che ruolo ha in cucina oltre ad avere in carico tutto il reparto della pasticceria?
Mi occupo dei formaggi, faccio i dolci, il pane. Con Matt lavoriamo insieme per creare il menu ma la cosa che preferisco seguire sono i formaggi, dalla preparazione, alla selezione, all’impiattamento.
Quanto studio e quanta tecnica c’è in un suo piatto?
Di solito mi viene l’ispirazione da un ingrediente. Magari un contadino mi porta qualcosa di nuovo o un prodotto stagionale e da lì inizia la mia ricerca. Poi essendo una cuoca so cosa farci con quell’ingrediente, so come trasformarlo, senza alterarlo, assicurandomi sempre che abbia ancora il suo sapore originale.
Come sceglie gli ingredienti?
Non sono io a scegliere. Sono le stagioni a fare il loro corso e a mettermi nelle condizioni di usare un prodotto invece di un altro. Uso qualsiasi cosa è disponibile in quella stagione al mercato. Uso tutto ciò che cresce dalle mie parti, tenendo conto anche e soprattutto delle condizioni climatiche. I miei ingredienti arrivano tutti da produttori locali.
Cosa non entrerà mai nella sua cucina e qual è invece l’ingrediente che non mancherà mai?
Non utilizzo mai ingredienti trattati, tipo la purea di frutta. Ciò che non mancherà mai invece sono i latticini di alta qualità, il burro, il latte buono, fresco come le uova, le verdure.
Nel 2020 ha ancora senso parlare di cucina a km 0?
Sì, assolutamente. Probabilmente ha più senso adesso cercare di mangiare il cibo locale, piuttosto che scegliere delle materie prime che devono viaggiare, non poco, prima di arrivare nelle nostre cucine. Quando si spedisce un alimento, servono impacchettamenti speciali e dal mio punto di vista è uno spreco che posso evitare di fare. Se mangi il cibo locale, vai direttamente al produttore a rifornirti e al mercato locale, il cibo non è avvolto nella plastica e non è trattato. Rispettate ciò che mettete nel piatto. Sempre.
Cosa è l’etica per lei?
Vuol dire cucinare e mangiare i prodotti della propria terra. Vuol dire essere consapevoli di quanto danno possa fare lo spreco. Vuol dire provare ad essere una persona migliore. Per sé stessi, per i clienti, i colleghi, i collaboratori. Essere buoni, in pratica... come un piatto ben riuscito!
Pensa che la cucina stellata, gourmet... possa essere sostenibile?
Assolutamente sì! Penso che chi ha la Stella Michelin debba essere ancora più responsabile e consapevole dell’importanza che hanno i suoi gesti. Non penso però che sia sostenibile l’alta cucina ad oggi ma che dovrebbe esserlo.
Nella sua cucina utilizza ingredienti italiani?
Utilizziamo tecniche italiane, quindi abbiamo sempre la pasta in carta ma la facciamo noi, a mano. Matt e io adoriamo la cucina italiana, è la nostra preferita, anche perché è semplice ed è facile farsi ispirare da voi italiani. Non utilizziamo specificamente ingredienti italiani, per esempio l’aceto balsamico o cose del genere ma piuttosto partiamo da quel prodotto per produrre il nostro aceto.
Cosa ha di speciale il suo ristorante?
Siamo una squadra di sette cuochi, chiamati a soddisfare fino ad un massimo di 120 ospiti. Siamo fuori dalla città, se vieni a mangiare all’Oakridge è perché hai scelto di vivere la realtà locale e non è come andare in un qualsiasi ristorante. Spesso la gente viene perché sa che siamo noi a macinare il grano per fare la farina e sa che tutto quello che trovano in tavola è cucinato da noi. La gente si sente “nutrita” e mentre lo fa riesce anche a rilassarsi.
Se l’Australia fosse un piatto, quale sarebbe?
Mi immagino davanti ad un buffet. Mi immagino a riempire quel piatto di cibo che arriva da ogni angolo del mio Paese. Immagino un piatto che contiene tante culture.
E se l’Italia fosse un piatto?
Un bellissimo piatto di pasta. Quando sono stata in Italia, ho cercato di mangiare la pasta ogni giorno. Non è come quella che mangio in Australia, ha qualcosa di speciale.
Ma di che tipo di pasta parliamo? Fresca, secca, ripiena...
Pappardelle! Un’altra cosa che amo dell’Italia è la mozzarella. Un ricordo indelebile mi lega al vostro Paese. Una volta a Roma da Roscioli, ho mangiato una mozzarella, mi veniva da piangere per quanto era buona, ad ogni boccone riuscivo ad immaginare la mucca e persino le erbe che mangiava. È stato uno dei momenti più alti della mia esperienza con il cibo.
Cosa invidia alla cucina italiana?
La tradizione. Adoro la possibilità che avete voi di andare in ogni regione e assaggiare una cosa che si fa esclusivamente in quel posto. Non abbiamo una cosa simile in Australia. Non abbiamo delle tradizioni così radicate, questo vi rende un popolo speciale ed è per questo che amo la cucina italiana.
Come si abbattano gli sprechi in cucina?
Evitando di utilizzare i contenitori di plastica: noi adottiamo quelli di metallo. Non utilizzando le tovaglie usa e getta, bandendo la microfibra, i prodotti chimici, le bottiglie di plastica per l’acqua. Nel nostro ristorante utilizziamo acqua salata, purificata con un macchinario, che conserva i minerali e poi utilizziamo tutte le parti di un prodotto animale. Nessuna esclusa.
Cosa vede nel suo futuro?
Vorrei cucinare cose che fanno bene all’ambiente. Vorrei diventare ambasciatrice del cibo australiano nel mondo. Lavorare sull’educazione alimentare, motivare i giovani... in fondo sono loro il nostro futuro.
Ho vissuto giornate pazzesche! Ho partecipato al campionato Mondiale di Pasticceria che se me l’avessi chiesto due anni fa di cosa si trattasse, non sarei stata in grado di rispondere.
Perché ha scelto di specializzarsi in panificazione e pasticceria?
Credo che per essere un bravo capo chef, devi saper fare tutto in cucina. Quindi dopo essermi qualificata come chef, ho iniziato ad interessarmi al mondo della panificazione e della pasticceria. Sto leggendo un libro, scritto dal primo chef del Papa, che parla proprio di questo, di quanto occorra sapere tutto quello che riguarda la cucina. Voglio essere un cuoco completo.
In che direzione va la pasticceria?
È una domanda interessante! In Australia tutto è salato e non abbiamo tanti dolci come li intendete voi. Usiamo tanto la verdura nei nostri dessert mentre nelle competizioni è tutto molto dolce, proprio come qui in Italia quando ti arriva un dessert a fine pasto.
Qual è il piatto che più la rappresenta?
Faccio tanti formaggi e ho imparato tanto sulle stagioni e sul clima favorevole. Serviamo un tipo di formaggio con dei cracker che facciamo con gli avanzi del pane, sempre per la voglia di evitare ogni tipo di spreco. Ecco, penso che sia quello il piatto che mi rappresenta di più: usa la tecnica per trasformare qualcosa che altrimenti verrebbe buttato via.
Parliamo di competizioni. Come gestisce l’ansia?
Quello che succede, succede. Non le prendo mai troppo sul serio. Il Mondiale di Pasticceria però fa storia a sé. Quando si tratta di voti e di graduatorie ovviamente è eccitante ma ricordiamoci sempre che non salviamo vite umane.
Ha in programma altri concorsi?
In questo momento non saprei. Non è una cosa che faccio spesso. Diciamo che questo è stato un bellissimo esperimento.
Chi è Jo Barrett oltre ad essere una pasticcera?
Gestisco un ristorante a Melbourne, insieme al mio compagno Matt. Parliamo di 120 coperti dove serviamo il cibo locale della nostra regione, la Yarra Valley e ogni sorta di cibo tipicamente australiano.
Jo Barrett con il fidanzato Matt Stone, anche lui chef
Quando ha scoperto che quello della cucina sarebbe stato il suo mondo?
Credo di essere nata per cucinare. È quello che voglio fare da sempre. Amo il cibo, amo i piccoli produttori, la terra che lo genera e amo il modo in cui il cibo riesce ad unire le persone. Vedi, come adesso che io dall’Australia sono qui, in Italia, a parlare con te di cibo. A 15 anni ho iniziato a lavare i piatti durante le vacanze scolastiche in un bar locale. Poi ho frequentato un Alberghiero e ho iniziato il mio apprendistato a tempo pieno nel 2006. Il resto è storia.
Chef donna in un mondo di uomini.
È un dato interessante che però sta cambiando. C’è sempre una maggiore richiesta di donne nell’alta cucina e questo aiuta il movimento a crescere da un lato e dall’altro è una bella iniezione di fiducia. Per quanto mi riguarda è un onore essere ogni giorno in quella cucina a far da mangiare ad altra gente, nonostante la nostra, la mia... sia “un’industria” dominata dagli uomini.
Maestri della cucina. Quali sono stati i suoi?
Ben Shewry, uno chef australiano che non può che essere un’ispirazione. Per come tratta le persone, gli ingredienti. È stato capace di spingere la sua cucina fino ad arrivare alle radici del nostro paese, lavorando anche con gli aborigeni. L’approccio allo spreco di Jos Becker ha avuto un grande impatto su di me e poi mia nonna, anche lei era una grande cuoca.
Qual è la sua filosofia in cucina?
Semplice: voglio avere il minimo impatto sull’ambiente. Per fare questo serve avere una buona tecnica in cucina, tale per cui, ogni spreco è uno spunto per cucinare altro. Voglio rispettare la storia del mio Paese, della mia cucina, dei miei ingredienti.
Che ruolo ha in cucina oltre ad avere in carico tutto il reparto della pasticceria?
Mi occupo dei formaggi, faccio i dolci, il pane. Con Matt lavoriamo insieme per creare il menu ma la cosa che preferisco seguire sono i formaggi, dalla preparazione, alla selezione, all’impiattamento.
Quanto studio e quanta tecnica c’è in un suo piatto?
Di solito mi viene l’ispirazione da un ingrediente. Magari un contadino mi porta qualcosa di nuovo o un prodotto stagionale e da lì inizia la mia ricerca. Poi essendo una cuoca so cosa farci con quell’ingrediente, so come trasformarlo, senza alterarlo, assicurandomi sempre che abbia ancora il suo sapore originale.
Come sceglie gli ingredienti?
Non sono io a scegliere. Sono le stagioni a fare il loro corso e a mettermi nelle condizioni di usare un prodotto invece di un altro. Uso qualsiasi cosa è disponibile in quella stagione al mercato. Uso tutto ciò che cresce dalle mie parti, tenendo conto anche e soprattutto delle condizioni climatiche. I miei ingredienti arrivano tutti da produttori locali.
Nella cucina di Jo Barrett la tecnica viene sfruttata per trasformare gli alimenti evitando qualsiasi spreco
Cosa non entrerà mai nella sua cucina e qual è invece l’ingrediente che non mancherà mai?
Non utilizzo mai ingredienti trattati, tipo la purea di frutta. Ciò che non mancherà mai invece sono i latticini di alta qualità, il burro, il latte buono, fresco come le uova, le verdure.
Nel 2020 ha ancora senso parlare di cucina a km 0?
Sì, assolutamente. Probabilmente ha più senso adesso cercare di mangiare il cibo locale, piuttosto che scegliere delle materie prime che devono viaggiare, non poco, prima di arrivare nelle nostre cucine. Quando si spedisce un alimento, servono impacchettamenti speciali e dal mio punto di vista è uno spreco che posso evitare di fare. Se mangi il cibo locale, vai direttamente al produttore a rifornirti e al mercato locale, il cibo non è avvolto nella plastica e non è trattato. Rispettate ciò che mettete nel piatto. Sempre.
Cosa è l’etica per lei?
Vuol dire cucinare e mangiare i prodotti della propria terra. Vuol dire essere consapevoli di quanto danno possa fare lo spreco. Vuol dire provare ad essere una persona migliore. Per sé stessi, per i clienti, i colleghi, i collaboratori. Essere buoni, in pratica... come un piatto ben riuscito!
Pensa che la cucina stellata, gourmet... possa essere sostenibile?
Assolutamente sì! Penso che chi ha la Stella Michelin debba essere ancora più responsabile e consapevole dell’importanza che hanno i suoi gesti. Non penso però che sia sostenibile l’alta cucina ad oggi ma che dovrebbe esserlo.
Nella sua cucina utilizza ingredienti italiani?
Utilizziamo tecniche italiane, quindi abbiamo sempre la pasta in carta ma la facciamo noi, a mano. Matt e io adoriamo la cucina italiana, è la nostra preferita, anche perché è semplice ed è facile farsi ispirare da voi italiani. Non utilizziamo specificamente ingredienti italiani, per esempio l’aceto balsamico o cose del genere ma piuttosto partiamo da quel prodotto per produrre il nostro aceto.
Cosa ha di speciale il suo ristorante?
Siamo una squadra di sette cuochi, chiamati a soddisfare fino ad un massimo di 120 ospiti. Siamo fuori dalla città, se vieni a mangiare all’Oakridge è perché hai scelto di vivere la realtà locale e non è come andare in un qualsiasi ristorante. Spesso la gente viene perché sa che siamo noi a macinare il grano per fare la farina e sa che tutto quello che trovano in tavola è cucinato da noi. La gente si sente “nutrita” e mentre lo fa riesce anche a rilassarsi.
L'importanza del km 0
Se l’Australia fosse un piatto, quale sarebbe?
Mi immagino davanti ad un buffet. Mi immagino a riempire quel piatto di cibo che arriva da ogni angolo del mio Paese. Immagino un piatto che contiene tante culture.
E se l’Italia fosse un piatto?
Un bellissimo piatto di pasta. Quando sono stata in Italia, ho cercato di mangiare la pasta ogni giorno. Non è come quella che mangio in Australia, ha qualcosa di speciale.
Ma di che tipo di pasta parliamo? Fresca, secca, ripiena...
Pappardelle! Un’altra cosa che amo dell’Italia è la mozzarella. Un ricordo indelebile mi lega al vostro Paese. Una volta a Roma da Roscioli, ho mangiato una mozzarella, mi veniva da piangere per quanto era buona, ad ogni boccone riuscivo ad immaginare la mucca e persino le erbe che mangiava. È stato uno dei momenti più alti della mia esperienza con il cibo.
Cosa invidia alla cucina italiana?
La tradizione. Adoro la possibilità che avete voi di andare in ogni regione e assaggiare una cosa che si fa esclusivamente in quel posto. Non abbiamo una cosa simile in Australia. Non abbiamo delle tradizioni così radicate, questo vi rende un popolo speciale ed è per questo che amo la cucina italiana.
Come si abbattano gli sprechi in cucina?
Evitando di utilizzare i contenitori di plastica: noi adottiamo quelli di metallo. Non utilizzando le tovaglie usa e getta, bandendo la microfibra, i prodotti chimici, le bottiglie di plastica per l’acqua. Nel nostro ristorante utilizziamo acqua salata, purificata con un macchinario, che conserva i minerali e poi utilizziamo tutte le parti di un prodotto animale. Nessuna esclusa.
Cosa vede nel suo futuro?
Vorrei cucinare cose che fanno bene all’ambiente. Vorrei diventare ambasciatrice del cibo australiano nel mondo. Lavorare sull’educazione alimentare, motivare i giovani... in fondo sono loro il nostro futuro.
di Nadia Afragola
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