mercoledì 1 aprile 2020

Dietro la Merkel, c'è un'Europa che bisbiglia parole di Unione

Dietro la Merkel, 

c'è un'Europa
che bisbiglia 

parole di Unione


La voglia di alzare questa bandiera non è  scomparsa

Non solo il fronte italiano-spagnolo. A favore dei covidbond anche la Bce, il Commissario Ue all'Economia Gentiloni e la Germania verde: «È nel pieno interesse tedesco che l'economia italiana resista».

Meno di due settimane: questo il tempo che Angela Merkel ha deciso di lasciar trascorrere (mentre le crisi si intensificano) prima di una vera e propria risposta dell'Unione europea sui coronabond. La situazione è chiara, un piccolo refresh può aiutare. Da una parte c'è lo schieramento Ue che cerca di dare un senso all'Unione che vada oltre la moneta comune, che divida le spese tra tutti gli Stati, di un economia per cui, come ha detto il premier Giuseppe Conte, «non ha colpa nessuno»; a questo schieramento appartengono Italia e Spagna, che dalla loro parte hanno portato, tra gli altri, anche la Francia (che finalmente si discosta dalla Germania, nel nome di un'Europa più solidale), la Slovenia, il Belgio e il Lussemburgo (che per la prima volta salutano l'Olanda). In tutto 11 Paesi a sostegno del fronte. Dall'altra parte Finlandia e Svezia, Paesi Baltici, Austria e Olanda, capeggiati dall'intransigente Germania, con la sua donna, quella "più potente d'Europa", che nemmeno s'è fatta vedere, si è anzi nascosta dietro un'immagine di lei, d'archivio, con una voce flebile (e messa sotto pressione come mai prima).

Da questo quadro iniziale, nell'attesa del trascorrere dei 15 giorni, ci sono però spunti che potrebbero portare in salvo un'Europa destinata allo sfascio. Destinata a «soccombere sotto una pietra tombale», come ha detto Massimo Cacciari. Che vedrà spuntare al suo posto una serie di nazionalismi, come teme Giuseppe Conte.

La Commissione Ue: le briciole della Von der Leyen
La presidente 61enne della Commissione europea Ursula Von der Leyen ne ha fatti di danni in questa crisi, a partire dalla  dichiarazione «I coronabond sono solo slogan». Insomma, è opinione comune che questa donna nient'altro faccia che eseguire gli ordini della cancelliera tedesca. Eppure, perfino lei, leggendo tra le righe e a modo suo, si è sbilanciata, prima della videoconferenza dei premier dei vari Paesi europei, asserendo: «Una strada alternativa ai coronabond sarebbe subottimale». La riporta il Corriere. Non è granché, ma per lei è un notevole passo avanti.

La Bce: il vicepresidente (e non solo lui) si sbilancia
«Sono a favore dei coronabond». Luis de Guidon non ha dubbi: «Si tratta di una pandemia che avrà ripercussioni su tutti». Non si parla delle crisi che hanno colpito l'Europa dal 2008 al 2010, qui siamo in un contesto di emergenza dove da soli non ci si rialza. Dopo tutto, la Banca centrale europea tutta si è espressa per un fermo sostegno agli strumenti come i coronabond. Non ne ha fatto mistero nemmeno Christine Lagarde.

La Germania: non riduciamola alla Merkel. Il parere del leader Verdi
Di fronte a 11 diversi Paesi dell'Ue che chiedono solidarietà, il fronte tedesco non è più compatto, e la Merkel non riesce più a celarlo. I Verdi sono da tempo il secondo partito tedesco, raccolgono sempre più consensi: forti della loro posizione, hanno detto la loro attraverso le parole del loro leader, Robert Habeck: «Sì ai coronabond, dobbiamo aiutare l'Italia». Non lasciano spazio all'immaginazione le sue dichiarazioni: «Stati economicamente forti come la Germania devono aiutare quelli che non stanno andando bene in questo momento - ha dichiarato il leader dei Verdi tedeschi alla Welt am Sonntag - Come altri leader europei sostengo l'idea e la necessità dei coronabond».

Non è un discorso esclusivamente solidale, il che lo rende decisamente più credibile e più efficace in terra tedesca: «È nell'interesse tedesco che l'economia italiana sopravviva alla crisi. La Germania può restare un Paese esportatore solo se le economie più colpite dalla crisi non finiscono in dissesto».

Si divide la politica tedesca, si divide la stampa
Alcuni titoli di quotidiani rendono bene l'idea delle varie sfaccettature di pensiero tedesche. Da una parte testate "pro-Ue" come lo Spiegel ("Merkel rigetta i coronabond e tuttavia parla di solidarietà") o il giornale di centro sinistra Die Zeit ("Una comunità che lascia nell'emergenza i suoi membri non merita questo nome"). Dall'altra il Die Welt ("Non si tratta della difesa di un principio, ma di evitare ulteriori carichi ai contribuenti tedeschi, austriaci e olandesi") che stima per i contribuenti tedeschi un costo ulteriore di 20-30 miliardi in caso di emissione di covidbond. La testata dalla parte della Merkel parla poi anche di come il presidente del consiglio italiano abbia aggredito la cancelliera tedesca (quest'ultima rimasta stupita, avendo sempre considerato Conte "particolarmente charmant"). A questo proposito sorge spontanea una domanda comune: come si può essere charmant verso un Unione che hai considerato per anni come casa e che nel momento del bisogno ti volta le spalle, facendoti aspettare 15 giorni, giorni in cui il tuo Paese affonda e la sua gente muore?

Il Commissario Ue all'economia: Gentiloni, «se non si scommette sui coronabond, lo si faccia sull'Ue»
L'ex premier oggi Commissario Ue all'economia, Paolo Gentiloni, ha accettato in cuor suo che l'emissione di bond «genericamente per mutualizzare il debito non verrà mai accettata». Ma non per questo s'arrende, anzi, porta il discorso ad un livello più alto: quest'emissione bisogna finalizzarla ad una «missione», vale a dire finanziare gli obiettivi comuni, come «affrontare l'emergenza sanitaria».

Gentiloni punta a vie traverse per arrivare allo scopo: parla del Mes, uno strumento condiviso, del quale se ne può anche parlare, riferendosi alle «condizionalità», si può pensare di alleggerirle, ma «non sono molto ottimista nemmeno su questa strada». Gentiloni prende al volo il consenso ai coronabond della Bce e conclude speranzoso: «Credo che bisogna scommettere ancora che alla fine, soprattutto da parte della Germania, si arrivi a una comprensione della nuova situazione». Perché la posta in gioco è veramente alta: «Se la divergenza economica tra Paesi Ue, invece di ridursi con la crisi, diventa un fattore di aumento delle differenze, sarà molto difficile tenere insieme il progetto dell'Unione tutta».
Marco Di Giovanni
Marco Di Giovanni
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