Come mangeranno
gli studenti?
Ristorazione
della scuola
nel caos
A pochi giorni dalla ripresa delle lezioni, non c'è ancora certezza sui pasti che saranno consumati all'interno degli istituti. C'è l'ipotesi della lunch box, ma non piace alle aziende di ristorazione . Presto un incontro con il Governo per sbrogliare la matassa, ma le decisioni saranno prese a livello locale.
Mancano meno di due settimane alla riapertura delle scuole e negli istituti di tutta Italia, per fare fronte all’emergenza contagi da Covid 19, stanno arrivando banchi nuovi e tonnellate di mascherine per docenti e ragazzi. Ma le incertezze su come fare fronte alla nuova normalità del dopo lockdown (le lezioni in classe riprendono per la prima volta dopo i mesi dell’isolamento) sono ancora tante. Tra queste c’è la questione ancora irrisolta delle mense.
Come si attrezzeranno gli istituti? Dove mangeranno i ragazzi? E, soprattutto, quali procedure saranno applicate per ridurre al minimo i contagi nel processo di preparazione, trasporto e somministrazioni dei pasti? Domande alle quali ancora non ci sono risposte certe. Si è parlato di allestire spazi all’esterno (quando il tempo lo permette), oppure in palestra o direttamente nelle classi. Ed è stata pure lanciata l’ipotesi di ricorrere alla preparazione di pasti singoli, distribuiti attraverso le cosiddette “lunch box”: un vero e proprio stravolgimento del lavoro delle aziende che preparano i pasti delle scuole, impossibile da mettere in atto in così poco tempo e con più che probabili ricadute su costi e qualità del cibo che rischiano di essere insostenibili per tutti.
Nei prossimi giorni i rappresentanti della categoria saranno convocati dal Governo per fare il punto della situazione a ridosso, ormai, dalla ripresa delle lezioni. Intanto le aziende aspettano, nell’incertezza più totale e senza la possibilità di organizzare il loro lavoro. La ristorazione collettiva scolastica vale circa il 40% di un fatturato che si aggira complessivamente intorno ai 6 miliardi di euro l’anno.
Massimiliano Fabbro è il presidente di Anir, l’Associazione nazionale imprese della ristorazione collettiva.
Presidente, perché tutta questa incertezza alla vigilia, ormai, della riapertura delle scuole?
Fino ad oggi il tema della ristorazione scolastica non è mai stato affrontato dal Governo con la dovuta attenzione. In alcuni casi si è lasciata l’iniziativa ai singoli, poi è stata emanata una direttiva che prevedeva l’utilizzo della lunch box in termini prescrittivi, indicando la necessità di produrre il pasto in contenitori singoli sigillati, non si sa bene come e a carico di chi. Successivamente, questa prescrizione è stata in parte rettificata, specificando che la “lunch box” è da considerarsi come una soluzione estrema, a fronte di situazioni in cui non si riesca a garantire la produzione in condizioni di sicurezza.
Com’è possibile mantenere un elevato grado di sicurezza nel servizio tradizionale?
Rispettando le disposizioni ministeriali in tema di Covid, ovvero con impianti sanificati e operatori che adottano le procedure in maniera rigorosa, con mascherine e guanti. Pratiche, queste, che garantiscono più sicurezza del lunch box. Va chiarito infatti un punto fondamentale: nella ristorazione collettiva i pasti vengono prodotti e consumati nella quasi immediatezza. In caso di trasporto, ciò avviene con contenitori multi-porzioni da un centro di cottura ai refettori, che spesso si trovano nelle vicinanze. Questa tecnica garantisce la massima qualità organolettica e, con i dovuti accorgimenti, l’assoluta integrità igienico-sanitaria, perché vengono ridotte al minimo le manipolazioni. Al contrario, la lunch box è una soluzione che non garantisce né la qualità organolettica, né la tenuta termica.
Con questo ragionamento, lei tende dunque ad escludere che possa essere introdotta la lunch box.
È un’ipotesi residuale. Al di là dei costi più alti, restano i temi dello spreco di plastica (quella bio è molto più costosa) e della maggiore manipolazione, che esporrebbe il cibo a qualche rischio in più. C’è poi da considerare che un crollo della qualità, determinerebbe un rifiuto da parte degli studenti.
Quanto inciderebbe sui costi il passaggio alla lunch box?
Potrebbe incidere in maniera estremamente significativa. Però al momento parliamo di ipotesi astratte: le amministrazioni scolastiche non hanno la possibilità di riconoscere corrispettivi superiori, né si può chiedere alle famiglie uno sforzo aggiuntivo. Le aziende, poi, fanno i conti con i centesimi; le offerte sono estremamente competitive e i margini molto scarsi. Non solo, parlando di lunch box, non ci sarebbe più neppure il tempo materiale per acquistare e allestire la preparazione di queste porzioni singole. Occorrono attrezzature, nastri di confezionamento e spazi, senza considerare che queste apparecchiature sono costose. Per questo bisogna individuare soluzioni organizzative locali, che garantiscano il rispetto delle prescrizioni del ministero, senza farsi carico di ulteriori costi e senza gravare sulle famiglie.
E com’è possibile?
Con un dialogo aperto con le aziende. Intanto siamo in attesa di avere un incontro al Miur per chiarire anche questi punti. Nel frattempo continuano a uscire bandi pre-Covid che non tengono conto delle nuove disposizioni e le aziende non sanno come formulare l’offerta. È quantomai opportuno fare chiarezza, perché stiamo parlando di un mercato enorme, oltre che di un servizio fondamentale. Si è parlato di ridurlo o di eliminarlo, quasi come se fosse un orpello. Il servizio di ristorazione scolastica consente una pausa che è anche momento di socialità, di benessere ed eguaglianza sociale in totale sicurezza.
Si è parlato anche di mangiare in classe, in giardino, in palestra. Crede siano soluzioni applicabili per garantire la sicurezza ed evitare di ricorrere alla lunch box?
Certamente, le soluzioni possono essere trovate a livello locale tra il dirigente scolastico e l’azienda appaltatrice, perché ogni istituto ha le sue specificità di spazi e di salubrità degli ambienti. Tra l’altro, il nuovo codice degli appalti ha recepito la possibilità, laddove si presentino delle diverse condizioni di erogazione del servizio non prevedibili al momento della pubblicazione del bando - di rinegoziare le condizioni di erogazione.
Come si attrezzeranno gli istituti? Dove mangeranno i ragazzi? E, soprattutto, quali procedure saranno applicate per ridurre al minimo i contagi nel processo di preparazione, trasporto e somministrazioni dei pasti? Domande alle quali ancora non ci sono risposte certe. Si è parlato di allestire spazi all’esterno (quando il tempo lo permette), oppure in palestra o direttamente nelle classi. Ed è stata pure lanciata l’ipotesi di ricorrere alla preparazione di pasti singoli, distribuiti attraverso le cosiddette “lunch box”: un vero e proprio stravolgimento del lavoro delle aziende che preparano i pasti delle scuole, impossibile da mettere in atto in così poco tempo e con più che probabili ricadute su costi e qualità del cibo che rischiano di essere insostenibili per tutti.
Nei prossimi giorni i rappresentanti della categoria saranno convocati dal Governo per fare il punto della situazione a ridosso, ormai, dalla ripresa delle lezioni. Intanto le aziende aspettano, nell’incertezza più totale e senza la possibilità di organizzare il loro lavoro. La ristorazione collettiva scolastica vale circa il 40% di un fatturato che si aggira complessivamente intorno ai 6 miliardi di euro l’anno.
Massimiliano Fabbro è il presidente di Anir, l’Associazione nazionale imprese della ristorazione collettiva.
Presidente, perché tutta questa incertezza alla vigilia, ormai, della riapertura delle scuole?
Fino ad oggi il tema della ristorazione scolastica non è mai stato affrontato dal Governo con la dovuta attenzione. In alcuni casi si è lasciata l’iniziativa ai singoli, poi è stata emanata una direttiva che prevedeva l’utilizzo della lunch box in termini prescrittivi, indicando la necessità di produrre il pasto in contenitori singoli sigillati, non si sa bene come e a carico di chi. Successivamente, questa prescrizione è stata in parte rettificata, specificando che la “lunch box” è da considerarsi come una soluzione estrema, a fronte di situazioni in cui non si riesca a garantire la produzione in condizioni di sicurezza.
Massimiliano Fabbro
Com’è possibile mantenere un elevato grado di sicurezza nel servizio tradizionale?
Rispettando le disposizioni ministeriali in tema di Covid, ovvero con impianti sanificati e operatori che adottano le procedure in maniera rigorosa, con mascherine e guanti. Pratiche, queste, che garantiscono più sicurezza del lunch box. Va chiarito infatti un punto fondamentale: nella ristorazione collettiva i pasti vengono prodotti e consumati nella quasi immediatezza. In caso di trasporto, ciò avviene con contenitori multi-porzioni da un centro di cottura ai refettori, che spesso si trovano nelle vicinanze. Questa tecnica garantisce la massima qualità organolettica e, con i dovuti accorgimenti, l’assoluta integrità igienico-sanitaria, perché vengono ridotte al minimo le manipolazioni. Al contrario, la lunch box è una soluzione che non garantisce né la qualità organolettica, né la tenuta termica.
Con questo ragionamento, lei tende dunque ad escludere che possa essere introdotta la lunch box.
È un’ipotesi residuale. Al di là dei costi più alti, restano i temi dello spreco di plastica (quella bio è molto più costosa) e della maggiore manipolazione, che esporrebbe il cibo a qualche rischio in più. C’è poi da considerare che un crollo della qualità, determinerebbe un rifiuto da parte degli studenti.
Quanto inciderebbe sui costi il passaggio alla lunch box?
Potrebbe incidere in maniera estremamente significativa. Però al momento parliamo di ipotesi astratte: le amministrazioni scolastiche non hanno la possibilità di riconoscere corrispettivi superiori, né si può chiedere alle famiglie uno sforzo aggiuntivo. Le aziende, poi, fanno i conti con i centesimi; le offerte sono estremamente competitive e i margini molto scarsi. Non solo, parlando di lunch box, non ci sarebbe più neppure il tempo materiale per acquistare e allestire la preparazione di queste porzioni singole. Occorrono attrezzature, nastri di confezionamento e spazi, senza considerare che queste apparecchiature sono costose. Per questo bisogna individuare soluzioni organizzative locali, che garantiscano il rispetto delle prescrizioni del ministero, senza farsi carico di ulteriori costi e senza gravare sulle famiglie.
E com’è possibile?
Con un dialogo aperto con le aziende. Intanto siamo in attesa di avere un incontro al Miur per chiarire anche questi punti. Nel frattempo continuano a uscire bandi pre-Covid che non tengono conto delle nuove disposizioni e le aziende non sanno come formulare l’offerta. È quantomai opportuno fare chiarezza, perché stiamo parlando di un mercato enorme, oltre che di un servizio fondamentale. Si è parlato di ridurlo o di eliminarlo, quasi come se fosse un orpello. Il servizio di ristorazione scolastica consente una pausa che è anche momento di socialità, di benessere ed eguaglianza sociale in totale sicurezza.
Si è parlato anche di mangiare in classe, in giardino, in palestra. Crede siano soluzioni applicabili per garantire la sicurezza ed evitare di ricorrere alla lunch box?
Certamente, le soluzioni possono essere trovate a livello locale tra il dirigente scolastico e l’azienda appaltatrice, perché ogni istituto ha le sue specificità di spazi e di salubrità degli ambienti. Tra l’altro, il nuovo codice degli appalti ha recepito la possibilità, laddove si presentino delle diverse condizioni di erogazione del servizio non prevedibili al momento della pubblicazione del bando - di rinegoziare le condizioni di erogazione.
di Sergio Cotti
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