Troppe chiacchiere
e inutili bonus
Il Governo sottovaluta
la ristorazione
Al netto di qualche misura utile, l’esecutivo non riesce a comprendere che il mondo della ristorazione e del turismo non può vivere di bonus estemporanei. Serve un intervento organico e radicale. E le tante voci del fuori casa devono trovare un’unità vera per far capire al governo quanto pesa il comparto sul Pil nazionale.
Difficile dire se a perderci la faccia sia stata la viceministra Laura Castelli o l’intero Governo. Sta di fatto che la bocciatura dell’improvvisato bonus per scontare del 20% i consumi al ristorante (che alla fine non è entrato nel decreto di agosto) dimostra come il mondo della ristorazione e del turismo continui ad essere affrontato in modo approssimativo e senza alcuna strategia. Il confronto obbligato è con la Francia, che ha puntato da subito sulla valorizzazione di questo comparto che contribuisce all’immagine nazionale nel mondo. Da noi, invece, si procede come a occhi chiusi, fra assistenzialismo o contributi a pioggia che non tengono conto delle cause per cui molti bar e ristoranti sono drammaticamente in crisi.
Ci sono locali che non lavorano perché mancano i turisti stranieri (è il caso di tutti i centri storici). Ci sono quelli danneggiati dalla vergognosa proroga dello smartworking degli statali e dei bancari, che ha azzerato i lunch o i caffè delle pause. Parliamo di aziende che hanno bisogno di essere sostenute non già per assistenzialismo, ma solo perché questa assenza di clienti è “temporanea”, salvo che qualcuno pensi (e forse era questo l’originale pensiero dell’on. Castelli che avevamo contestato) che l’Italia una volta finita la pandemia debba rinunciare al turismo o che gli uffici pubblici e le banche non debbano più essere frequentati...
E su tutto ciò c’è poi la perdurante “paura” di molti italiani di andare al ristorante, alimentata da notizie esageratamente allarmistiche o, peggio, contraddittorie. Del resto cosa si può pretendere da un Governo che ogni giorno avverte (giustamente) dei rischi di una ripresa dei contagi, ma poi rinuncia ad attrezzare le nuove linee di difesa sanitarie respingendo per pregiudizio ideologico gli aiuti ad hoc del Mes, a costo quasi zero e senza alcun vincolo?
Per carità, Conte e i suoi ministri hanno messo in campo anche alcuni interventi interessanti per i pubblici esercizi. Pensiamo agli aiuti nei centri storici (senza turisti), alla decontribuzione per le assunzioni dei giovani, al prolungamento della cassa integrazione (legandola all’effettivo calo di fatturato rispetto allo scorso anno), agli sgravi fiscali (ma solo temporanei...) per chi investe al Sud. Di valore c’è poi il contributo voluto dalla ministra Teresa Bellanova per spingere gli acquisti di prodotti agroalimentari italiani. Peccato però che i 600 milioni stanziati sembrano un po’ un’elemosina e, soprattutto, sono ancora una volta distribuiti a pioggia senza tenere conto che ci sono ristoranti (pensiamo alle località di mare) che per fortuna in questi giorni lavorano, mentre i locali di Milano o Roma, ad esempio, sono drammaticamente vuoti.
Non consideriamo in questo pacchetto l’anticipazione del cervellotico sistema con cui si pensa di garantire qualche possibile sconto (?) per chi farà acquisti usando moneta elettronica o carte di credito al posto dei contanti. Questo è infatti uno strumento di tipo fiscale per evitare l’evasione e poco inciderà sul “cassetto” di un locale. Inserirlo nel pacchetto di agosto è davvero solo fumo negli occhi.
La verità è che il Governo, pur con alcune iniziative positive, sembra non riuscire a comprendere che il mondo della ristorazione e del turismo non possono vivere di bonus estemporanei. Pensiamo solo al fallimento di quello degli alberghi. Serve un intervento organico e radicale per mettere ordine in un settore dove negli ultimi anni sono entrati troppi improvvisati, dove c’è una sempre più alta presenza di criminalità (che la crisi farà ulteriormente aumentare) e dove ci sono troppe disparità (dal fisco alle normative igienico sanitarie) fra le tante, troppe, aziende che fanno somministrazione di cibo e bevande. Bisogna valorizzare un modello organizzativo che non può prescindere ad esempio dalla presenza di un cuoco professionista. Si deve rimodulare (anche se in fase transitoria) il problema degli affitti e dell’Imu. In caso contrario, con l’autunno il mondo dell’accoglienza perderà tanti dei suoi protagonisti e l’Italia sarà obiettivamente più povera perché attorno al fuori casa e alla tavola gira un indotto che rappresenta quasi un terzo del Pil nazionale. È forse il tempo che i ristoratori trovino il mondo di fare capire cosa rappresentano a livello nazionale. Ma per questo serve l’unità vera di un comparto...
Roberto Gualtieri, ministro dell'Economia e delle Finanze, e Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio (foto: contropiano.org)
Ci sono locali che non lavorano perché mancano i turisti stranieri (è il caso di tutti i centri storici). Ci sono quelli danneggiati dalla vergognosa proroga dello smartworking degli statali e dei bancari, che ha azzerato i lunch o i caffè delle pause. Parliamo di aziende che hanno bisogno di essere sostenute non già per assistenzialismo, ma solo perché questa assenza di clienti è “temporanea”, salvo che qualcuno pensi (e forse era questo l’originale pensiero dell’on. Castelli che avevamo contestato) che l’Italia una volta finita la pandemia debba rinunciare al turismo o che gli uffici pubblici e le banche non debbano più essere frequentati...
E su tutto ciò c’è poi la perdurante “paura” di molti italiani di andare al ristorante, alimentata da notizie esageratamente allarmistiche o, peggio, contraddittorie. Del resto cosa si può pretendere da un Governo che ogni giorno avverte (giustamente) dei rischi di una ripresa dei contagi, ma poi rinuncia ad attrezzare le nuove linee di difesa sanitarie respingendo per pregiudizio ideologico gli aiuti ad hoc del Mes, a costo quasi zero e senza alcun vincolo?
Per carità, Conte e i suoi ministri hanno messo in campo anche alcuni interventi interessanti per i pubblici esercizi. Pensiamo agli aiuti nei centri storici (senza turisti), alla decontribuzione per le assunzioni dei giovani, al prolungamento della cassa integrazione (legandola all’effettivo calo di fatturato rispetto allo scorso anno), agli sgravi fiscali (ma solo temporanei...) per chi investe al Sud. Di valore c’è poi il contributo voluto dalla ministra Teresa Bellanova per spingere gli acquisti di prodotti agroalimentari italiani. Peccato però che i 600 milioni stanziati sembrano un po’ un’elemosina e, soprattutto, sono ancora una volta distribuiti a pioggia senza tenere conto che ci sono ristoranti (pensiamo alle località di mare) che per fortuna in questi giorni lavorano, mentre i locali di Milano o Roma, ad esempio, sono drammaticamente vuoti.
Non consideriamo in questo pacchetto l’anticipazione del cervellotico sistema con cui si pensa di garantire qualche possibile sconto (?) per chi farà acquisti usando moneta elettronica o carte di credito al posto dei contanti. Questo è infatti uno strumento di tipo fiscale per evitare l’evasione e poco inciderà sul “cassetto” di un locale. Inserirlo nel pacchetto di agosto è davvero solo fumo negli occhi.
La verità è che il Governo, pur con alcune iniziative positive, sembra non riuscire a comprendere che il mondo della ristorazione e del turismo non possono vivere di bonus estemporanei. Pensiamo solo al fallimento di quello degli alberghi. Serve un intervento organico e radicale per mettere ordine in un settore dove negli ultimi anni sono entrati troppi improvvisati, dove c’è una sempre più alta presenza di criminalità (che la crisi farà ulteriormente aumentare) e dove ci sono troppe disparità (dal fisco alle normative igienico sanitarie) fra le tante, troppe, aziende che fanno somministrazione di cibo e bevande. Bisogna valorizzare un modello organizzativo che non può prescindere ad esempio dalla presenza di un cuoco professionista. Si deve rimodulare (anche se in fase transitoria) il problema degli affitti e dell’Imu. In caso contrario, con l’autunno il mondo dell’accoglienza perderà tanti dei suoi protagonisti e l’Italia sarà obiettivamente più povera perché attorno al fuori casa e alla tavola gira un indotto che rappresenta quasi un terzo del Pil nazionale. È forse il tempo che i ristoratori trovino il mondo di fare capire cosa rappresentano a livello nazionale. Ma per questo serve l’unità vera di un comparto...
di Alberto Lupini
direttore
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