venerdì 25 dicembre 2020

Niente guerra commerciale fra Ue e Londra. Ecco perchè si salva il nostro export alimentare

 

Niente guerra commerciale 

fra Ue e Londra. 

Ecco perchè si salva 

il nostro export 

alimentare


Fumata bianca sul dopo Brexit fra Ue e Regno Unito, dopo mesi di estenuanti negoziati: trovato un compromesso finale su un accordo di libero scambio. Per ora niente dazi ma ci sarà più burocrazia.
Le esportazioni costeranno un po' di più, ma a breve non si saranno conseguenze. Dalle dogane all’immigrazione, ecco cosa cambia dal 1° gennaio.

LBrexit si farà, ma sarà forse meno indolore di quanto si pensava. «L'accordo è fatto» ha scritto in un tweet il premier britannico, Boris Johnson, che ha postato una foto con entrambi i pollici rivolti verso l'alto L’Unione Europea e la Gran Bretagna hanno trovato, sul filo di lana, un accordo per evitare di farsi del male a vicenda. Il Regno Unito potrà accedere al mercato unico europeo senza quote né dazi, ma solo se seguirà le regole europee. Altrimenti scatteranno proprio quote e dazi. Superato anche il nodo della pesca che rischiava di fare saltare tutto. Quanto durerà l’intesa e se non avrà problemi lo si vedrà solo in futuro, ma per ora non ci dovrebbero essere sconquassi negli scambi commerciali, il che è una buona notizia per il mondo agroalimentare italiano. Un regalo di Natale alla fine di un anno terribile per tutti.

Non dimentichiamo che senza un accordo le esportazioni agroalimentari della UE - che ammontano a oltre 40 miliardi di euro l’anno (di cui 3,5 miliardi dall’Italia, con la leadership in Europa per l’export di vino) - sarebbero state gravate da un dazio doganale medio di circa 20 punti, con punte fino al 70% per talune produzioni zootecniche. E in più ci sarebbe stato un ripristino dei controlli alle frontiere che avrebbe riproposto le lunghe code di automezzi che si sono verificate nei giorni scorsi alla frontiera con la Francia.

Non dimentichiamo che senza un accordo le esportazioni agroalimentari della UE - che ammontano a oltre 40 miliardi di euro l’anno (di cui 3,5 miliardi dall’Italia, con la leadership in Europa per l’export di vino) - sarebbero state gravate da un dazio doganale medio di circa 20 punti, con punte fino al 70% per talune produzioni zootecniche. E in più ci sarebbe stato un ripristino dei controlli alle frontiere che avrebbe riproposto le lunghe code di automezzi che si sono verificate nei giorni scorsi alla frontiera con la Francia.

Tutelate le Igp
Almeno al momento abbiamo evitato un drastico calo delle nostre esportazioni, soprattutto di quelle agroalimentari, sul mercato inglese. Il che eviterà anche nuovi conflitti a livello europeo per l’esubero di produzione che si sarebbe creato. Nel dettaglio va anche detto che, sempre sulla carta, sarebbe stata assicurata la tutela delle indicazioni geografiche protette, di cui l’Italia detiene in record nella Ue. In prospettiva avremo però dei problemi perché Londra aprirà il suo mercato all’import da Paesi di tutto il mondo e subiremo sicuramente concorrenze molto serrate.

Nuove dichiarazioni doganali
Dal 1° gennaio 2021 dunque il Regno Unito uscirà dal mercato unico e dall’unione doganale e sarà a tutti gli effetti un Paese terzo. A seguiti di ciò tutti i i prodotti destinati a quel mercato dovranno essere accompagnati da una dichiarazione doganale e saranno ripristinati i controlli fitosanitari. Il che comporterà dei costi, così come per tutte le esportazioni in genere.

Il governo britannico dispiegherà 1100 funzionari in più alle dogane e all’immigrazione. Nello scenario peggiore, si teme che fino a 7 mila camion possano restare imbottigliati sulle autostrade inglesi che conducono a Dover e agli altri porti, a causa dei controlli doganali che verranno comunque introdotti dal 1° gennaio dai Paesi europei (la Gran Bretagna ha invece deciso di aspettare fino al 1° luglio prossimo prima di applicarli).

No a guerra commerciale Ue/Londra   Si salva il nostro export alimentare

Il dubbio Irlanda del nord
Non è ben chiaro al momento come ci si regolerà per i controlli sulle merci britanniche destinate all’Irlanda del Nord, dove continueranno a valere le regole della UE. È in punto delicato perché da quella regione potrebbero poi entrare nel resto della Ue, e quindi anche in Italia, prodotti inglesi non conformi agli standard europei.

Ricordiamoci che si tratta dell'accordo più vasto mai firmato da ognuna delle due parti: si basa su scambi per 668 miliardi di sterline (dato del 2019. A livello globale l’interscambio fra Italia e Gran Bretagna nel 2019 era stato di circa 30 miliardi, con 20 miliardi di nostre esportazioni e dieci di importazioni (dunque un saldo largamente attivo). Quest’anno la pandemia ha visto i volumi contrarsi di circa il 20% ma alla fine dovremmo chiudere sui 25 miliardi.

Ora la parola ai parlamenti
L’accordo dovrà in ogni caso passare attraverso le ratifiche parlamentari. Westminster si riunirà in seduta straordinaria il 30 dicembre, mentre il Parlamento europeo chiede più tempo per verificare l’accordo con attenzione. L’intesa, secondo quanto ha dichiarato la presidente della commissione, Ursula von der Leyen verrà applicata in via provvisoria, in attesa del via libera definitivo di Strasburgo.

La svolta l’hanno impressa direttamente Boris Johnson e la presidente della Commissione Ue che hanno preso personalmente in mano le trattative e sono stati in costante contatto telefonico. Boris aveva bisogno di un accordo. La pessima gestione della pandemia ha devastato la sua popolarità e la più recente emergenza provocata dalla nuova variante del coronavirus gli ha tolto ogni spazio di manovra. Ora ha qualcosa di concreto da mostrare e infatti sta facendo di tutto per vendere l’intesa come una vittoria di Londra e un pieno recupero della sovranità nazionale.

In realtà l’accordo tutela entrambe le parti perché come visto evita L’accordo raggiunto è comunque ridotto all’osso: in sostanza evita il ritorno ai dazi sulle merci e mantiene aperta la cooperazione in tema di criminalità e sicurezza, ma lascia fuori i servizi, che costituiscono la quota più rilevante di ciò che la Gran Bretagna «vende» all’Unione. I negoziati si erano incagliati sulla questione della concorrenza equa, in particolare sugli aiuti di Stato, e su quella della pesca nelle acque britanniche. Su entrambi i temi si è però trovato alla fine un compromesso che consentirà a Londra di divergere dalle regole europee, se vorrà, nel qual caso scatterebbero però come detto i dazi.

Cambiamenti in vista per la finanza
L’accordo non copre come detto il settore finanziario, ma nella City molte aziende si sono già messe ai ripari spostando attività e personale in Europa: l’esodo di banchieri e manager da Londra è stato però finora contenuto (non più del 4% degli addetti). Se ne sono però già andati gli investimenti europei sui fondi azionari britannici che hanno registrato un salasso di oltre 2 miliardi di dollari.

Visto per lavoro e passaporto per turismo
Dal 1° gennaio scatta anche il nuovo sistema di immigrazione in Gran Bretagna. Chi ci andrà per lavoro dovrà avere un visto, ottenibile solo se ha già un’offerta in tasca e un salario previsto di almeno 25.600 sterline (circa 28 mila euro, meno in caso di lavori essenziali come nel settore sanitario). Agevolazioni previste anche per chi ha un dottorato di ricerca (specialmente in materie scientifiche), mentre sarà molto più difficile andare a Londra per fare i camerieri o i commessi. I turisti non avranno bisogno di visto, ma sarà necessario il passaporto e non si potrà restare per più di tre mesi.

Cancellato Erasmus
Londra è uscita come noto anche dal programma Erasmus. Dall’anno prossimo gli studenti europei dovranno chiedere il visto e le rette universitarie raddoppieranno – fino a 30 mila euro l’anno – perché saranno portate in linea con quanto già pagano gli studenti extra-europei. Per i giovani che sono già in Gran Bretagna per studio entro il 31 dicembre, invece non cambia nulla.

Il nodo della pesca
Era stata la pesca il nodo più difficile da sciogliere tra le questioni rimaste in sospeso al termine del negoziato sulla Brexit. Nell'Atlantico nordorientale e nel Mare del Nord, sono un centinaio le specie oggetto di pesca condivisa tra il Regno Unito e l'Ue. Alcuni Stati europei godono inoltre di un accesso limitato ad aree situate entro 6-12 miglia nautiche dalla costa britannica, in acque territoriali, in virtù di consuetudini. È il caso di Francia e Danimarca. riconoscimento di vecchie attività tradizionali.

I pescherecci dell'Unione Europea prelevano pesce per 650 milioni di euro all'anno dalle acque britanniche, con le flotte di otto Paesi che contano per il 40% del pescato. Il Regno Unito esporta tra il 60% e l'80% dei suoi prodotti ittici e l'Ue ha assorbito quasi il 70% delle esportazioni di pesce britanniche. A rendere le acque britanniche molto pescose sono i meccanismi biologici. Le uova vengono deposte lungo le coste francesi e fino alla Danimarca, zone adatte al nutrimento degli avannotti perché abbastanza basse e sabbiose. Raggiunta l'età' adulta, i pesci partono per il Nord alla ricerca di acque più profonde, fredde e ossigenate del nord.

Per l'accordo post-Brexit, l'Ue si era offerta di rinunciare a circa il 25% del valore dei prodotti catturati nelle acque britanniche dalle flotte europee, dopo un periodo di transizione di cinque anni e mezzo, dopo il quale le regole per l'accesso reciproco alle zone di pesca sarebbero rinegoziate ogni anno, come avviene con la Norvegia. Ma al momento non si sa ancora cosa è stato definito. italiaatavola

di Alberto Lupini
direttore
Alberto Lupini

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