Malattie in vigna,
il mondo del vino
si spacca
tra biotecnologia
e genetica
Il cambiamento climatico e le malattie della vite spingono il settore vitivinicolo verso nuove soluzioni biotecnologiche. Dalla selezione genetica tradizionale alle Ngt, si studiano varietà resistenti per ridurre l'uso di pesticidi. Tra sperimentazioni su Glera e Chardonnay, la ricerca apre nuove prospettive per una viticoltura più sostenibile
Il 1994 è un'annata vitivinicola ricordata per l'impatto drammatico della peronospora. Sotto la pressione della malattia, le aziende in conduzione biologica sono arrivate a fare fino a 25 trattamenti di rame sull'anno. «Quando questo succede, evidentemente biologico e sostenibilità non sono più compatibili», osserva Maurizio Gily, agronomo specializzato nei progetti in bio. Proprio per scampare alla spada di Damocle dei parassiti e delle patologie fungine, che il cambiamento climatico ha spinto e sta spingendo ad una diffusione nuova ed estrema, il mondo vitivinicolo (come l'agricoltura nel suo complesso) si trova a confrontarsi con l'evoluzione tecnica e tecnologica. E proprio rispetto alla spinta sulle biotecnologie - con un lavoro sempre più avanzato sulla genetica - si aprono strade nuove, non senza controversie.
Patologia in vigna, il ruolo della scienza
A fronte dell'aggressività dei problemi - dalla cicalina africana al sud alle peronospora nel nord - c'è un atteggiamento di progressiva apertura agli interventi di biotecnologia da parte delle associazioni di categoria agricole, mentre il mondo ambientalista e le principali associazioni del biologico sono schierate contro.
«C'è molto lavoro da fare, perché la situazione è molto polarizzata - evidenzia Gily intervenendo all'anteprima del Valdarno Doc - ed è paradossale che ad essere contrari siano proprio quelli che potrebbero avere vantaggi, superando la necessità di eccedere con i pesticidi (perché anche le sostanze utilizzate in bio, pur se non di sintesi, sono in parte identificate come pesticidi). Si tratta allora di fare chiarezza e gli scienziati sono chiamati ad essere chiari nell'approfondire il percorso di ricerca». Se dunque la sostenibilità sembra aver bisogno di innovazione e non si passatismo - soprattutto perché i “vecchi” metodi sembrano esser sempre più impotenti di fronte all'evoluzione climatica e dei territori - si aprono due approcci dal differente impatto biotecnologico.
Dalla selezione all'impollinazione con i resistenti
«Siamo impegnati nella ricerca di soluzioni genomiche e biotecnologiche per la protezione delle piante - ha detto dal Valdarno Riccardo Velasco, direttore Crea - Oggi utilizziamo tecniche per il miglioramento genetico che sono tradizionali, di fatto, anche se supportate dalla conoscenza del Dna. Lavoriamo con polline su fiore come le api, ma noi scegliamo i genitori per produrre nuove varietà». Il processo prevede la scelta di un genitore nobile su cui si procede all'impollinazione con una varietà resistente alle malattie. «In questo modo - aggiunge Velasco - si possono introdurre nella nuova varietà i caratteri del vitigno nobile con elementi di resistenza genetica».
È un percorso di studio in corso. E se la Francia ha autorizzato l'introduzione di un 5% di superficie e di un 10% di uve da vitigni resistenti per produrre le Aoc (Champagne incluso), l'Italia è un po' più indietro però sono in fase di approfondimento progetti sul vitigno Glera alla base del Prosecco. «È in fase sperimentale la produzione di piante figlie di Glera - spiega Velasco - ottenute con impollinazione da varietà resistenti che hanno nel Dna Chardonnay e Riesling. Il risultato è una pianta che ha il corredo tradizionale della Glera, ma resistente a peronospora e oidio». Il Glaurum (così è stato chiamato) dovrebbe esser disponibile per l'impianto nel 2027 e potrebbe esser integrato (una volta iscritto nel registro delle varietà) in un disciplinare che consente l'utilizzo di un 15% di uve diverse dalla Glera.
Biotecnologia e genetica
I ricercatori sottolineano con forza come i primi interlocutori per questi progetti orientati al miglioramento del patrimonio genetico delle piante siano proprio i viticoltori che vogliono giocare di sostenibilità. Anche nell'intervento che spinge sulla biotecnologia, lavorando sulle NGT (New Genomic Technichs), «va considerato che l'intervento sulla genetica utilizza una proteina per indurre mutazioni che possono avvenire anche spontaneamente in natura solo che vengono indotte invece di selezionare cloni che casualmente emergono nelle barbatelle o nelle collezioni di chi produce i propri cloni. Le mutazioni hanno sempre portato una evoluzione della biodiversità», precisa Velasco.
Certo la prudenza c'è anche tra gli scienziati, che rivendicano libertà di ricerca eppure si muovono con grande attenzione. «Sarebbe utile un inquadramento normativo a livello europeo - ha dichiarato Mario Pezzotti dell'Università di Verona dal Valdarno - perché invece è difficile far capire che le mutazioni avvengono in natura, sono casuali, e l'uomo le ha sempre sfruttate tramite una selezione delle piante mutate. In questo caso noi possiamo intervenire mutando le piante in punti precisi del genoma e valutando quanto possano aiutare per una viticoltura (e agricoltura) più sostenibile. Rispetto al miglioramento genetico classico, su cui ha lavorato l'uomo negli ultimi 150 anni incrociando ovuli e pollini di piante sessualmente compatibili, con l'editing genetico andiamo a toccare non un libro, ma una lettera di una parola in una pagina del libro. Verifichiamo il funzionamento di quel gene e l'impatto sul funzionamento del genoma intero».
Dalla sezione del genoma della vite, ormai quasi vent'anni fa, la ricerca ha fatto progressi notevoli. «Oggi abbiamo una pianta di Chardonnay e a breve una di Glera con un intervento sul gene che le espone alla peronospora e all'oidio - chiosa Pezzotti - e queste potranno essere portate alla sperimentazione in campo, esponendole ai fattori patogeni». Le piante sono state scortate dal laboratorio al vigneto sperimentale dai Carabinieri, perché sono classificate come OGM, ma i ricercatori sono fiduciosi rispetto alla prospettiva di una possibile commercializzazione futura. «Non esiste un'unica strada - conclude Pezzotti - perché la scienza offre tante soluzioni che sinergicamente aiutano ad ottenere un risultato. Non esiste una varietà con zero problemi o una tecnologia che risolva tutti i problemi».
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