venerdì 4 maggio 2018

Dal sale alla birra: le monete che non ti aspetti


Dal sale alla birra:
le monete 
che non ti aspetti

 Il cibo è stato spesso usato nella storia come valuta di scambio. 
E accade ancora oggi... 


Prima dell’arrivo delle monete si pagava in natura, è una delle prime nozioni che si imparano durante le ore di storia, alle elementari. Meno noto è il fatto che svariati cibi sono stati usati come moneta di scambio fino ai nostri giorni.

Una volta si faceva proprio così, si scambiavano le merci al posto di utilizzare il denaro. Ma sapete che ancora oggi talvolta si adotta questa pratica? Certo non è frequente, ma da qualche parte ancora accade. In pratica si barattano i prodotti equiparandone il valore monetario, in poche parole si paga in natura.
UN CONTO SALATO
Ai tempi dei romani i legionari potevano essere pagati in “sale”, il che spiega anche l’origine della parola salario che deriva da ”salarium”, che i romani traducevano con “razione di sale”. L’usanza di pagare con il sale era in voga anche nell’antica Cina; in Africa orientale nel Medioevo, il sale era la principale forma di valuta. In tempi più recenti il sale è stato usato come moneta nelle tribù remote dell’Etiopia, per una sorta di tradizione: già nel XVI secolo, visitando il paese africano, gli esploratori europei notarono l’uso dei bianchi granelli come denaro. Le barre di sale usate per pagare, erano chiamate “amole”, dopo che la tribù Amole ne aveva introdotto l’uso.



GIALLO ORO O GIALLO BIRRA?
Nell’antico Egitto, la birra era utilizzata come moneta per pagare schiavi, commercianti, sacerdoti e funzionari pubblici: il salario base standard era costituito da dieci pezzi di pane e da una quota di birra, che andava da un terzo di brocca a due brocche piene (al giorno). Una prassi che è tornata utile agli abitanti dell’Angola, alla fine degli anni ‘80 del ‘900, quando si sono trovati costretti a usare la birra come valuta in un periodo di iper inflazione. I lavoratori statali utilizzavano buoni del governo per acquistare birra straniera, che vendevano sul mercato nero fino a guadagnare i soldi necessari per acquistare un biglietto aereo. La svalutazione è finita nel 1999 e oggi l’Angola è il secondo produttore di petrolio dell’Africa e la terza economia più grande, ma si sta ancora riprendendo dalla guerra civile durata 27 anni e conclusasi nel 2002.
QUANTO PARMIGIANO VALE?
Tra le notizie italiane che nel 2009 hanno colpito il New York Times ce n’era anche una sull’uso di Parmigiano Reggiano come “valuta” o meglio come “garanzia”. “Le banca (il Credito Emiliano) - scriveva il quotidiano - accetta il parmigiano come garanzia per i prestiti, aiutando a finanziare i produttori di formaggio in Italia del Nord durante la peggiore recessione dalla Seconda Guerra Mondiale. I due magazzini controllati dal Credito Emiliano dispongono di circa 440.000 forme del valore di 132 milioni di euro”.

TI PAGO COL TÈ
Blocchi (o “mattoni”) di tè sono stati usati per secoli al posto delle monete in Cina, Siberia, Tibet, Turkmenistan, Russia e Mongolia, dove l’uso del tè come moneta corrente è durato fino alla seconda guerra mondiale circa. L’imperatore cinese aveva il monopolio della produzione di tè come mezzo di pagamento. Quello della migliore qualità era marrone scuro e conteneva esclusivamente foglie di tè fermentato. I mattoni di qualità più povera erano di colore giallo scuro e contenevano rami, trucioli e fuliggine.
SOLDI IN FUMO
Nel 1612 John Rolfe ebbe il merito di capire che il tabacco poteva essere coltivato con successo in Virginia, una delle prime colonie europee in Nord America. Coltivato ovunque con ottime rese veniva venduto con profitto in Inghilterra. In breve tempo divenne il pilastro dell’economia dello Stato al punto che quando oro e l’argento cominciarono a scarseggiare, le colonie di Chesapeake cominciarono a usare il tabacco come mezzo di valuta, dando origine a un’usanza di lunga durata: le sigarette sono state utilizzate come moneta in qua
si tutte le guerre dal 1700 a oggi.

VEDERE CACAO, 
DARE TACCHINO
Nella lista delle monete commestibili non poteva certo mancare il cacao. Nel 1545, il valore di scambio del cacao per prodotti vari tra gli Aztechi, nel Messico del sud, era il seguente: 1 tacchino = 100 fagioli di cacao; 1 uovo di tacchino = 3 fagioli di cacao; 1 avocado completamente maturo = 1 fagiolo di cacao; 1 grande pomodoro = 1 fagiolo di cacao. Lo sappiamo grazie al Codex Mendoza (1541), conservato presso la Biblioteca Bodleiana dell’Università di Oxford.

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