mercoledì 2 maggio 2018

I sacchetti della discordia


I sacchetti... 
della discordia

E' di questi giorni la notizia che chi vorrà. per risparmiare  1 o 2 centesimi di euro, potrà portarsi al supermercato, il "suo" sacchetto di plastica biodegradabile!
Quante bufale e inesattezze sui nuovi bioshopper biodegradabili e compostabili a pagamento, utilizzati per gli alimenti e obbligatori in Italia dal 1° gennaio 2018. 

L’obiettivo è difendere le acque: e anche se queste sono una presenza minima nell’inquinamento dei mari, e del Mediterraneo in particolare, la direttiva Ue vuole limitare le sportine ultraleggere. I maggiori consumatori sono: Stati Baltici, Ungheria, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia, con cca 466 borse pro capite

Una vera rivolta «social», quella scatenata dai bioshopper biodegradabili e compostabili a pagamento, entrati in vigore dal 1° gennaio 2018 per imbustare e prezzare le merci sfuse, ortofrutta, carne, pesce, pane. In odor di campagna pre-elettorale, hanno diviso gli italiani, che si sono scatenati, soprattutto sui social, complici alcune affermazioni inesatte – delle bufale –, dalla cosiddetta “tassa occulta” alla questione del monopolio di Novamont, azienda a cui si deve l’invenzione del Mater-Bi. Una polemica fuori dal normale, che si sarebbe evitata con una corretta informazione.
L’Italia ha recepito la direttiva europea 2015/720 sulla riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Qualcuno, moltiplicando 500 milioni di europei per 200 sacchetti a testa, aveva calcolato che in Europa ogni anno entrassero in circolazione 100 miliardi di nuovi sacchetti di plastica, creando un danno certo per il futuro dell’ambiente.  Dice la direttiva: “Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron (‘borse di plastica in materiale ultraleggero’) fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi”. Per far fronte agli sprechi di risorse e ai rifiuti, gli Stati membri hanno dovuto adottare misure per ridurre il consumo di sacchetti di plastica leggeri ponendo un prezzo su borse di plastica leggera e/o introducendo obiettivi di riduzione nazionali. I governi nazionali potevano scegliere tra una lista di misure per raggiungere gli obiettivi concordati, compresi strumenti economici, come tasse o imposte.
Dunque, la prima strada era ridurre a 90 sacchetti all’anno la media entro la fine del prossimo anno, per arrivare a 40 entro il 2025. In pratica, entro il 2019 ogni nazione dell’Ue dovrebbe arrivare almeno a metà della media europea del 2010 per poi dimezzare ancora i consumi.
 Si parla di sacchetti al di sotto dei 50 micron, cioè leggeri e tendenzialmente da usare una sola volta. La seconda strada proposta dalla legge europea è assicurare che entro la fine di quest’anno non vengano più distribuiti i sacchetti di plastica leggeri senza farli pagare: l’idea è che il costo disincentiverà il consumo. L’Italia ha scelto una terza strada più drastica di quelle indicate dall’Unione europea: ha deciso di occuparsi anche dei sacchetti considerati “leggerissimi”, quelli sotto i 15 micron di spessore, cioè quelli che servono per impacchettare la verdura sfusa e non per portare a casa la spesa, stabilendo non solo che devono essere biodegradabili e compostabili, ma anche che devono essere a pagamento.


La nuova norma entrata in vigore in Italia, quindi, non fa che estendere la normativa già in vigore, andando a coprire anche le buste di plastica che prima, con un escamotage, erano rimaste fuori dal bando: adesso anche questo tipo di buste devono essere biodegradabili e compostabili secondo la norma Uni En 13432, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40%.
Come ha chiarito Legambiente, da sempre i cittadini pagano in modo “invisibile” gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno; la differenza è che dal 1° gennaio il prezzo di vendita del sacchetto è visibile e presente sullo scontrino. Per quanto riguarda il riutilizzo di sacchetti monouso, c’è stata una confusione iniziale sul fatto che si potessero portare da casa buste già usate da riutilizzare. Giuseppe Ruocco, segretario generale del Ministero della Salute, ha precisato la posizione del dicastero sui sacchetti biodegradabili per frutta e verdura: “Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti bio da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”. Ciò non toglie che spetta comunque all’esercizio commerciale decidere se i sacchetti portati dai clienti siano idonei o meno. Questo perché, conclude Ruocco, i sacchetti in questione sono monouso e il riutilizzo potrebbe comportare pericolose contaminazioni. I sacchetti biodegradabili forniti dai supermercati per contenere frutta e verdura non potranno essere utilizzati più di una volta.
Al momento il prezzo di un sacchetto si aggira tra 1 e 3 centesimi. Secondo i dati Gfk-Eurisko, ogni famiglia italiana consuma una media di 417 sacchetti all’anno. I consumatori croati, invece, usano all’anno circa 212 buste di plastica, ossia attorno alle 8mila tonnellate. Richiamata dalla Commissione europea, la Croazia ha fatto sapere che introdurrà il modello a pagamento dal 1° gennaio 2019. Con il primo giorno del prossimo anno i commercianti in Croazia avranno l’obbligo di far pagare le bustine da 15 a 50 mikron, mentre quelle ultraleggere (fino a 15 mikron) dovranno contenere l’indicazione “Usare con moderazione”, ma non è escluso che in futuro si  facciano pagare.  I maggiori consumatori di sacchetti di plastica in Europ  sono gli Stati Baltici, l’Ungheria, la Polonia, il Portogallo, la Slvoenia e la slovacchia, con circa 466 sacchetti pro capite.  PANORAMA  I. R.

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