SOS CACAO
Gli esperti mettono in guardia: la pianta potrebbe
estinguersi a causa delle avverse condizioni climatiche. Gli
scienziati, e i golosi di tutto il mondo, affidano le loro speranze alla
genetica
Il cioccolato potrebbe scomparire definitivamente nel giro
di pochi decenni, tre per la precisione, come affermato dagli esperti del
National Oceanic and Atmospheric Administration, l’agenzia federale
statunitense che si interessa di meteorologia. Il cambiamento climatico,
infatti, sta incidendo notevolmente sulla vita e sullo sviluppo delle piante di
cacao, a cui si aggiunge anche una richiesta di cioccolato sempre più pressante
da parte dei paesi asiatici.
Le piante di cacao crescono in determinate zone del pianeta,
tra i 20°a nord e a sud dell’equatore, zone in cui sussistono le condizioni
adatte alla loro produzione: pioggia abbondante e un alto tasso di umidità.
Condizioni che, però, potrebbero, da qui al 2050, essere vanificate dall’aumento previsto della temperatura del globo, pari a 2,1°C, che andrà a distruggere l’equilibrio di quelle zone, avendo anche grosse ripercussioni sul mondo dell’industria del cioccolato. La prima conseguenza diretta dell’aumento di temperatura sarà quella di far evaporare l’acqua dal suolo e dalle piante molto più velocemente del normale, un “prosciugamento” che non verrà riequilibrato dalle abbondanti piogge equatoriali, che si verificheranno sempre meno.
Condizioni che, però, potrebbero, da qui al 2050, essere vanificate dall’aumento previsto della temperatura del globo, pari a 2,1°C, che andrà a distruggere l’equilibrio di quelle zone, avendo anche grosse ripercussioni sul mondo dell’industria del cioccolato. La prima conseguenza diretta dell’aumento di temperatura sarà quella di far evaporare l’acqua dal suolo e dalle piante molto più velocemente del normale, un “prosciugamento” che non verrà riequilibrato dalle abbondanti piogge equatoriali, che si verificheranno sempre meno.
Una situazione che sta costringendo paesi come Costa
d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria (i maggiori produttori di cacao al mondo) a
cercare nuove zone di coltivazione per salvare la loro economia. Entro il 2050,
infatti, l’89,5% delle 294 zone studiate dal Noaa, dove si produce il cacao,
sarà pressoché inutilizzabile, costringendo così i governi a trasferire le
piantagioni a oltre 500 metri sul livello del mare nel tentativo di preservare
le piante.
Al cambiamento climatico, poi, si aggiunge anche un altro
fattore: l’enorme domanda del “cibo degli dei” da paesi come Cina, Indonesia,
Brasile e Russia, entrati prepotentemente nel mercato del cacao. In media, il
tipico consumatore di cioccolato occidentale mangia 286 barrette all’anno. 286
barrette equivalgono a circa dieci piante di cacao. Basta dare un’occhiata a
questi numeri per capire in quanto poco tempo il cioccolato diventerà un
alimento estremamente raro. Una domanda sempre più crescente a cui però non si
accompagna un proporzionato aumento della produzione, che, anzi, sta
registrando un notevole calo, soprattutto nel quantitativo delle scorte
accumulate negli anni. Una produzione che, come affermato da Doug Hawkins
ricercatore della Hardman Agribusiness, non si è mai evoluta nel corso dei
secoli: “A differenza di altre colture arboree che hanno beneficiato dello
sviluppo di moderne tecniche di coltivazione ad alto rendimento per aumentarne
il potenziale genetico, il 90 per cento del raccolto globale di cacao è ancora
prodotto da piccoli proprietari in fattorie di sussistenza con tecniche ormai
obsolete”. “In base ai dati raccolti - ha spiegato Hawkins - la perdita di
cioccolato, entro i prossimi anni, sarà pari a 100mila tonnellate all’anno”.
I produttori di cacao sono dovuti scendere a compromessi
con la loro coscienza, in particolare in Costa d’Avorio, in quanto per salvare
il salvabile hanno dovuto scegliere tra i loro profitti e la salvaguardia
dell’ecosistema. Hanno optato per la prima opzione, piantando semi di cacao in
alcune aree protette dove i governi ne avevano vietato la coltivazione. Un
espediente estremo per cercare di rispondere all’enorme richiesta di cacao
proveniente da tutto il mondo, ma che ha trovato solo la dura risposta da parte
dei governi, che hanno addirittura messo in campo l’esercito.
All’Università della California le
speranze crescono, letteralmente, sotto vetro. È quello delle pareti
trasparenti dell’edificio di bioscienze, dove una fila di piantine verdi in
serre refrigerate attendono un brusco cambio di temperatura. Sotto la stretta
osservazione di Myeong-Je Cho, direttore del dipartimento di genomica vegetale,
saranno presto in grado non solo di sopravvivere ma di prosperare
nell’essiccatore, con un clima ben più caldo. Questo perché sono state
fortificate con l’immissione di geni CRISPR perché possano resistere e adattarsi
alle nuove sfide climatiche.
Il team di Myeong-Je Cho sta quindi
creando alcune modifiche nel Dna di alcune varietà di cacao (una tecnologia
simile è già stata utilizzata per rendere le colture più economiche e
affidabili, ed è molto apprezzata dai governi dei paesi in via di sviluppo,
dove molte persone si affidano all’agricoltura per vivere e dove le conseguenze
dei cambiamenti climatici sono percepite in modo più acuto).
Non mancano i precedenti:
l’Innovative Genomics Institute della UC Berkeley ha già sperimentato CRISPR
per favorire la crescita della manioca, una coltura molto usata nel sud del
mondo. Per questa ricerca Mars ha investito 1 miliardo di dollari nell’ambito
del progetto “Sostenibilità in una generazione” che si prefigge di ridurre
l’impronta di carbonio delle sue attività (inclusa la catena di fornitura) di
oltre il 60% entro il 2050.
Se la nuova tecnologia genetica dovesse funzionare sulle
colture di cacao, molte industrie avranno salve le loro materie prime per il
futuro e, sottolineano i vertici di Mars Company, eviteranno di spendere soldi
e sforzi per delocalizzare.
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