Appunti di storia
della cucina
Rinascimentali
le prime “diete”
A tavola nel Rinascimento, la frutta si mangia prima |
Dopo un Medioevo in cui si perde il significato di buona cucina, è il Rinascimento a correggere il tiro: piatti raffinati, cuochi italiani richiesti in tutta Europa e le prime moderne attenzioni alla salute a tavola.
Probabilmente i sistemi di cottura e l'utilizzo degli ingredienti nel periodo romano potrebbero far storcere il naso ai gourmet e ai gastronomi di oggi. Infatti, mentre oggi si tende a mettere in risalto sapori ed aromi di tutti gli ingredienti singolarmente, al tempo il miglior risultato lo si otteneva mescolando, in un unico piatto, il maggior numero di gusti, con particolari intrugli in cui si confondevano sentori decisi come quelli di menta e ruta, spezie di ogni tipo, come il silfio, la senape ed il pepe, sostanze acide e sapori dolciastri come miele, mosto cotto, datteri e frutta schiacciata. Un esempio su tutti, il famoso "garum", un tipo di salsa molto usata dai romani per accompagnare diverse pietanze.
Eccone brevemente la ricetta: in un recipiente si gettano le interiora dei pesci prescelti, vi si mescolano pezzi di pesce grandi e piccoli, ottenendo così il "liquamen", una sorta di poltiglia che veniva esposta al sole, affinché fermenti, rigirata più volte. Quando la parte liquida si riduce di molto, viene introdotto nel "liquamen" un cestino: il liquido che filtrava all'interno era il "garum", che veniva conservato in anfora nelle cantine. Il costo del "garum" era molto elevato, in particolar modo se proveniente dalla Spagna.
Tutto il periodo medioevale ha visto una costante decadenza della gastronomia, considerata debolezza; stare a tavola significava mangiare molto piuttosto che gustare raffinatezze. Tutte le tradizioni culinarie del passato sono state abbandonate. Si deve giungere al grande Rinascimento per ritrovare il piacere della tavola. Infatti, in sintonia con il crescente piacere per il "bello" nelle arti nobili, anche la gastronomia assume maggiore importanza: tutte le Corti italiane divengono punto di riferimento per i loro apprezzatissimi banchetti. Seppur abbondante per numero di piatti e, soprattutto, per dosi, il pranzo rinascimentale si avvicina già al nostro gusto attuale.
Nello stesso periodo, emerge la "cucina dei conventi", che tende al "buono e sano" e valorizza i prodotti della natura - una nuova frontiera curiosamente in linea con quanto oggi la moderna dietologia tenta di diffondere a livello generale.
Nel Rinascimento appare per la prima volta una bozza di menu, con una sequenza di portate che possiamo considerare ancora oggi di una certa validità. Il pranzo inizia con portate leggere, seguite da altre più impegnative e così via fino ai piatti forti, per concludere con i dolciumi, sempre troppo abbondanti.
Tuttavia, proprio a causa dell'influenza della cucina conventuale, cominciava parallelamente a diffondersi il desiderio di alleggerire le preparazioni, tanto da rinvenire una testimonianza in versi, attribuita a Lorenzo il Magnifico, che ci riportano a quanto pubblicato nella puntata precedente a proposito dei momenti in cui servire la frutta, lasciando comunque, in modo pirandelliano, la scelta ai commensali: "Queste frutta è ancor usanza / che si mangian dietro cena / a noi pare un'ignoranza / a smaltire poi in pena. / Pur però fate un po' voi / dell'usarle prima o poi, / ma dianzi non fa male si, / credete, il detto vale".
Questi versi vanno intesi in due modi: da un lato si consiglia di mangiar frutta all'inizio del pranzo; dall'altro si invita ad evitare la frutta al termine del pasto - anche se per quest'ultimo il riferimento va alla frutta candita, accomunata al tempo alla frutta fresca. È questo, indubbiamente, il periodo in cui viene a costituirsi la base di tutta la nostra tradizione gastronomica, che influenza in modo indelebile tutte le cucine europee. I cuochi provenienti dalle diverse regioni italiane sono i più richiesti ed i più pagati, non c'è Corte europea che non si vanti di avere "almeno un cuoco dell'Italia", a garanzia della raffinatezza dei propri pranzi, esattamente come succede oggi.
Eccone brevemente la ricetta: in un recipiente si gettano le interiora dei pesci prescelti, vi si mescolano pezzi di pesce grandi e piccoli, ottenendo così il "liquamen", una sorta di poltiglia che veniva esposta al sole, affinché fermenti, rigirata più volte. Quando la parte liquida si riduce di molto, viene introdotto nel "liquamen" un cestino: il liquido che filtrava all'interno era il "garum", che veniva conservato in anfora nelle cantine. Il costo del "garum" era molto elevato, in particolar modo se proveniente dalla Spagna.
Tutto il periodo medioevale ha visto una costante decadenza della gastronomia, considerata debolezza; stare a tavola significava mangiare molto piuttosto che gustare raffinatezze. Tutte le tradizioni culinarie del passato sono state abbandonate. Si deve giungere al grande Rinascimento per ritrovare il piacere della tavola. Infatti, in sintonia con il crescente piacere per il "bello" nelle arti nobili, anche la gastronomia assume maggiore importanza: tutte le Corti italiane divengono punto di riferimento per i loro apprezzatissimi banchetti. Seppur abbondante per numero di piatti e, soprattutto, per dosi, il pranzo rinascimentale si avvicina già al nostro gusto attuale.
Nello stesso periodo, emerge la "cucina dei conventi", che tende al "buono e sano" e valorizza i prodotti della natura - una nuova frontiera curiosamente in linea con quanto oggi la moderna dietologia tenta di diffondere a livello generale.
Nel Rinascimento appare per la prima volta una bozza di menu, con una sequenza di portate che possiamo considerare ancora oggi di una certa validità. Il pranzo inizia con portate leggere, seguite da altre più impegnative e così via fino ai piatti forti, per concludere con i dolciumi, sempre troppo abbondanti.
Tuttavia, proprio a causa dell'influenza della cucina conventuale, cominciava parallelamente a diffondersi il desiderio di alleggerire le preparazioni, tanto da rinvenire una testimonianza in versi, attribuita a Lorenzo il Magnifico, che ci riportano a quanto pubblicato nella puntata precedente a proposito dei momenti in cui servire la frutta, lasciando comunque, in modo pirandelliano, la scelta ai commensali: "Queste frutta è ancor usanza / che si mangian dietro cena / a noi pare un'ignoranza / a smaltire poi in pena. / Pur però fate un po' voi / dell'usarle prima o poi, / ma dianzi non fa male si, / credete, il detto vale".
Questi versi vanno intesi in due modi: da un lato si consiglia di mangiar frutta all'inizio del pranzo; dall'altro si invita ad evitare la frutta al termine del pasto - anche se per quest'ultimo il riferimento va alla frutta candita, accomunata al tempo alla frutta fresca. È questo, indubbiamente, il periodo in cui viene a costituirsi la base di tutta la nostra tradizione gastronomica, che influenza in modo indelebile tutte le cucine europee. I cuochi provenienti dalle diverse regioni italiane sono i più richiesti ed i più pagati, non c'è Corte europea che non si vanti di avere "almeno un cuoco dell'Italia", a garanzia della raffinatezza dei propri pranzi, esattamente come succede oggi.
di Toni Sàrcina
presidente Commanderie des Cordons Bleus Italia
presidente Commanderie des Cordons Bleus Italia
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