lunedì 13 aprile 2020

La cucina di casa a New York







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di Alberto Capatti


Febbraio 2020. Il contatto, per il turista, è immediato. Alle otto di sera un giro attorno all’hotel Cambria, 28a strada, cercando acqua minerale si entra in un spazio occupato da tre grandi tavoli con vasche rettangolari incorporate,
ognuna con cibi pronti al consumo, caldi e freddi. 30 vasche e alle pareti, bibite, acqua. I clienti scelgono e riempiono piccole vaschette in polistirolo, sempre rettangolari.

Cucina urbana

È il primo sguardo rivolto alla grande cucina urbana in uno dei suoi terminali, senza nemmeno interrogarci su cosa è offerto, quali piatti verranno consumati. È chiaro che si compra cibo da asporto, si intravedono maccheroncelli al sugo, trasferendolo in un alloggio che avrà un forno a microonde per correggere il raffreddamento e un piatto ove trasferire il contenuto della vaschetta, a meno che non vi si mangi direttamente.
In casa che altro? C’è il pane acquistato il giorno prima proprio lì, e nulla occorre, se non la abituale bevanda.
Per chi ama i panini, e gira le spalle ai piatti pronti, c’è il banco apposito con un addetto che li assembla al momento, e passeranno anch’essi alla cassa.
La cucina di casa è tutta lì, per centinaia di persone che hanno la facoltà di scegliere e il privilegio di consumare nel proprio spazio abitativo, uomini e donne.

Un frigo e un microonde

Il giorno dopo, nel grande supermercato sostenibile, Whole Foods Market, un altro servizio nelle case, per le case. Tavoli con almeno 80 vasche piene, calde e fredde. In mano ho una scatola di cartone da riempire. Con gli occhi frughiamo fra la verdura lavata e tagliata, pronta per essere condita e mangiata, e fra i pomodorini. Con le foglie, ceci lessi o fagioli giganti, broccoletti arrostiti oppure olive e feta, e, non c’è da stupirci, spaghetti, tiepidi e arrossiti, o tortelli rustica.






Cucina_casa_newyork
New York, foto di L. Monasta
A casa, niente più asse di legno né coltello per l’insalata, tutto già pronto per il piatto e il condimento in molti casi garantito.
Anche in Italia posso acquistare una busta di insalata, ma la busta di plastica trasparente è industria e senza di essa le foglie scelte nella quantità desiderata ritornano familiari. Il taglio inoltre è un altro lavoro domestico a risparmio, prezioso per chi ha per tutta cucina un frigo e un microonde.
Del resto all’hotel Cambria ogni camera, un tempo si diceva da letto, ha microonde e frigo, indispensabili ovunque, per l’offerta di surgelati, pizze, paste e che altro. Da quando Whole Foods è stato comprato da Amazon, quest’ultima vi ha lasciato un segno identitario: delle scatole di cartone contenenti ingredienti ed una etichetta in cui si preannuncia che nel tempo X, 30 minuti, ognuna di queste in una cucina di casa si trasformerà in un piatto delizioso. Anche il risotto? Perché no, mushroom risotto with spinach & truffle butter. Ed è chiaro il messaggio: prossimamente riceverai non solo il piatto pronto, alla velocità di una amazzone, ma in alternativa ingredienti e ricetta, in fasi diverse pronti da cucinare o precucinati, per sentirti tu stesso, cuoca nella propria casa.
Vogliamo identificare le scatole per area geografica e cultura? La cucina è globale e con il risotto fa capo il couscous, la paella, il pan roasted za’atar chicken e i rigatoni beef bolognese.
Girate le spalle a questa offerta, finita la cernita, approvvigionato, con la mia scatola di cartone piena di quanto detto, passo alla cassa. Viene pesata e pago 12 dollari per una libbra di un po’ di tutto, foglie o tortelli o pollo, di quanto c’è dentro. Anche questo non ha nulla a che vedere con scontrini e rilevatori. All’uscita, si possono prelevare coltelli, forchette o cucchiai di plastica.

Immaginando di cucinare

La cucina globale, dalle reti sterminate, dai mille tentacoli, estende la sua influenza sui consumatori, ed oggi è più che mai presente nella distribuzione piccola e grande. Saper cucinare conta molto meno che immaginare di cucinarlo, il cibo, con tutta l’identità culturale che esso conferisce. Infinitamente mediatico, è questa l’altra faccia di un sistema organizzato e che cuoce per tutta la società urbana, e perfettamente stratificato in agroindustria, industria, distribuzione, stratificazione in via di progressiva, complessa fusione.
Nuovi valori della cucina per la casa, per l’alloggio, la velocità e un microspazio, inteso come riduzione ipotetica delle distanze e come epicentro del consumatore. E il tempo? È anch’esso ridimensionato con un obbiettivo: i minuti occorrenti per preparare un risotto, devono essere pari a quelli per individuare il prodotto o la scatola, per leggere una etichetta e immaginare l’attesa e il risultato. Una delle caratteristiche della cucina globale, per il consumatore è farne l’interprete di un copione e l’attore di una cucina spettacolare, in un baleno.






Maurizio Cattelan, Comedian, 2019
Ma ritorniamo nel supermercato per approfondire la scansione temporale: alle 9 di mattina, molte vasche sono vuote: niente carni e poche verdure cotte. Per mezzogiorno si riempiono ma i clienti possono essere altrove a mangiarsi un burrito o un taco, un panino in piedi, o seduti su un gradino. È nel pomeriggio e di sera che la fame domestica si risveglia di nuovo ed occorre anticipare, anzi acquistare tutta la preparazione del pasto serale e trasferirla nel proprio alloggio, con o senza cucina. Il vantaggio sta proprio nella scelta, ampia, differenziata dei cibi, liberi da inceppi, l’ingrediente mancante, il tempo ristretto, il calcolo delle temperature.
A questo si aggiunge il valore abituale del cibo che è la sua immagine più persuasiva: una vasca di ceci lessi da cui prelevo la quantità da me desiderata appare infinitamente più appetibile di una scatola cilindrica di metallo con etichetta, e quando li mangerò con la forchetta o il cucchiaio di plastica o li verserò nel piatto avrò la sensazione di averli lessati io con l’aiuto di Whoole Foods.






New York, foto di L. Monasta

Cucina di casa globale

Il supermercato ospita una megacucina di casa che ne anticipa una seconda individuale, ridotta al consumo di una vaschetta o all’impiattamento e al servizio, per una o più persone.
Questo è il futuro, e a New York lo si vede anticipatamente sino ad immaginare una cucina di casa, globalmente assunta dalla distribuzione, e una cucina professionale che solo gli chef fanno assumere dalle loro brigate.
Quanto alla ristorazione minore, tacos e pizze, ha una storia largamente condizionata, da studiare e ristudiare a parte.
Mentre sono in corso gli spogli delle votazioni in Emilia Romagna, mangeremo insalata, ed io broccoletti cotti e ceci lessi, del taboulé più libanese che francese, concedendoci qualche spicchio di pollo arrostito. Non abbiamo degnato d’uno sguardo il banco del pesce dove domina senza rivali il salmone, e dove ogni lisca è preclusa, e siccome veniamo dall’Italia, niente pasta. Poi frutti, meglio se pelati e tagliati dalla cuocamarket. Vino, un Pinot Nero californiano da 15 dollari.
In un hotel può penetrare la cucina di casa globale, anzi la presenza del microonde in ogni stanza la richiama, anche se noi italiani abbiamo rifiutato, passando davanti all’armadio delle scatole surgelate, di assaggiare due piatti di amatriciana versione USA.
foto di L. Monasta







Alberto Capatti

ALBERTO CAPATTI

Alberto Capatti è Presidente del Comitato scientifico dell’Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi Veronelli. Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale. Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica… che uscì in edicola dal 1984 e il 1991.
Alberto Capatti è stato Direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli. È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012). È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di  “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004. Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal, la mostra “Livres en bouche” presso la Bibliothèque Nationale de France. È Direttore Scientifico di Casa Artusi e, dal febbraio 2018, Presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.







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