venerdì 10 marzo 2017

Il volto della crisi nei settori tradizionali: Uber, Bolkestein

Uber, Bolkestein 

e home restaurant 
Il volto della crisi 

nei settori tradizionali

Scorciatoie per evitare licenze, tasse troppo alte per le categorie "ufficiali", liberalizzazione voluta dall'Ue che si scontra con leggi regionali e nazionali: a risentirne sono professioni come i ristoratori


Ma i Ristoratori dove sono? C’è una similitudine tra categorie quali taxisti, ambulanti e gestori di home restaurant, e i ristoratori, appunto? Apparentemente no, ma se si analizzano le ragioni delle proteste e degli scioperi di questi giorni, con strascichi anche violenti a Roma, non si può non fare qualche ragionamento a riguardo. Senza contare che tra un po' qualche protesta (alcuni focolai non poco accesi, già si sono verificati) potrebbe arrivare anche dai gestori delle concessioni di spiagge e litorali di tutto il nostro Paese, a causa del decreto Bolkestein, decreto che fondamentalmente liberalizza il commercio, soprattutto laddove ci sono concessioni pubbliche, appunto come i litorali e le spiagge o i mercati degli ambulanti che operano su terreno pubblico.

Uber, Bolkestein e home restaurant Il volto della crisi nei settori tradizionali

Il concetto europeo è ben spiegato anche nell’articolo 2 della legge italiana, riportato sotto.

Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59
Art. 2.
Libertà di impresa e libera circolazione delle merci
L'attivita' commerciale si fonda sul principio della libertà di iniziativa economica privata ai sensi dell'articolo 41 della Costituzione ed è esercitata nel rispetto dei principi contenuti nella legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

Naturalmente non si puo non ricordare e sottolineare che il decreto Bersani poi, ha fatto tutto il resto, si tratta delle famose “lenzuolate”: noi affermiamo con fermezza che tutto ciò, cioè le liberalizzazioni, hanno contribuito ad un abbassamento della qualità dell’offerta del commercio in genere. Uber, gli home restaurant, e le varie forme di nuove attività si infilano nelle maglie di queste direttive, generando nuove concorrenze spesso sleali.

Ma se è vero, ed è vero che queste sono norme e leggi sia nazionali che europee, legiferate in alcuni casi molti anni fa, come la Bolkestein addirittura nel 2006, mi chiedo, ci chiediamo, ma i sindacati di categoria dove sono stati? Non era chiaro come queste norme europee avrebbero modificato il nostro settore del commercio? In un Paese come il nostro, regolato da leggi comunali, provinciali, regionali, nazionali, ed oggi anche europee, era fin troppo chiaro che il sistema commerciale, ma anche artigianale, fatto da milioni di piccole aziende al di sotto dei dieci dipendenti, avrebbe subito profondi cambiamenti.

Un Paese dove le scorciatoie soprattutto per i grandi sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare all’orrore dei centri commerciali, che non ottengono più nuovi permessi, ma possono ingrandirsi laddove già esistono. Braccio forte con i piccoli, braccio debole con i grandi, eppure sosteniamo da tempo: stesso mestiere, stesse regole, oppure no?

Uber, Bolkestein e home restaurant Il volto della crisi nei settori tradizionali

Da tempo sottolineo come tutto ciò sia appunto figlio di questa situazione. Non posso aprire un ristorante sia per gli alti costi delle “licenze” sia per la burocrazia; bene, allora faccio ristorazione in casa mia. Non posso comprare una licenza di taxi sia per i costi, sia per il numero contingentato delle stesse; bene, aderisco a Uber, oppure, se passo per Venezia, do un passaggio a qualcuno e con lui condivido le spese. E ancora, creo un’agriturismo più o meno agricolo, avvio un'e-commerce, o ancora faccio consegne con partita Iva dei vari Food delivery.

Nuovi mestieri? No, sono sempre gli stessi, solo che offrono scorciatoie fiscali e burocratiche. Una deregulation che l’Ue incentiva in nome di una democrazia d’impresa. Ma nel caso degli ambulanti o dei taxisti, la protesta è quantomeno comprensibile in quanto la perdita del valore dell’attività, acquistata e conquistata con anni di lavoro e di sacrifici, è un fatto reale.

E i ristoranti? La categoria ha gia pagato nel silenzio più assoluto, anche dei sindacati nazionali, l’unificazione delle tipologie delle “licenze”, che ha portato al declassamento del settore. All'inizio parametri che, una volta, tutelavano lo il settore in questione con norme di difesa: come l'imposizione di un bar o un ristorante ogni tot abitanti, o metri di distanza tra una e l’altra attività, la differenzazione di norme di somministrazione tra bar e ristorante. Oggi invece tutti fan tutto, insegne dai mille volti si trovano lungo le nostre strade: bar, trattoria, tavola calda, ristorante, pizzeria, osteria, pub, birreria, ristorazione etnica: ormai è una vera e propria invasione. 

È addirittura scomparso il Rec, patentino che veniva utilizzato per avviare una attività di commercio; è scomparso il libretto sanitario, che sotto quel punto di vista tutelava l’impresa. Ma il timore dei taxisti e degli ambulanti, i ristoratori lo hanno già sperimentato sulla propria pelle: oggi le licenze sono libere, spesso basta una Scia per avviare un’azienda, con il risultato che quella che una volta era la pensione dei commercianti, cioè l’avviamento e anche il posizionamento dell’attività, oggi non esiste più.

Ma i ristoratori e i cuochi, almeno in Italia, non scendono in piazza. Una maggioranza silenziosa. Forse l’ego di molti cuochi viene appagato dalla sovraesposizione mediatica in cui il settore è avvolto, ma tutto rischia di finire, una volta che la bolla del cibo finirà.
italiaatavola
di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico

Nessun commento:

Posta un commento