La cucina borbonica
rivive all’Archivio
Storico sul Vomero
Arte, design, cultura e buon bere, e non manca certo il caffè che, con il suo aroma, accoglie l’ospite dell’Archivio Storico, luogo di incontro che nasce sulla collina vomerese all’angolo tra via Scarlatti e via Morghen.
Una tradizione che saggiamente, essendoci robusta base culturale, non vive di fatui lai ma, vivaddio, funge da propellente per una nuova progettualità, per l’accadimento di un futuro prossimo che abiliti una qualità di vita migliore dell’attuale. È questa la pietra angolare di Archivio Storico, ristorante ubicato nel cuore del Vomero elegante. Il Vomero è uno dei colli di Napoli. Da sempre, si è prima vomeresi e poi napoletani.All’Archivio Storico, quindi, si vive piacevole ed interessante fenomeno anastatico. La cucina è quella borbonica. L’attualizzazione in funzione di parametri dettati fondamentalmente da approvvigionamenti, da vigenti norme igieniche e da palati che evolvono, è resa possibile e gradevolissima dalla brigata di cucina costituita da Roberto Lepre (executive chef consulente), Salvatore Incoronato (resident chef), Antonio Molfetta e Ciro Della Capa (chef de partie). Label attuali, sì; ma, in coerenza, ci piacerebbe definirli i “monzù” del XXI secolo!
I locali sono a volta, sottostanti la scala d’ingresso. Pareti di tufo. Sale e salette, l’una a seguire le altre. Arredi in stile borbonico. Il patron, appassionato e competente, è Luca Iannuzzi, che è Cavaliere di merito del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio di Napoli.
Roberto Lepre
La doviziosa successione delle portate si apre con il “gattò”, contaminazione linguistica dal francese “gateaux”. Sformato di patate, fu fatto conoscere ed apprezzare a Napoli dai cuochi francesi convocati a corte dalla regina Maria Carolina, sposa di re Ferdinando IV. E la cucina esita, sulle radici del gattò, “Aria di patata al pepe del Sichuan, fonduta di Provolone del Monaco, croccante di salame e briciole di pane raffermo”. In abbinamento, ben servito al calice, un ottimo Pallagrello bianco, non in purezza dacché vi è anche una carezza di Fiano. È il Calù 2016 di Sclavia.
Citata per la prima volta da Vincenzo Corrado nel suo testo del 1793 “Il cuoco galante”, eccoci alla parmigiana di melanzane. In origine la parmigiana veniva preparata con le melanzane, in alternativa le zucchine, fritte nello strutto, condite con parmigiano e burro e poi ripassate in forno. E qui la cucina, la tradizionale parmigiana di melanzane evocando, propone “Melanzane alla parmigiana in vasocottura”. Si prosegue con originale reinterpretazione del piatto borbonico “polipetti alla luciana”, che qui diviene “Moscardini alla luciana, cracker croccante del suo nero su spuma di ceci di Cicerale”.
Si passa ai primi piatti e nel calice sopraggiunge il Lacryma Christi 2016 da uve caprettone in purezza di Casa Setaro. Il sartù di riso è di encomiabile fattura. Tra i secondi, nel calice un rosso sontuoso: Falerno del Massico 2012 di Masseria Felicia, lodevole il soffritto. E i dolci? Trionfo del babà qui rinominato “Il Lazzarone”, con crema alla vaniglia bourbon ed amarena. Aperto solo la sera, tuttavia nell’imminenza delle vacanze di fine anno effettua servizio di brunch durante i fine settimana.
di Vincenzo D’Antonio
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