giovedì 28 dicembre 2017

Una cena al ristorante. Quando le parole non riescono a fluire

Una cena al ristorante
Quando le parole 

non riescono a fluire


Feste, atmosfera di casa e quella voglia di tradizione che rimette al centro della tavola piatti gustosi e prelibatezze della tradizione. Sono quei gesti che scaldano il cuore e restano nella memoria per anni. Come il ricordo di una serata imbarazzante, delle fatiche per superare l’impasse, quando le parole non riescono a fluire. 

È quanto succedeva a Giovanni Muscarà, ideatore del metodo Mrm-s (Muscarà rehabilitation method for stuttering) per la cura della balbuzie, ogni volta che al ristorante o in pizzeria con gli amici, o perfino con la ragazza, si cimentava nell’ordinazione.La scena potete ben immaginarla: l’appetito da buongustaio, il desiderio di condividere le portate di un menu con la nuova fidanzata, le luci soffuse e… quel piatto dal suono perfetto eppure impronunciabile che rimane “crudo” nella cucina della mente.

Sì, perché tra le esperienze più complesse che una persona con balbuzie deve affrontare, vi è la classica cena al ristorante o in pizzeria. Dove ordinare è il momento fatidico e senza scampo. «Succede che - spiega Giovanni Muscarà - ci si blocca sempre su frasi precise, sempre quelle. Chi balbetta rielabora un concetto in base alle parole che sente uscire con più facilità. In generale si ha più difficoltà sulle domande dirette, sulla pronuncia del proprio nome, su quelle parole in cui sai di non avere un’alternativa. E allora potete immaginare, la sfida nel dover dire al cameriere che ci guarda cosa gradiamo come antipasto o se preferiamo passare al primo piatto».

La balbuzie è una fatica, una difficoltà dell’eloquio, un blocco nel normale fluire delle parole. Alcuni associano la sua origine a un trauma, altri a uno stato di alterazione psico-emotiva. Ciò di cui il Metodo Muscarà si fa promotore, nel diffondere una cultura della balbuzie, è che si tratta di un blocco che la persona sente a livello addominale, toracico o diaframmatico: espressione delle componenti soggettive che riguardano il carattere, il temperamento, la sensibilità e la motricità.

Questa involontaria ripetizione di suoni, fatta di silenzi e pause prolungate, con stancanti allungamenti di alcune vocali interessa circa l’1% della popolazione mondiale; solo in Italia circa 1 milione di persone. L’età di esordio nei bambini è intorno ai 33 mesi, ma solo quando accedono alla scuola di primo grado può confermarsi come disturbo, se non rientra nell’80% delle forme transitorie che si risolvono spontaneamente. Per questo il Vivavoce Institute di Milano si rivolge a tutte le persone con balbuzie dai 6 ai 99 anni con il primo metodo in corso di validazione scientifica.

(Una cena al ristorante Quando le parole non riescono a fluire)

«Quando c’è da fare l’ordinazione - prosegue Giovanni - si presuppone che tu dica subito in modo chiaro quello che vuoi. In realtà, per una persona balbuziente, inizia un percorso a ostacoli tra possibili escamotage: aspetti l’ordine di chi ti precede e ti aggreghi nella speranza che abbia scelto un tipo che soddisfa il tuo gusto oppure fingi di dover fare una chiamata urgente alla nonna e chiedi all’amico o alla compagna di ordinare per te».

Anche osare dipende dalle circostanze. Chi vive la balbuzie si abitua a pensare a ogni possibile perifrasi per riuscire a esprimersi e se il cameriere o il ristoratore sono accoglienti e simpatici tutto fila liscio. Al contrario, se la persona balbuziente è un giovane tra amici e la cameriera è una bella ragazza sui cui fare colpo, tutto cambia e incespicarsi è un attimo.

«In questo caso - riprende Muscarà - tieni tra le mani con ansia il menu e cerchi quale piatto è per te più semplice da pronunciare e ti concentri. E quando ti viene chiesto cosa scegli, provi a temporeggiare, sperando che arrivi un suggerimento sui piatti del giorno e che ti apra la possibilità di una scelta rapida per affrettarti a dire: Ecco, quello, grazie!».

Da formatore, il primo consiglio che Giovanni si sente di dare alle persone balbuzienti è di mettere da parte l’ansia e di non prestarvi attenzione, perché spesso il problema è soprattutto il condizionamento della propria vocina interiore: “non ce la farai mai…”, “tanto adesso scoppia a ridere”, “non vedi che già non ha pazienza, come può aspettare la tua risposta…”.

Eppure c’è qualcosa che un bravo cameriere o il ristoratore più attento all’accoglienza può fare. «È molto importante per un balbuziente sentirsi a proprio agio - conclude Muscarà - anche al ristorante. Meglio se il cameriere non incalza cercando di sostituirsi a lui per affrettare la scelta e se, al contrario, vedendo la difficoltà, comincia lui per primo ad elencare i piatti in menu. Anche i silenzi creano imbarazzo, allora sarà ricordato il cameriere che con un sorriso offre i suoi suggerimenti scorrendo col dito sulla carta osservando le reazioni del cliente per agevolare la scelta e precederlo nel pronunciare il fatidico piatto».

Per tutti i balbuzienti la “tagliata” è un incubo, soprattutto per un buongustaio che ha scelto da tempo il ristorante giusto e si è pregustato quel succulento pezzo di carne magra, cotta al punto giusto, con quel contorno di rucola e scaglie di grana che sanno dare il tocco magico che svegli ogni palato. La prossima volta che vi capiterà di assistere all’ordinazione di un balbuziente al ristorante, tornate con la memoria a questa lettura e fatevi promotori di una cultura dell’ospitalità che accoglie e conforta a partire dalla migliore tradizione italiana a tavola.
di Barbara Reverberi


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