domenica 6 maggio 2018

La dipendenza da videogame è una malattia


La dipendenza 
da videogame 
è una malattia

Il gaming disorder sarà inserito nell’International Classification of Disease, la lista ufficiale delle malattie «riconosciute» dall’Oms.

Questa patologia è stata classificata come disturbo mentale nella categoria «disordini dovuti ad un comportamento dipendente», la stessa di chi scommette in modo patologico

Che fosse diventato qualcosa di più di una mania per tanti giovani sparsi nel mondo, era chiaro. Ma che la dipendenza dai videogiochi fosse una malattia ancora non era stato certificato. A inizio gennaio invece è arrivata l’ultima parola dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms - World Health Organization /WHO/): sul suo sito ufficiale ha rivelato le novità che saranno inserite nella versione 2018 dell’11mo International classification of diseases (Lista internazionale delle patologie e dei problemi correlati) che non veniva aggiornata dal 1992. Tra queste c’è proprio il cosiddetto gaming disorder, l’uso compulsivo di videogiochi, che fa parte della famiglia di malattie dovute ai comportamenti che causano dipendenza, insieme a quella per il gioco d’azzardo. Un comportamento che, per essere diagnosticato, deve essere costante e protratto per un periodo più lungo di 12 mesi. Ma, aggiungono, “può essere anche più breve se i sintomi sono seri”.
I sintomi da riconoscere
Come fare a capire se una persona è affetta da questa dipendenza? Secondo l’Oms ci sono tre elementi fondamentali: la mancanza di controllo sul gioco, soprattutto riguardo alla frequenza con cui si fa uso dei videogiochi, all’intensità e alla durata del passatempo. Un altro campanello d’allarme è la priorità che viene data ai videogiochi rispetto alle altre attività da svolgere durante la giornata. Infine la prosecuzione del gioco nonostante le sue conseguenze negative. “Lo schema di comportamento risulta così grave da danneggiare altre aree come quella personale, familiare, sociale, educativa e occupazionale”, si legge sul sito dell’Oms.
I primi provvedimenti
Se per l’Organizzazione mondiale della sanità la “gaming addiction” è una novità del 2018, alcuni Paesi stanno affrontando il problema da diversi anni. Si tratta soprattutto di quelli asiatici, come Corea del Sud, Giappone e Cina. In Corea già nel 2011 è stata introdotta una legge per impedire l’uso dei videogiochi tra mezzanotte e le 6 del mattino. In Cina Tencent, colosso di internet, ha bloccato l’accesso ai giochi per i minori in alcune fasce orarie. In Giappone gli utenti che superano un certo periodo di tempo trascorso a giocare vengono avvisati da un avviso pop-up che li invita a smettere.
Subito dopo la notizia diffusa dall’Oms, su Twitter si è diffuso l’hashtag #gamingdisorder. Tanti utenti sono stati felici di sapere che questo disturbo sarà inserito nella classificazioni, ma altrettanti hanno espresso delle perplessità. “Quindi se gioco troppo ai videogame sono un malato mentale?”, scrive BurnFlames. Alcuni hanno postato dei meme con bambini che giocano davanti a uno schermo, come risposta alla decisione dell’Oms. Altri ancora hanno preferito puntare sulla simpatia, forse senza capire che la serietà della notizia. DannyVercetti ha scritto: “Grazie per aver fatto diventare ‘più figo’ un pensiero di tanti gamers. Così ora nessuno potrà più pensare che giocare sia solo una perdita di tempo”.
Le reazioni
L’associazione americana per l’intrattenimento ESA (Entertainment Software Association) si è ovviamente subito mobilitata contro la decisione dell’organizzazione internazionale, sottolineando come “il buon senso e la ricerca oggettiva dimostrano che i videogame non creano dipendenza. E definendoli in questo modo, l’OMS sminuisce la portata dei veri problemi mentali come la depressione e la fobia sociale che meritano la piena e completa attenzione della comunità medica”.
Il professore di psicologia dell’Iowa State University Douglas Gentile studia i disturbi legati ai videogiochi sin dal 1999, cercando di dimostrare, all’epoca, che fossero innocui per la salute: “Ma più studio più sembra che possano creare dei danni. Il problema però è capire se la vera malattia sia la dipendenza da videogioco o se questo sia sintomo di un altro disturbo mentale. Gli studi ci dimostrano che in genere la dipendenza da gaming sia sintomatica di un problema sottostante”.
E se è solo un sintomo, allora trattare i gamer più accaniti come dipendenti può realmente creare in loro dei danni seri: in questo modo i medici non presterebbero la necessaria attenzione al problema principale. “È come se – commenta Chris Ferguson, Professore di psicologia dell’Università Stetson in Florida – curassimo un paziente con la polmonite con uno sciroppo per la tosse. La tosse sparirebbe ma la polmonite resterebbe lì”.
Insomma, secondo gli esperti interpellati, problemi mentali e dipendenze da videogame sono strettamente connessi, tanto da contagiarsi a vicenda e peggiorare, nel tempo, le condizioni degli uni e degli altri. Uno studio ha dimostrato che nei bambini che hanno smesso di giocare ai videogame i sintomi legati a depressione e ansia sono visibilmente migliorati.
Cos’è l’ICD?
La Classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases – ICD) è uno standard di classificazione delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e rappresenta un valido strumento per gli studi statistici ed epidemiologici. È quindi la base per l’identificazione delle tendenze e delle statistiche sanitarie a livello globale e lo standard internazionale per la segnalazione di malattie e condizioni di salute. Viene utilizzato dai medici di tutto il mondo per diagnosticare le condizioni e dai ricercatori per classificare le condizioni. L’inclusione di un disturbo nell’ICD è una considerazione di cui i Paesi prendono atto quando pianificano strategie di salute pubblica e monitorano le tendenze dei disturbi.
La decisione di introdurre il disturbo del gioco nell’ICD-11 si basa sulla revisione delle prove disponibili e riflette il consenso di esperti di diverse discipline e regioni geografiche coinvolti nel processo di consultazioni tecniche intraprese dall’OMS nello sviluppo proprio dell’ICD-11. Va da sé che la sua inclusione segue lo sviluppo di programmi di trattamento per le persone con condizioni di salute identiche a quelle caratteristiche dei disturbi del gioco in molte parti del mondo e si tradurrà in una maggiore attenzione dei professionisti della salute ai rischi di sviluppo di questo disturbo e, di conseguenza, le relative misure di prevenzione e trattamento.
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