La dipendenza
da videogame
è una malattia
Il gaming
disorder sarà inserito nell’International Classification of Disease, la lista
ufficiale delle malattie «riconosciute» dall’Oms.
Questa patologia è
stata classificata come disturbo mentale nella categoria «disordini dovuti ad
un comportamento dipendente», la stessa di chi scommette in modo patologico
Che
fosse diventato qualcosa di più di una mania per tanti giovani sparsi nel
mondo, era chiaro. Ma che la dipendenza dai videogiochi fosse una malattia
ancora non era stato certificato. A inizio gennaio invece è arrivata l’ultima
parola dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms - World Health
Organization /WHO/): sul suo sito ufficiale ha rivelato le novità che saranno
inserite nella versione 2018 dell’11mo International classification of
diseases (Lista internazionale delle patologie e dei problemi correlati)
che non veniva aggiornata dal 1992. Tra queste c’è proprio il cosiddetto gaming
disorder, l’uso compulsivo di videogiochi, che fa parte della famiglia
di malattie dovute ai comportamenti che causano dipendenza, insieme a
quella per il gioco d’azzardo. Un comportamento che, per essere diagnosticato,
deve essere costante e protratto per un periodo più lungo di 12 mesi. Ma,
aggiungono, “può essere anche più breve se i sintomi sono seri”.
I sintomi da riconoscere
Come
fare a capire se una persona è affetta da questa dipendenza? Secondo l’Oms ci
sono tre elementi fondamentali: la mancanza di controllo sul gioco, soprattutto
riguardo alla frequenza con cui si fa uso dei videogiochi, all’intensità e alla
durata del passatempo. Un altro campanello d’allarme è la priorità che viene
data ai videogiochi rispetto alle altre attività da svolgere durante la
giornata. Infine la prosecuzione del gioco nonostante le sue conseguenze
negative. “Lo schema di comportamento risulta così grave da danneggiare altre aree come quella personale, familiare, sociale,
educativa e occupazionale”, si legge sul sito dell’Oms.
Se per
l’Organizzazione mondiale della sanità la “gaming addiction” è una novità del
2018, alcuni Paesi stanno affrontando il problema da diversi anni. Si tratta
soprattutto di quelli asiatici, come Corea del Sud, Giappone e Cina. In Corea
già nel 2011 è stata introdotta una legge per impedire l’uso dei videogiochi
tra mezzanotte e le 6 del mattino. In Cina Tencent, colosso di internet, ha
bloccato l’accesso ai giochi per i minori in alcune fasce orarie. In Giappone
gli utenti che superano un certo periodo di tempo trascorso a giocare vengono
avvisati da un avviso pop-up che li invita a smettere.
Subito
dopo la notizia diffusa dall’Oms, su Twitter si è diffuso l’hashtag
#gamingdisorder. Tanti utenti sono stati felici di sapere che questo disturbo
sarà inserito nella classificazioni, ma altrettanti hanno espresso delle
perplessità. “Quindi se gioco troppo ai videogame sono un malato mentale?”,
scrive BurnFlames. Alcuni hanno postato dei meme con bambini che giocano
davanti a uno schermo, come risposta alla decisione dell’Oms. Altri ancora
hanno preferito puntare sulla simpatia, forse senza capire che la serietà della
notizia. DannyVercetti ha scritto: “Grazie per aver fatto diventare ‘più figo’
un pensiero di tanti gamers. Così ora nessuno potrà più pensare che giocare sia
solo una perdita di tempo”.
Le reazioni
L’associazione
americana per l’intrattenimento ESA (Entertainment Software Association) si è
ovviamente subito mobilitata contro la decisione dell’organizzazione
internazionale, sottolineando come “il buon senso e la ricerca oggettiva
dimostrano che i videogame non creano dipendenza. E definendoli in questo modo,
l’OMS sminuisce la portata dei veri problemi mentali come la depressione e la
fobia sociale che meritano la piena e completa attenzione della comunità
medica”.
Il
professore di psicologia dell’Iowa State University Douglas Gentile studia i
disturbi legati ai videogiochi sin dal 1999, cercando di dimostrare, all’epoca,
che fossero innocui per la salute: “Ma più studio più sembra che possano creare
dei danni. Il problema però è capire se la vera malattia sia la dipendenza da
videogioco o se questo sia sintomo di un altro disturbo mentale. Gli studi ci
dimostrano che in genere la dipendenza da gaming sia sintomatica di un problema
sottostante”.
E se è
solo un sintomo, allora trattare i gamer più accaniti come dipendenti può
realmente creare in loro dei danni seri: in questo modo i medici non
presterebbero la necessaria attenzione al problema principale. “È come se –
commenta Chris Ferguson, Professore di psicologia dell’Università Stetson in
Florida – curassimo un paziente con la polmonite con uno sciroppo per la tosse.
La tosse sparirebbe ma la polmonite resterebbe lì”.
Insomma,
secondo gli esperti interpellati, problemi mentali e dipendenze da videogame
sono strettamente connessi, tanto da contagiarsi a vicenda e peggiorare, nel
tempo, le condizioni degli uni e degli altri. Uno studio ha dimostrato che nei
bambini che hanno smesso di
giocare ai videogame i sintomi legati a depressione e ansia sono visibilmente
migliorati.
La Classificazione internazionale delle malattie
(International Classification of Diseases – ICD) è uno standard di
classificazione delle malattie e dei problemi correlati, stilata
dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e rappresenta un valido
strumento per gli studi statistici ed epidemiologici. È quindi la base per
l’identificazione delle tendenze e delle statistiche sanitarie a livello
globale e lo standard internazionale per la segnalazione di malattie e
condizioni di salute. Viene utilizzato dai medici di tutto il mondo per
diagnosticare le condizioni e dai ricercatori per classificare le condizioni.
L’inclusione di un disturbo nell’ICD è una considerazione di cui i Paesi
prendono atto quando pianificano strategie di salute pubblica e monitorano le
tendenze dei disturbi.
La decisione di introdurre il disturbo del gioco
nell’ICD-11 si basa sulla revisione delle prove disponibili e riflette il
consenso di esperti di diverse discipline e regioni geografiche coinvolti nel
processo di consultazioni tecniche intraprese dall’OMS nello sviluppo proprio
dell’ICD-11. Va da sé che la sua inclusione segue lo sviluppo di programmi di
trattamento per le persone con condizioni di salute identiche a quelle
caratteristiche dei disturbi del gioco in molte parti del mondo e si tradurrà
in una maggiore attenzione dei professionisti della salute ai rischi di sviluppo
di questo disturbo e, di conseguenza, le relative misure di prevenzione e
trattamento.
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