CONFAGRICOLTURA
NEL 1892 DA PIACENZA
PARTIRONO I CONSORZI AGRARI
1919 INIZIANO LE COSTITUZIONI
DELLE UNIONI DI AGRICOLTORI
A 100 ANNI OCCORRE…URGE…. UNA AGRICOLTURA DIVERSA, UNA AZIENDA DI TERRITORIO E UNA IMPRESA AGRICOLA 4.0
PIACENZA apre la stagione degli anniversari dei primi 100 anni di vita di Confagricoltura. Piacenza già sede primaria nel XIX° secolo delle Cattedre Ambulanti, dei Comizi Agrari, dei Consorzi Agrari e della Federconsorzi. Un compleanno che si trasforma in una pressante e forte richiesta al mondo politico italiano ed europeo di cambiare passo, di smetterla con una politica al ribasso, di standard, di omogeneità di prodotti, di semafori assurdi sulle etichette, di raccontare balle ai consumatori, di leggere il mercato globale delle commodities e di leggere la domanda di prodotti elitari e di nicchia. L’agricoltura estensiva, professionale e imprenditoriale, deve tornare a svolgere con forza il ruolo e la missione da sempre assegnato (fin dalla Genesi), cioè quello di produrre alimenti per sfamare il mondo. Massimiliano Giansanti, presidente nazionale, è stato molto chiaro: l’ultimo piano agricolo nazionale risale al ministro Marcora (1975-1980), in 10 anni di crisi economica e finanziaria di passi indietro di tutti i settori industriali artigianali commerciali solo il mondo “dell’impresa agricola” ha innovato, sviluppato, creato occupazione, concentrato, non ha preso sedi all’estero, ha fatto PIL e ha migliorato la bilancia dei pagamenti dello Stato.
Eppure l’agricoltura italiana forte, dinamica, attiva, capitalizzata è entrata nel “tritacarne” mediatico dei colpevoli di inquinamento, abuso di pesticidi e chimica, uso di ogm, consumo di suolo e consumo di acqua, produzione di CO2. Gli agricoltori rispondono che visto i costi alti di tutte queste negatività, sarebbero stupidi a abusarne e essere in eccesso. Anzi il consumo di gasolio è diminuito, nelle stalle ci sono assorbitori di aria, gli allevamenti sono in status sterilizzante. Non conviene all’agricoltore distruggere terra, lavoro, reddito. L’agricoltura professionale, estesa, controllata, sicura che necessita di innovazione, scienza e fattori di produzione è ancora il settore primario “ che deve dare da mangiare al mondo” come tutte le tavole della legge dicono da millenni. Urge una politica agraria nazionale di lungo respiro, che parta da Palermo come da Bologna, arrivi forte a Roma e Roma deve portare a Bruxelles. La PAC ha un ruolo nazionale, può essere ancora volano del Pil, non una delle tante norme da condividere fra burocrazia-direzioni- presidenze della UE. Occorre constatare l’urgenza di scrivere norme “comunitarie” generali uniche per coniugare e rispettare l’attività di impresa agricola nella filiera della sostenibilità agro-ambientale vera, non con foglie di fico, palliativi, rattoppi: tutte le imprese agricole europee devono avere le stesse opportunità di mercato, senza privilegiare le imprese di alcuni paesi emergenti e nuovi. Su questo la politica italiana deve essere molto rigida.
Ma è anche vero – secondo il nostro parere (Gian Pietro Comolli) – che esiste, in Italia come in Francia, in Spagna …, una altra agricoltura basata più sull’agricoltore di campagna, la vivibilità di territorio, il controllo geopedologico e idrico, sull’abbandono di suolo agrario difficile da coltivare che non produce un reddito autosufficiente in cui il valore capitale “della terra” è più collettivo anche se di proprietà privata distinta. E’ quella figura di coltivatore-agricoltore che impersona una multifunzionalità più territoriale che di impresa individuale, lavora “ e vive” in una “azienda distrettuale” con interessi diversi (privatistici in primis ma con riflessi e contesti sociali e civili) che possono essere una garanzia, una certezza verso tutti gli abitanti che stanno a valle. Parliamo di quelle aziende famigliari di collina svantaggiata e montagna con tanti risvolti collegati alla resilienza e residenza continua in aree difficili che però danno sicurezza agli altri. Ecco ci vuole una PAC 2021-2027 totalmente diversa dai 3 settenati precedenti, per questo che non si possono accettare proroghe della vecchia Pac. Vorrebbe dire mantenere una situazione di galleggiamento che non ha dato i frutti sperati perché l’ambiente, il clima non ha bisogno di foglie di fico, palliativi, rattoppi. Bisogna comprendere a livello “politico alto” che esistono almeno due domande di mercato agroalimentare e quindi ci devono essere almeno due offerte agricole-ambientali- sostenibili. Questo deve essee il dibattito importante di questi mesi: non può essere licenziata una nuova PAC ( simile a quella del 2001) che è indietro nel tempo, non in linea con la velocità tecnologica e con quello che oggi le singole imprese devono fare per essere concorrenziali e competitive in un mercato sempre più globale ma che nel settore alimentae mostra importanti segni di segmentazione della domanda che vanno acquisiti. I primi che arrivano saranno favoriti. La pubblica amministrazione burocratica, il consociativismo , il corporativismo dell’Italia rimanderà ancora una volta questo cambiamento e questo sviluppo? C’è bisogno di un campo normativo diverso: non c’è una agricoltura uniformabile ovunque. Le imprese agricole devono viaggiare su binari e velocità diversa e la politica agraria e la politica generale non può mettere “tetti” senza capire la segmentazione già in atto, che è richiesta dal mercato, dalla domanda e l’offerta non può girarsi dall’altra parte . Quindi urge programmare due agricolture: hanno offerte differenti, bisogni opposti. Sono necessarie entrambe difronte a un mercato seppur globale, con segnali di segmentazione, soprattutto alimentare. Sono anni che sostengo la necessità di una PAC non con parametri minimali di compensazione, ma con sempre più alti strumenti e misure rivolte a una offerta competitiva per una impresa agricola tricolore forte e sicura, ben differenziata da una azienda agro-territoriale di servizi alla persona, a attività e finalità diversificate per aree interne deboli…Una garanzia anche per chi sta a valle, ma un tema a parte.
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