Ristorazione italiana
Un’altalena
Il 25% dei locali
chiude dopo 1 anno
Fipe ha pubblicato il rapporto sulla ristorazione che evidenzia un interesse degli italiani per il cibo, più fuori casa che domestico. Il numero delle imprese cresce, ma anche la mortalità precoce. Calano i bar, -0,5% negli ultimi 10 anni, sostituiti da kebab, paninoteche e piadinerie.
Negli ultimi anni sono cambiati i ritmi di vita, i luoghi di consumo e gli stili alimentari degli italiani, secondo il rapporto della Fipe, presentato a Roma dal presidente della Federazione italiana pubblici esercizi Lino Stoppani, dal direttore generale Roberto Calugi e dal suo vice Luciano Sbraga. Dal rapporto 2019, che conferma il trend degli ultimi 10 anni, emerge come il settore della ristorazione stia vivendo una stagione dinamica, pur in una situazione di crescita contenuta se non di decrescita, e in controtendenza rispetto ad altri comparti.
Nel 2018 hanno speso tra bar e ristoranti 85,3 miliardi di euro, l'1,7% in più dell'anno precedente. Rispetto ad un anno fa è aumentato anche il numero delle imprese: 336mila, di cui un terzo gestite da donne, e l'11% da cittadini stranieri. Segna un dato positivo anche l'occupazione: nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di addetti, in maggioranza donne e giovani: +20% in 10 anni.
Molte le criticità strutturali. Secondo il rapporto dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti, dopo 3 un locale su due e dopo 5 il 57%. Inoltre sono in aumento i casi di abusivismo commerciale e di concorrenza sleale. Se ogni giorno sono 5 milioni gli italiani che fanno la prima colazione nei bar e pasticcerie, sono proprio i bar tradizionali a segnare un calo (-0,5%), a favore dei sempre più numerosi take away, paninotece o kebab, cresciuti negli ultimi 10 anni del 54,7%.
«Il pubblico esercizio - ha detto ancora Stoppani - deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo, soprattutto nei centri urbani e nelle grandi città. Deve valere il principio “stesso mercato-stesse regole” di fronte a costi di locazione insostenibili, onere del personale e di gestione, a cominciare dalla Tari. La scorciatoia è fatta da attività senza servizio e con personale ridotto, favorita talvolta da politiche poco lungimiranti di amministrazioni locali. La disparità di condizioni genera concorrenza sleale, impoverisce il mercato e la sicurezza dei consumatori».
Ma la motivazione alla base della scelta del delivery (“non ho voglia di uscire, di cucinare e non ho nulla in casa”) secondo il vice direttore Fipe Luciano Sbraga - toccherebbero più il consumo domestico che la ristorazione. A breve sarà affrontato in un convegno mirato anche il tema dei buoni pasto. Il ruolo di Fipe - è stato sostenuto - è decisivo anche nella filiera agroalimentare a cui si dà un valore aggiunto, e nel turismo. Sono due settori complementari. L'accoglienza nei bar e nei ristoranti e la qualità del cibo e del vino, insieme allo shopping, sono le più importanti motivazioni di viaggio in Italia. Inoltre su ben il 97% dei comuni italiani, anche i più piccoli, esistono bar e ristoranti. Un'ampia diffusione territoriale che va vista anche come un dato di presidio sociale.
Il numero dei ristoranti cresce, ma 1 su 4 chiude dopo 1 anno
Nel Paese della buona tavola gli italiani (7 consumatori su 10) vanno sempre più al ristorante ma con maggiore attenzione alla qualità, alla territorialità dei prodotti e alla sostenibilità. Ma si pensa anche a non sprecare il cibo, si chiede se c'è la doggy bag (37,7%) e se la carne proviene da allevamenti sostenibili (36,7%). Il 70% pretende però che sul tavolo ci sia rigorosamente l’acqua minerale in bottiglia invece che la microfiltrata o quella in caraffa (l'acqua del sindaco). Ma cosa scelgono gli italiani al ristorante? In maggioranza vogliono gustare cibi di qualità e della tradizione, cucinati con ricette classiche, ma altrettanti di loro dicono di essere tentati da piatti nuovi, mai provati prima.
Lino Stoppani
Influisce sulla scelta del locale la sua politica green, la sostenibilità ambientale e sociale e la limitazione dell'uso della plastica. Cresce quindi la spesa nel fuoricasa ma si riduce quella per i consumi domestici anche se in termini reali è aumentata per le spese obbligate come tasse, bollette. Negli ultimi 10 anni mentre la prima è cresciuta di 4,3 miliardi quella per i consumi di casa ha segnato -9 miliardi di euro. Il mercato italiano della ristorazione si pone quindi come il terzo più grande d'Europa dopo Gran Bretagna e Spagna. Sono 10 milioni gli italiani che ogni giorno pranzano fuori casa e un po' meno quelli che almeno due volte alla settimana vanno a cena fuori.Nel 2018 hanno speso tra bar e ristoranti 85,3 miliardi di euro, l'1,7% in più dell'anno precedente. Rispetto ad un anno fa è aumentato anche il numero delle imprese: 336mila, di cui un terzo gestite da donne, e l'11% da cittadini stranieri. Segna un dato positivo anche l'occupazione: nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di addetti, in maggioranza donne e giovani: +20% in 10 anni.
I bar cedono il passo a nuove forme di somministrazione
«Questo mondo - ha detto il presidente Stoppani - è un grande asset della nostra economia e un patrimonio anche culturale, grazie all'offerta che cresce in segmentazione dei format commerciali, in qualità e in professionalità degli addetti. Ma il nostro non è un settore dove si vive di rendita, come dimostra l'altissimo turnover imprenditoriale».Molte le criticità strutturali. Secondo il rapporto dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti, dopo 3 un locale su due e dopo 5 il 57%. Inoltre sono in aumento i casi di abusivismo commerciale e di concorrenza sleale. Se ogni giorno sono 5 milioni gli italiani che fanno la prima colazione nei bar e pasticcerie, sono proprio i bar tradizionali a segnare un calo (-0,5%), a favore dei sempre più numerosi take away, paninotece o kebab, cresciuti negli ultimi 10 anni del 54,7%.
«Il pubblico esercizio - ha detto ancora Stoppani - deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo, soprattutto nei centri urbani e nelle grandi città. Deve valere il principio “stesso mercato-stesse regole” di fronte a costi di locazione insostenibili, onere del personale e di gestione, a cominciare dalla Tari. La scorciatoia è fatta da attività senza servizio e con personale ridotto, favorita talvolta da politiche poco lungimiranti di amministrazioni locali. La disparità di condizioni genera concorrenza sleale, impoverisce il mercato e la sicurezza dei consumatori».
Confermata la crescita del food delivery
Anche l'italian sounding influisce sull'attività ristorativa specialmente tra i cosiddetti locali italiani all'estero, ma grazie all'attività di controllo sono solo 2.200 su 60mila quelli che con uno speciale marchio posso definirsi tali. Affrontati, alla presentazione del rapporto, anche i temi emergenti e le nuove tendenze del settore, come quello del food delivery. «Non c'è cannibalismo nella nostra attività - ha detto Stoppani - è un business all'inizio, di nicchia che non è ancora rappresentato nella nostra Federazione. Potrebbe essere definita un'integrazione della dinamica ristorativa. Il miliardo di euro del loro comparto è ben poco rispetto ai nostri 85,3 miliardi. Riteniamo tuttavia che la commissione richiesta sulla consegna - il 30% - sia troppo esoso. È una riflessione da fare per trovare la formula più corretta».Ma la motivazione alla base della scelta del delivery (“non ho voglia di uscire, di cucinare e non ho nulla in casa”) secondo il vice direttore Fipe Luciano Sbraga - toccherebbero più il consumo domestico che la ristorazione. A breve sarà affrontato in un convegno mirato anche il tema dei buoni pasto. Il ruolo di Fipe - è stato sostenuto - è decisivo anche nella filiera agroalimentare a cui si dà un valore aggiunto, e nel turismo. Sono due settori complementari. L'accoglienza nei bar e nei ristoranti e la qualità del cibo e del vino, insieme allo shopping, sono le più importanti motivazioni di viaggio in Italia. Inoltre su ben il 97% dei comuni italiani, anche i più piccoli, esistono bar e ristoranti. Un'ampia diffusione territoriale che va vista anche come un dato di presidio sociale.
di Mariella Morosi
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