Ristorazione
in hotel
Una risorsa
da valorizzare
Spesso gli alberghi pongono maggiore attenzione a garantire un servizio di pernottamento ottimale, sottovalutando le potenzialità del ristorante che può arricchire l’esperienza turistica.
Posto in premessa che si è ben consapevoli che il core business dell’albergo sia dato dal soddisfare il bisogno primario del dormire a coloro i quali per leisure o per business sono fuori casa, si tratta di comprendere se nel novero dei servizi “ancillari” erogati dall’albergatore alla clientela possa ancora trovare posto il soddisfacimento di un altro bisogno primario: mangiare. Lo spunto di riflessione giunge all’indomani di Hotel Food R-evolution, evento svoltosi nei giorni scorsi a Milano, dedicato all’evoluzione dell’offerta gastronomica nell’hotellerie e alla relazione fra le richieste del turista e le strategie e i servizi messi in campo dalle strutture ricettive.
Quale ruolo ha oggi, quale ruolo avrà domani la ristorazione in albergo? Probabilmente l’articolata risposta a così impegnativo quesito la si trova andando a spulciare la fondatezza o meno dell’aggettivo “ancillare” sopra adoperato. Se ne deduce che il problema risiede nel “mindset” (mentalità) dell’albergatore e del suo management posto a governo dell’attività e a salvaguardia dell’esistenza della disuguaglianza “ricavi/costi > 1”, ovvero il perseguimento dell’utile di esercizio secondo il concetto cardine di un ricavo complessivo che sia maggiore dei costi complessivi.
Se si parte dal presupposto che il ristorante ubicato nel plesso alberghiero è un centro di costo e non un centro di profitto, se insomma lo si ritiene il calice amaro da sorbire, il male necessario con il quale coesistere, allora non si fa altro che cadere nel circuito vizioso secondo il quale “non investo sul ristorante perché i clienti dell’albergo non lo frequentano”. Il ristorante diviene sempre più “melanconico”, con offering obsoleto e con servizio di sala espletato da persone demotivate e poco dotate delle soft skills (competenze relazionali) oggi necessarie. Accadrà pertanto che un sempre minor numero di clienti dell’albergo fruirà del ristorante interno. E così via nella spirale perversa.
Dove cercare e trovare dunque il “quid” mediante il quale il circuito da vizioso diventi virtuoso e il ristorante da centro di costo si trasformi in virtuoso (e radioso e gioioso) centro di profitto? Probabilmente una sincera quanto attenta analisi SWOT (strenghts, weaknesses, opportunities, threats) è efficace ausilio nel frangente.
Quali sono i punti di forza della ristorazione in albergo da enfatizzare e con maggior sapienza ed efficacia comunicare alla clientela? In primis di certo la potenzialità, se non l’attualità, di essere in via congenita un ristorante AAO (almost always open), aperto quasi sempre. Il ristorante d’albergo ha in sé, posta l’ovvietà che “l’albergo non chiude mai”, il prerequisito di un servizio erogato quasi sempre dalle ore mattutine (prima colazione) a quelle serali (cena). Via le gabbie orarie, quei tag melanconici e desueti, affissi nella hall, negli ascensori, sovente anche nelle camere, dove si comunicano i rigidi orari di servizio di breakfast, pranzo e cena. Oggi la ristorazione in albergo è nel dovere di erogare servizio quasi “h24”, conseguentemente sapendo sventagliare con intelligenza creativa i vari offering in funzione degli slot orari, prendendo atto che la clientela, sia essa business o leisure, sempre meno si sente assoggettata e quasi obbligata a pranzare e a cenare secondo orari canonici e soprattutto secondo sclerotiche successioni di portate.
Si pensi al layout della sala ristorante che in gran parte dei casi è anche la sala dove si fa il breakfast, allestita quindi con tavoli buffet. Quale migliore preinstallazione per concepire un dovizioso ed attrattivo brunch. E quale migliore “esca” del brunch per attrarre anche un bacino di utenza sovente sottovalutato che è quello costituito dalle persone che vivono nell’area in cui insiste l’albergo. Potendo restare (quasi) sempre aperto, quali e quante le proposte originali rivolte ancor prima che alla clientela dell’albergo, all’interessante e profittevole target costituito dalle persone del luogo! In particolare, risulterà attrattiva per costoro ad esempio una calibrata proposta di “sunday lunch”.
La dimostrazione del fatto che pochissimo si fa per attuare la commutazione innanzitutto mentale di cui si diceva (da centro di costo a centro di profitto), è data dalla comunicazione carente quando non assente al riguardo. Vediamo due piccoli ma significativi casi.
A fare colazione al mattino si recano pressoché tutti i clienti dell’albergo: si lascia la camera e si è pronti a trascorrere la giornata a conclusione della quale c’è il rientro nella struttura. Bene, perché allora la sala breakfast non diventa un luogo in cui - grazie al personale opportunamente formato e motivato e sfruttando supporti cartacei o multimediali - si possa comunicare l’accattivante proposta della cena per la sera?
Un altro caso: arrivano le prenotazioni delle camere. Si invia una mail di conferma, in genere sottolineando le regole (orari di check-in e check-out, modalità di pagamento, costo del garage, ecc.). Perché non comunicare anche le proposte dello chef per quella sera, magari sollecitando la prenotazione di un tavolo?
Le argomentazioni poste a demolizione della fattibilità di quanto fin qui prospettato sono da parte dell’albergatore sostanzialmente riconducibili al fattore “costo del lavoro” e al recruiting del personale dotato delle soft skills necessarie, dando per acquisite le hard skills (competenze tecniche). E poi, susseguente a ciò, alla formazione necessaria e alla tutela di un turnover che non vada oltre il fisiologico. Sovente, tra le lamentele dell’albergatore spicca la constatazione dell’inadeguatezza del F&B Manager, ovvero la figura professionale incaricata di gestire, come da label, il Food e il Beverage, non soltanto inteso come attività di acquisto, di approvvigionamento e di controllo del magazzino e contatti con i fornitori, ma anche di cerniera tra economato ed esigenze, il più delle volte legittime, dello chef. Ma queste argomentazioni, va detto, suonano alquanto anacronistiche. È un po’ come se, ci sia passato il paragone, nel comunicare che stiamo acquistando un nuovo pulmino per il transfer dei clienti, ci rammarichiamo che non troviamo i “cocchieri” di una volta a cui affidare la guida e la corretta manutenzione del pulmino!
Ci troviamo al cospetto di tre fondamentali attività da svolgere se ancora siamo intenzionati a perseguire quella commutazione di cui si è detto:
Aumentando di gran lunga le soddisfazioni, non soltanto materiali, non saremo più al cospetto di bisogni primari da soddisfare bensì saremo coloro i quali tramite un bouquet di servizi opportunamente calibrati e costantemente adeguati esaudiranno i desideri della clientela. E nel passaggio dal soddisfacimento dei bisogni all’esaudimento dei desideri (commutazione innanzitutto di “mindset”), si verifica anche la commutazione del ristorante da centro di costo a centro di profitto. Non più quell’oggetto bianco denominato “lenzuolo” a fare da cash cow (vacca da mungere) e quell’oggetto bianco denominato “tovagliolo” ad essere il “calice amaro”, bensì entrambi, opportunamente rinvigoriti dall’efficace espletamento delle suddette tre attività, ben pronti a rendere vera sempre la disuguaglianza “ricavi/costi > 1”.
Un momento! Si era parlato di “cocchiere” alla guida del pulmino... Evidentemente è la figura stessa del F&B Manager che è obsoleta e comunque inabile a garantire i risultati attesi se non si interviene ad incrementarne le skills. Vorremmo pertanto immaginare una emergente figura professionale, denominata “XC Manager”, laddove la X sta per “eXperience” e la C sta per “Creator”. Sì, proprio così, il Manager che, validamente supportato da un team snello, affiatato e competente, voglia e sappia creare quelle esperienze memorabili da far vivere ai clienti. Oggi, è bene ribadirlo, siamo nell’era del turismo esperienziale.
Se si parte dal presupposto che il ristorante in hotel è un fattore di costo e non di profitto, non si fa altro che cadere nel circuito vizioso secondo il quale “non investo sul ristorante perché i clienti dell’albergo non lo frequentano”
Quale ruolo ha oggi, quale ruolo avrà domani la ristorazione in albergo? Probabilmente l’articolata risposta a così impegnativo quesito la si trova andando a spulciare la fondatezza o meno dell’aggettivo “ancillare” sopra adoperato. Se ne deduce che il problema risiede nel “mindset” (mentalità) dell’albergatore e del suo management posto a governo dell’attività e a salvaguardia dell’esistenza della disuguaglianza “ricavi/costi > 1”, ovvero il perseguimento dell’utile di esercizio secondo il concetto cardine di un ricavo complessivo che sia maggiore dei costi complessivi.
Se si parte dal presupposto che il ristorante ubicato nel plesso alberghiero è un centro di costo e non un centro di profitto, se insomma lo si ritiene il calice amaro da sorbire, il male necessario con il quale coesistere, allora non si fa altro che cadere nel circuito vizioso secondo il quale “non investo sul ristorante perché i clienti dell’albergo non lo frequentano”. Il ristorante diviene sempre più “melanconico”, con offering obsoleto e con servizio di sala espletato da persone demotivate e poco dotate delle soft skills (competenze relazionali) oggi necessarie. Accadrà pertanto che un sempre minor numero di clienti dell’albergo fruirà del ristorante interno. E così via nella spirale perversa.
Dove cercare e trovare dunque il “quid” mediante il quale il circuito da vizioso diventi virtuoso e il ristorante da centro di costo si trasformi in virtuoso (e radioso e gioioso) centro di profitto? Probabilmente una sincera quanto attenta analisi SWOT (strenghts, weaknesses, opportunities, threats) è efficace ausilio nel frangente.
Quali sono i punti di forza della ristorazione in albergo da enfatizzare e con maggior sapienza ed efficacia comunicare alla clientela? In primis di certo la potenzialità, se non l’attualità, di essere in via congenita un ristorante AAO (almost always open), aperto quasi sempre. Il ristorante d’albergo ha in sé, posta l’ovvietà che “l’albergo non chiude mai”, il prerequisito di un servizio erogato quasi sempre dalle ore mattutine (prima colazione) a quelle serali (cena). Via le gabbie orarie, quei tag melanconici e desueti, affissi nella hall, negli ascensori, sovente anche nelle camere, dove si comunicano i rigidi orari di servizio di breakfast, pranzo e cena. Oggi la ristorazione in albergo è nel dovere di erogare servizio quasi “h24”, conseguentemente sapendo sventagliare con intelligenza creativa i vari offering in funzione degli slot orari, prendendo atto che la clientela, sia essa business o leisure, sempre meno si sente assoggettata e quasi obbligata a pranzare e a cenare secondo orari canonici e soprattutto secondo sclerotiche successioni di portate.
La colazione è uno dei momenti più importanti nel servizio di un hotel
Si pensi al layout della sala ristorante che in gran parte dei casi è anche la sala dove si fa il breakfast, allestita quindi con tavoli buffet. Quale migliore preinstallazione per concepire un dovizioso ed attrattivo brunch. E quale migliore “esca” del brunch per attrarre anche un bacino di utenza sovente sottovalutato che è quello costituito dalle persone che vivono nell’area in cui insiste l’albergo. Potendo restare (quasi) sempre aperto, quali e quante le proposte originali rivolte ancor prima che alla clientela dell’albergo, all’interessante e profittevole target costituito dalle persone del luogo! In particolare, risulterà attrattiva per costoro ad esempio una calibrata proposta di “sunday lunch”.
La dimostrazione del fatto che pochissimo si fa per attuare la commutazione innanzitutto mentale di cui si diceva (da centro di costo a centro di profitto), è data dalla comunicazione carente quando non assente al riguardo. Vediamo due piccoli ma significativi casi.
A fare colazione al mattino si recano pressoché tutti i clienti dell’albergo: si lascia la camera e si è pronti a trascorrere la giornata a conclusione della quale c’è il rientro nella struttura. Bene, perché allora la sala breakfast non diventa un luogo in cui - grazie al personale opportunamente formato e motivato e sfruttando supporti cartacei o multimediali - si possa comunicare l’accattivante proposta della cena per la sera?
Un altro caso: arrivano le prenotazioni delle camere. Si invia una mail di conferma, in genere sottolineando le regole (orari di check-in e check-out, modalità di pagamento, costo del garage, ecc.). Perché non comunicare anche le proposte dello chef per quella sera, magari sollecitando la prenotazione di un tavolo?
Le argomentazioni poste a demolizione della fattibilità di quanto fin qui prospettato sono da parte dell’albergatore sostanzialmente riconducibili al fattore “costo del lavoro” e al recruiting del personale dotato delle soft skills necessarie, dando per acquisite le hard skills (competenze tecniche). E poi, susseguente a ciò, alla formazione necessaria e alla tutela di un turnover che non vada oltre il fisiologico. Sovente, tra le lamentele dell’albergatore spicca la constatazione dell’inadeguatezza del F&B Manager, ovvero la figura professionale incaricata di gestire, come da label, il Food e il Beverage, non soltanto inteso come attività di acquisto, di approvvigionamento e di controllo del magazzino e contatti con i fornitori, ma anche di cerniera tra economato ed esigenze, il più delle volte legittime, dello chef. Ma queste argomentazioni, va detto, suonano alquanto anacronistiche. È un po’ come se, ci sia passato il paragone, nel comunicare che stiamo acquistando un nuovo pulmino per il transfer dei clienti, ci rammarichiamo che non troviamo i “cocchieri” di una volta a cui affidare la guida e la corretta manutenzione del pulmino!
Il personale deve possedere competenze tecniche ma anche relazionali
Ci troviamo al cospetto di tre fondamentali attività da svolgere se ancora siamo intenzionati a perseguire quella commutazione di cui si è detto:
- segmentare la clientela, sia quella attuale che quella potenziale, sia quella costituita dai forestieri che quella costituita dai locali;
- personalizzare la relazione con costoro in modalità one-to-one, inviando a ciascuno un messaggio “su misura”, personalizzato, che contiene proposte di pressoché certa attrattività;
- monitorare i risultati, sapendoli misurare, valutare, e di conseguenza agire mediante fine tuning.
Aumentando di gran lunga le soddisfazioni, non soltanto materiali, non saremo più al cospetto di bisogni primari da soddisfare bensì saremo coloro i quali tramite un bouquet di servizi opportunamente calibrati e costantemente adeguati esaudiranno i desideri della clientela. E nel passaggio dal soddisfacimento dei bisogni all’esaudimento dei desideri (commutazione innanzitutto di “mindset”), si verifica anche la commutazione del ristorante da centro di costo a centro di profitto. Non più quell’oggetto bianco denominato “lenzuolo” a fare da cash cow (vacca da mungere) e quell’oggetto bianco denominato “tovagliolo” ad essere il “calice amaro”, bensì entrambi, opportunamente rinvigoriti dall’efficace espletamento delle suddette tre attività, ben pronti a rendere vera sempre la disuguaglianza “ricavi/costi > 1”.
Un momento! Si era parlato di “cocchiere” alla guida del pulmino... Evidentemente è la figura stessa del F&B Manager che è obsoleta e comunque inabile a garantire i risultati attesi se non si interviene ad incrementarne le skills. Vorremmo pertanto immaginare una emergente figura professionale, denominata “XC Manager”, laddove la X sta per “eXperience” e la C sta per “Creator”. Sì, proprio così, il Manager che, validamente supportato da un team snello, affiatato e competente, voglia e sappia creare quelle esperienze memorabili da far vivere ai clienti. Oggi, è bene ribadirlo, siamo nell’era del turismo esperienziale.
di Vincenzo D’Antonio
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