lunedì 20 maggio 2019

Il ritorno alla campagna salverà l’olio italiano

Il ritorno 

alla campagna 
salverà 

l’olio italiano


Spesso noi italiani abbiamo bisogno di spaventarci per cominciare a cambiare le cose. Forse l’abbandono degli oliveti e in generale delle campagne sta lasciando il passo alla fiducia e alla voglia di restare nel luogo di origine, magari risistemando quello che, con tanto amore e dedizione, i nostri avi avevano curato. 

In Toscana - la mia regione - fino a pochi anni fa si assisteva a un abbandono degli oliveti, inesorabile, silenzioso e continuo. Quasi un 5% degli oliveti già piantati venivano abbandonati. Adesso continuo a ricevere telefonate e messaggi di persone che mi chiedono quali siano le zone migliori e i campi dove prendere in affitto un terreno per creare il proprio olio extravergine di qualità.

(Il ritorno alla campagna salverà l’olio italiano)

Scendendo verso l’Umbria e il Lazio, si assiste a una coltura ramificata in quasi tutte le province. Sarebbe fondamentale non deturpare il paesaggio che tanto ammirano i turisti di tutto il mondo che vengono in vacanza da noi, inserendo impianti super intensivi che in queste terre così collinari non avrebbero l’effetto desiderato.

La Puglia e la Calabria - lo abbiamo imparato bene - sono il nostro bacino naturale per produrre quasi il 70% dell’olio italiano. Percorrere dal nord della Puglia fino a Santa Maria di Leuca le strade regionali e provinciali che si perdono in questo mare di olivi è qualcosa di unico e magico. La tentazione di abbandonare o lasciare le olive sull’albero, tanto poi viene l’industria a ritirare l’olio di media qualità, è molto forte.

Ma si dovrebbe prendere coscienza che queste zone, se curate e rispettate, potrebbero produrre l’olio extravergine più buono del mondo. Altrimenti l’incuria e la negligenza, unite ad altri fattori naturali, potrebbero creare gli stessi problemi che hanno avuto gli amici del Salento che hanno dovuto abbattere oltre un milione di esemplari di alberi, a volte più che secolari, per colpa della famigerata Xylella.

Dovremmo recuperare i terreni, acquistare trulli e pajare diroccate per creare alloggi e luoghi di elezione che qualsiasi visitatore vorrebbe vivere, anche solo per qualche ora. E poi le masserie, sparse in tutta la regione, che diventano un avamposto culturale e colturale, per dimostrare che i prodotti di eccellenza della terra nascono dove c’è vita e cultura.

Un’altra pagina di eccellenza la può raccontare senz’altro la Calabria, con la sua conformazione morfologica unica e con la sua storia assolutamente millenaria. La vite, l’olivo, i cereali, la frutta e gli agrumi trovano una naturale dimora che, se solo venisse compresa appieno, farebbe della regione un avamposto in Europa e nel mondo unico nel suo genere.

Facendo un tuffo tra Scilla e Messina, si entra nell’antica Trinacria, quella Sicilia che trasuda storia e mare da ogni angolo della sua terra. I Fenici, i Greci, i Romani, i Cartaginesi, i Normanni e su, fino a noi. Una delle isole più produttive di olive da mensa e da olio. Si comincia a raccontare l’olio non più attraverso pochi aggettivi - forte, medio, leggero - ma grazie al nome della pianta, della monocultivar che cresce a seconda della zona di origine: Nocellara del Belice, Tonda Iblea, Ogliarola Messinese, Santagatese, Moresca.

Più un prodotto ha una sua identità, più il consumatore andrà alla ricerca di quel ricordo, di quel profumo, di quella volta che, grazie a quel viaggio, aprì il tappo di quella bottiglia e fu rapito da un profumo di fresco vento del mare, di erbe e agrumi, che mai nessuno era riuscito a racchiudere dentro un contenitore
di Fausto Borella

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