Uscire
dalla propria
comfort zone
per scoprire
vini
e abbinamenti
Ognuno di noi ha un gusto formato e tende a non rimettere troppo in discussione pregiudizi ed insicurezze, avventurandosi con circospezione fuori dalla propria comfort zone.
Proprio a questo pensavo durante un press lunch andato in scena poco tempo fa al Cibrèo di Firenze.
Per me, che frequento questa tavola da sempre, è il luogo delle conferme, dove i piatti sono rassicuranti come le madeleines di proustiana memoria. Confesso che mi inquietava il contrasto con i vini di Donne Fittipaldi, che traducono il bolgherese da un’angolazione tutta particolare. Se penso al malbec, mi viene automatica la connessione con Cahors, con il Sud Ovest francese, dove quest’uva (nota anche come cot) è di casa. Consideravo come divagazione plausibile soltanto quella argentina, dove il vieux malbec è stato piantato con successo nella zona di Mendoza proprio per iniziativa di wineries a matrice francese.
In quello che viene definito il “Piemonte delle Ande”, la prospiciente Cordigliera, complice l’altitudine elevata delle vigne, enfatizza l’aspetto dell’aromaticità, che si accompagna alla densità della trama. Il vin noir in Francia si giova di suoli più calcarei che apportano maggior finezza all’impalcatura tannica, con rimandi classici di mirtillo, cuoio, cenere. Ed è dunque con un mix di eccitazione e scetticismo che mi sono approcciato al Malaroja 2013 di Donne Fittipaldi.
Fugata immediatamente ogni riserva mentale mi sono trovato di fronte ad un vino importante, in cui la componente speziata, la vena balsamica, i cenni tostati, ti incalzano fino a metterti in difficoltà al punto da dover riparametrare i tuoi punti di riferimento. Al meglio con i secondi saporiti di “Casa Picchi” (coniglio farcito, maialino, piccione).
Ancor più spiazzante l’ancestrale bollicina rosé, sempre da uve malbec, servita inizialmente. “5” si avvale, come tutte le etichette di Donne Fittipaldi, della veste grafica di Giorgio Rastelli (in arte Giores) e della qualificata consulenza enologica di Emiliano Falsini. Il tappo a corona e il color cipria all’analisi visiva, strizzano l’occhio ad un pubblico giovane e femminile (niente di strano per un’azienda tutta rosa). Il sorso è diretto, verticale, con cenni di violetta e fragolina di bosco che la rifermentazione naturale tende come un arco. Tiene testa con la sua verve al ghiotto carosello di antipastini del Cibrèo, costringendoti a rifare i conti con il tuo mondo e le tue certezze.
Per me, che frequento questa tavola da sempre, è il luogo delle conferme, dove i piatti sono rassicuranti come le madeleines di proustiana memoria. Confesso che mi inquietava il contrasto con i vini di Donne Fittipaldi, che traducono il bolgherese da un’angolazione tutta particolare. Se penso al malbec, mi viene automatica la connessione con Cahors, con il Sud Ovest francese, dove quest’uva (nota anche come cot) è di casa. Consideravo come divagazione plausibile soltanto quella argentina, dove il vieux malbec è stato piantato con successo nella zona di Mendoza proprio per iniziativa di wineries a matrice francese.
In quello che viene definito il “Piemonte delle Ande”, la prospiciente Cordigliera, complice l’altitudine elevata delle vigne, enfatizza l’aspetto dell’aromaticità, che si accompagna alla densità della trama. Il vin noir in Francia si giova di suoli più calcarei che apportano maggior finezza all’impalcatura tannica, con rimandi classici di mirtillo, cuoio, cenere. Ed è dunque con un mix di eccitazione e scetticismo che mi sono approcciato al Malaroja 2013 di Donne Fittipaldi.
Fugata immediatamente ogni riserva mentale mi sono trovato di fronte ad un vino importante, in cui la componente speziata, la vena balsamica, i cenni tostati, ti incalzano fino a metterti in difficoltà al punto da dover riparametrare i tuoi punti di riferimento. Al meglio con i secondi saporiti di “Casa Picchi” (coniglio farcito, maialino, piccione).
Ancor più spiazzante l’ancestrale bollicina rosé, sempre da uve malbec, servita inizialmente. “5” si avvale, come tutte le etichette di Donne Fittipaldi, della veste grafica di Giorgio Rastelli (in arte Giores) e della qualificata consulenza enologica di Emiliano Falsini. Il tappo a corona e il color cipria all’analisi visiva, strizzano l’occhio ad un pubblico giovane e femminile (niente di strano per un’azienda tutta rosa). Il sorso è diretto, verticale, con cenni di violetta e fragolina di bosco che la rifermentazione naturale tende come un arco. Tiene testa con la sua verve al ghiotto carosello di antipastini del Cibrèo, costringendoti a rifare i conti con il tuo mondo e le tue certezze.
di Guido Ricciarelli
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