Macchina per caffè
espresso
Una storia lunga
oltre 100 anni
Dal primo brevetto nel 1902 all'avvento della macchina a leva, passando per la Faema E-61 e arrivando alle tecnologie dei giorni nostri. Tanti step fatti e altri ancora da fare per un settore che è costantemente in evoluzione, per offrire al cliente la soluzione più ottimale a ogni sua esigenza.
La prima macchina da caffè espresso fu brevettata da Angelo Moriondo, un industriale di Torino che, allargando la sua attività, dalla cioccolata al mondo alberghiero, comprese la necessità di preparare il caffè in breve tempo e farlo gustarlo appena fatto. Moriondo però non diede mai impulso industriale alla sua invenzione, pur avendola brevettata: è per questo che in realtà, ed erroneamente, l’invenzione viene fatta risalire ad un meccanico (non un ingegnere) milanese, Luigi Bezzera.
Bezzera aveva probabilmente visto e ragionato intorno all'invenzione di Moriondo, non per altro il brevetto a lui concesso titolava: “Le innovazioni nei macchinari per preparare e servire immediatamente bevanda di caffè” (Patent No. 153/94, 61707, concesso il 5 giugno 1902). Bezzera intuì le potenzialità della macchina, tanto da riuscire a vendere il brevetto a Desiderio Pavoni che con la sua azienda “La Pavoni”, appunto, cominciò a produrla.
La macchina di per sé altro non era se non un grosso cilindro verticale, contenente una caldaia di ottone mantenuta in pressione da un fornello a gas. Lateralmente alla caldaia erano posizionati i gruppi (sorprendentemente simili a quelli moderni) in cui veniva messo il caffè. Girando un rubinetto l’acqua in ebollizione e il vapore contenuti nella caldaia passavano attraverso il caffè con 1,5 atmosfere circa, e in un minuto (siamo lontani dai 25 secondi di oggi) il caffè era fatto.
Le macchine a leva
Questo tipo di macchine (definite “a vapore” e il cui metodo è ancora usato in alcune macchinette economiche da casa) rimase in auge fino a dopo la seconda guerra mondiale. Subito dopo, nel grande fermento della rinascita dalle macerie, precisamente nel 1945, Angelo Gaggia inventò il sistema a leva. L’invenzione e il brevetto risalivano in realtà al 1938, ma Gaggia, che come Moriondo inizialmente aveva pensato alla macchina per il suo bar, ragionò solo in un secondo momento "in modo industriale", e fu così solo nel ’48 che ne cominciò la produzione.
La macchina a pistone, o a leva, appunto, pose le basi tecniche per il “caffè crema”, in quanto fino a quel momento l’espresso non era come lo conosciamo noi oggi, ma era una bevanda nera senza crema. La temperatura dell’acqua era più bassa, si scendeva dagli oltre 120°C a 90°C circa, così il caffè andava a perdere quella sensazione di intenso amaro che l’aveva accompagnato fin dall’inizio. La pressione di nove atmosfere, a cui il pistone pressurizzava l’acqua, permetteva poi di creare la crema, il vero segno di riconoscimento della bevanda più italiana che c’è.
Faema E-61
La macchina a leva - che con il tempo divenne, evolvendosi, macchina a molla - rimase il riferimento fino all’arrivo dell'Eclisse nel 1961, quando la Faema lanciò la E-61 (E, come Eclisse, fenomeno verificatosi quell’anno). Anche chi non è un professionista del caffè sa riconoscere l’eleganza classica di questa macchina e la sua importanza storica; una tecnica ben conosciuta da tutti gli addetti ai lavori. Introduceva infatti importantissime evoluzioni. La macchina non sfruttava più una pressione manuale (come le macchine a leva) ma traeva le sue atmosfere da una pompa elettrica, rendendo il lavoro dell’operatore molto più semplice e meno faticoso. La macchina introduceva la preinfusione, concetto che prevedeva, prima che la pompa applicasse la pressione sul caffè, alcuni secondi in cui l’acqua calda restava a contatto con la polvere, portando così ad una migliore estrazione. "Last but not least", la tecnologia di questa macchina: lo scambiatore di calore, un tubo in cui circolava acqua che, passando dentro la caldaia, si scaldava e, uscendo poi sul gruppo (la E-61 è ben riconoscibile per avere il gruppo esterno), si raffreddava, creando quel “circolo termosifonico” che permetteva una grande stabilità di temperatura.
È da notare come, negli stessi anni, la Faema, l’azienda produttrice della E-61, creò anche la prima macchina “vending”, quella in cui si mette la monetina ed esce il caffè, presente oggi un po’ dappertutto.
Altri gradini? Nel 1970 l’azienda fiorentina “La Marzocco” creò la prima macchina a doppia caldaia, ulteriore evoluzione della ricerca di una grande stabilità. Una macchina che permetteva di fare centinaia di caffè ogni giorno tutti con la stessa alta qualità. Negli anni '80 arrivarono poi le macchine automatiche, capaci di stopparsi da sole una volta raggiunti i 30-40 millilitri di espresso precedentemente prefissati.
E oggi? Il mondo delle macchine da caffè è tuttora in piena evoluzione e come spesso accade le direzioni di maggior sviluppo sono le due opposte. Da una parte l’estrema automatizzazione di macchine che premendo un tasto macinano il caffè, lo pressano e montano il latte senza che l’operatore debba minimamente intervenire se non per servire la tazza al cliente (vedi la tecnologia Nespresso). Dall’altra, macchine sofisticatissime che, al contrario, il barista (e molto spesso l’appassionato a casa) può settare e personalizzare come e più di un computer, scegliendo pressione e temperatura a seconda del tipo di caffè. E le macchine ad aria compressa? La hand press e l’aeropress sono la nuova frontiera dell’espresso “in tasca” da viaggio.
Il cocktail “epico” con il caffè
La ricetta proposta a base di caffè, facile da eseguire, è nata negli anni '90 e rispecchia l’italianità di questa bevanda: l'Italian Gigolò.
Ingredienti: 30 ml di caffè (1 espresso), 30 ml di Brandy italiano, 30 ml di Disaronno.
Preparazione: realizzato in uno Shaker Boston e servito in doppia coppa a cocktail con una grattugiata di cioccolato fondente.
di Carmine Lamorte
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