Castagnola (Gaslini):
Dati alla mano
coronavirus
non letale
per i bambini
Il responsabile di malattie infettive di uno degli ospedali pediatrici più autorevoli a livello internazionale cita la letteratura medica chiarendo i dubbi sull'incidenza del virus sui più piccoli. A livello mondiale non c'è traccia di decessi causati da sars o da coronavirus e anche il contagio è ridotto ai minimi termini.
Dopo il primo allarmismo sul coronavirus come fenomeno generale l’attenzione si è spostata subito sui soggetti apparentemente più deboli: anziani e bambini. Se per i primi è stato dimostrato che il virus è più potente e letale (sempre e comunque legato a patologie pregresse soprattutto di natura respiratoria), per i più piccoli il problema non sembra essere così serio.
Sulla questione che ha - anche comprensibilmente - allarmato i genitori di mezza Italia e portato 7 Regioni a decidere di chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado come prima mossa precauzionale, abbiamo intervistato Elio Castagnola, responsabile del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, una delle eccellenze a livello internazionale della sanità italiana.
Il suo punto di vista è ragionevolmente scientifico e (per fortuna) non potrebbe essere altrimenti. Le sue valutazioni scaturiscono innanzitutto da un’attenta analisi dei dati raccolti dalla letteratura medica degli ultimi anni.
«Ho provato a fare una ricerca bibliografica su una banca dati delle riviste mediche - spiega - inserendo come parole chiave sars-cov e covid-19 (i nomi scientifici dei virus comunemente conosciuti come sars e coronavirus ndr.) andando alla ricerca dei report sulla mortalità causata da questi due virus di persone da 0 a 18 anni. Ebbene, sono emersi zero articoli, dove zero non è un modo di dire. Ho trovato qualcosa su pazienti risultati infetti, ma si parla di numeri veramente esigui e dunque anche poco significativi. Aggiungo che seppur l’infezione sia stata riscontrata la malattia che si è generata era risultata davvero debole: tosse, febbre, qualche disturbo respiratorio. In alcuni casi si è voluto fare la tac per approfondire, ma il paziente esaminato è risultato essere in perfetta salute. Il problema per come lo vedo io in questa fase non è il bambino medio, sano, ma il bambino con altre patologie come chi è in cura per chemioterapia o per fibrosi cistica con quadri clinici che allora espongono il bambino a conseguenze più gravi. Sono tuttavia persone abituate a vivere riguardate (per usare un eufemismo) quindi ci aspettiamo numeri bassi in queste popolazioni così fragili».
Primo tassello dunque sistemato ed è un tassello che pesa. I numeri italiani di questi giorni confermano che il contagio di bambini è irrisorio e senza alcuna conseguenza. Ora, sarebbe curioso capire perché accade ciò: «La spiegazione per cui succede questo - ammette candidamente Castagnola - non la so dare. Posso supporre qualcosa, ma con la premessa che non sono ipotesi scientificamente provate. Prendo un esempio che può aiutare a capire meglio ciò che provo a spiegare: empiricamente è stato notato che se un bambino contrae la varicella sta male, ma se a contrarla è un adulto sta molto male. La prima idea è che, siccome i virus si vanno a legare a strutture del nostro organismo, potrebbe accadere che il bambino non ha il recettore e il virus non si può attaccare o ne ha pochi e dunque ne entrano pochi. Un’altra ipotesi, che non esclude l’altra, è che l’immaturità del sistema immunitario possa essere un fattore a favore. L’infezione infatti solitamente scatena una risposta immunitaria in alcuni soggetti per far sì che il virus venga espulso. Un sistema immunitario troppo reattivo e con una certa “esperienza” però potrebbe rispondere in maniera eccessiva creando scompensi all’organismo potenzialmente fatali. È quello che accade con la meningite: non si muore per l’infezione, ma per le conseguenze generate da una risposta eccessiva dell’organismo».
Alla luce di questo discorso rassicurante, a domanda diretta (questo va chiarito) circa un parere sulla chiusura preventiva e anche piuttosto prolungata delle scuole Castagnola ha provato a dare un suo parere rimanendo sempre in ambito strettamente medico-sanitario: «A favore della scelta delle Regioni - spiega - si può dire che la chiusura sia stata necessaria perché i più piccoli possono rappresentare un florido mezzo di trasmissione del virus. Non tanto tra di loro, quanto fuori dalle scuole nei confronti delle persone più adulte: i nonni principalmente che abbiamo visto essere i più esposti a rischi di conseguenze gravi. È stata una questione di responsabilità, anche per fermarsi un attimo a capire meglio l’evoluzione di questo virus».
In ultimo, Castagnola si riserva una critica - che sa anche un’autocritica - alla comunicazione, non solo quella mediatica ma anche dei tecnici. «L’errore - spiega - è stato a livello di comunicazione, anche da parte dei tecnici non solo delle istituzioni. Se è vero che la mortalità stimata è del 2% e che i pazienti in terapia intensiva raggiungono il 5% (tra questi ci sono anche quelli che muoiono) significa che sui grandi numeri questa percentuale può essere pericolosa. Ma pericolosa per cosa? Per le persone, certo, ma soprattutto per il sistema sanitario: nessun Paese al mondo sarebbe in grado di sopportare il “peso” di 50mila pazienti (numero che deriva da un ipotetico contagio di un milione di persone) in terapia intensiva, il sistema nazionale collasserebbe, perché non dobbiamo dimenticarci che esistono ancora altri pazienti che ne necessitano per via di altre cause. Il messaggio corretto allora sarebbe stato: la nostra paura è dettata dal fatto che un contagio di massa potrebbe mettere a repentaglio la nostra sanità. Se il motivo delle misure precauzionali fosse stato dichiarato questo si sarebbe forse trasmessa una dose massiccia di preoccupazione in meno nei confronti dei cittadini».
Nessun particolare rischio per i bambini
Sulla questione che ha - anche comprensibilmente - allarmato i genitori di mezza Italia e portato 7 Regioni a decidere di chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado come prima mossa precauzionale, abbiamo intervistato Elio Castagnola, responsabile del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, una delle eccellenze a livello internazionale della sanità italiana.
Il suo punto di vista è ragionevolmente scientifico e (per fortuna) non potrebbe essere altrimenti. Le sue valutazioni scaturiscono innanzitutto da un’attenta analisi dei dati raccolti dalla letteratura medica degli ultimi anni.
«Ho provato a fare una ricerca bibliografica su una banca dati delle riviste mediche - spiega - inserendo come parole chiave sars-cov e covid-19 (i nomi scientifici dei virus comunemente conosciuti come sars e coronavirus ndr.) andando alla ricerca dei report sulla mortalità causata da questi due virus di persone da 0 a 18 anni. Ebbene, sono emersi zero articoli, dove zero non è un modo di dire. Ho trovato qualcosa su pazienti risultati infetti, ma si parla di numeri veramente esigui e dunque anche poco significativi. Aggiungo che seppur l’infezione sia stata riscontrata la malattia che si è generata era risultata davvero debole: tosse, febbre, qualche disturbo respiratorio. In alcuni casi si è voluto fare la tac per approfondire, ma il paziente esaminato è risultato essere in perfetta salute. Il problema per come lo vedo io in questa fase non è il bambino medio, sano, ma il bambino con altre patologie come chi è in cura per chemioterapia o per fibrosi cistica con quadri clinici che allora espongono il bambino a conseguenze più gravi. Sono tuttavia persone abituate a vivere riguardate (per usare un eufemismo) quindi ci aspettiamo numeri bassi in queste popolazioni così fragili».
Elio Castagnola
Primo tassello dunque sistemato ed è un tassello che pesa. I numeri italiani di questi giorni confermano che il contagio di bambini è irrisorio e senza alcuna conseguenza. Ora, sarebbe curioso capire perché accade ciò: «La spiegazione per cui succede questo - ammette candidamente Castagnola - non la so dare. Posso supporre qualcosa, ma con la premessa che non sono ipotesi scientificamente provate. Prendo un esempio che può aiutare a capire meglio ciò che provo a spiegare: empiricamente è stato notato che se un bambino contrae la varicella sta male, ma se a contrarla è un adulto sta molto male. La prima idea è che, siccome i virus si vanno a legare a strutture del nostro organismo, potrebbe accadere che il bambino non ha il recettore e il virus non si può attaccare o ne ha pochi e dunque ne entrano pochi. Un’altra ipotesi, che non esclude l’altra, è che l’immaturità del sistema immunitario possa essere un fattore a favore. L’infezione infatti solitamente scatena una risposta immunitaria in alcuni soggetti per far sì che il virus venga espulso. Un sistema immunitario troppo reattivo e con una certa “esperienza” però potrebbe rispondere in maniera eccessiva creando scompensi all’organismo potenzialmente fatali. È quello che accade con la meningite: non si muore per l’infezione, ma per le conseguenze generate da una risposta eccessiva dell’organismo».
Alla luce di questo discorso rassicurante, a domanda diretta (questo va chiarito) circa un parere sulla chiusura preventiva e anche piuttosto prolungata delle scuole Castagnola ha provato a dare un suo parere rimanendo sempre in ambito strettamente medico-sanitario: «A favore della scelta delle Regioni - spiega - si può dire che la chiusura sia stata necessaria perché i più piccoli possono rappresentare un florido mezzo di trasmissione del virus. Non tanto tra di loro, quanto fuori dalle scuole nei confronti delle persone più adulte: i nonni principalmente che abbiamo visto essere i più esposti a rischi di conseguenze gravi. È stata una questione di responsabilità, anche per fermarsi un attimo a capire meglio l’evoluzione di questo virus».
In ultimo, Castagnola si riserva una critica - che sa anche un’autocritica - alla comunicazione, non solo quella mediatica ma anche dei tecnici. «L’errore - spiega - è stato a livello di comunicazione, anche da parte dei tecnici non solo delle istituzioni. Se è vero che la mortalità stimata è del 2% e che i pazienti in terapia intensiva raggiungono il 5% (tra questi ci sono anche quelli che muoiono) significa che sui grandi numeri questa percentuale può essere pericolosa. Ma pericolosa per cosa? Per le persone, certo, ma soprattutto per il sistema sanitario: nessun Paese al mondo sarebbe in grado di sopportare il “peso” di 50mila pazienti (numero che deriva da un ipotetico contagio di un milione di persone) in terapia intensiva, il sistema nazionale collasserebbe, perché non dobbiamo dimenticarci che esistono ancora altri pazienti che ne necessitano per via di altre cause. Il messaggio corretto allora sarebbe stato: la nostra paura è dettata dal fatto che un contagio di massa potrebbe mettere a repentaglio la nostra sanità. Se il motivo delle misure precauzionali fosse stato dichiarato questo si sarebbe forse trasmessa una dose massiccia di preoccupazione in meno nei confronti dei cittadini».
di Federico Biffignandi
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